RIFLESSIONI SUL MAGNIFICAT (III)

(Testo base: il commento di Lutero)

 

 

La "sapienza" che Maria condanna nella sua preghiera è quella degli uomini vanitosi ed orgogliosi, che si credono capaci di compiere grandi opere, che non si abbandonano alla grazia di Dio, che disprezzano coloro che essi giudicano inferiori a loro. Dio li lascia agire ed agitarsi, apparentemente essi trionfano, poi improvvisamente ì frutti della loro malvagità si dileguano: ciò avviene quando si mette in moto il "braccio" di Dio, il quale sta a significare la sua forza, che opera in modo silente e misterioso.

Ad un occhio superficiale appare spesso che gli uomini pii non soltanto siano oppressi, ma che siano abbandonati da Dio: ed è invece proprio nel momento della sofferenza che egli è più vicino a loro con la sua forza, la quale si comunica loro, per cui essi sono forti nella fede. Si pensi al Cristo sofferente, si considerino i martiri che vanno incontro quasi con gioia alle prove che li attendono: sono incarnazioni della beatitudine che glorifica i perseguitati per amore di Dio e della sua giustizia. E' vero, noi vorremmo vedere già subito il trionfo degli amici di Dio: ci manca la pazienza perché ci manca la fede; una grave tentazione è quella di ragionare alla maniera umana (ossia mondana), invece di cercare di adeguarci alla logica di Dio.

Questi "sapienti”, si è detto, sono coloro che si compiacciono delle loro opere. Ora, lo Spirito ispira a Maria la condanna degli ipocriti, di coloro che in apparenza sono buoni ma il cui cuore non è puro e sincero. Ve ne sono anche oggi, come ve n'erano ieri: essi sono devoti, e per questo tante volte sembrano migliori degli altri. E invece, dice Lutero, sono i più diabolici, sono coloro che Giovanni il Battezzatore e poi Gesù hanno chiamato razza di vipere (pag.78-79).

La parte che riguarda i potenti non è molto originale nel commento di Lutero. Sapienti, potenti e ricchi sono alleati nel conculcare il diritto e la verità: anche oggi il trio perverso degli ideologi, dei professionisti della politica e dei detentori del potere economico è spesso alleato nel calpestare le aspirazioni dei popoli, e soprattutto dei poveri; nelle dittature l'alleanza è palese, nei regimi democratici talvolta c'è scontro tra i poteri ed all'interno di ogni potere, ma al di là delle lotte per la supremazia vi è in loro un comune desiderio di supremazia.

L'autorità è certamente necessaria, ma essa deve essere ispirata dal timore di Dio: invece gli uomini fanno spesso un idolo della loro autorità, ed allora Dio li annienta quando sono all'apice del loro potere. Perché Dio elegge ciò che il mondo respinge, e l'autorità deve essere un servizio reso agli eletti da Dio, cioè ai poveri, dal.momento che la salvezza viene soltanto da Dio e nessun'altra autorità è capace di procurarla: il suo compito è di annunciarla, di trasmetterla. Il cristiano che ha ricevuto il potere deve sempre considerarsi come un servo inutile.

Dire che Dio usa misericordia verso quelli che non contano non significa dire che egli dà loro il potere: per questo Maria, che è il loro modello e la loro portavoce, non è "potente” (come molti credono). Ella è qualcosa di diverso e di più puro, prefigurando pertanto il comportamento degli umili, che sono chiamati da Dio ad essere giudici di ogni potere (pag. 82-83).

Il capitolo che riguarda la condanna dei ricchi costituisce la parte più debole dell'argomentazione di Lutero. Gli riesce male a tale proposito l'attualizzazione e soprattutto il suo discorso risulta spesso non applicabile alla realtà che viviamo oggi. Ci appare quindi piuttosto generico e moralistico. E' vero che già nell'Antico Testamento vi sono dei santi che erano ricchi: Dio infatti non giudica le apparenze, ma gli spiriti (o meglio, in termini moderni, valuta l'essere e non l'avere). D’altra parte, per Dio gli umili e gli affamati - di pane e di giustizia - non sono í miserabili, ma coloro che accettano tale situazione di precarietà, come dicono le Beatitudini (pag.84). Ma i veri ricchi (cioè i ricchi di cuore, gli attaccati alla ricchezza) non si accorgono della loro vuotezza spirituale; e i veri poveri e affamati non sanno di quanti beni sono ricolmi, perché si svuotano di sé nel loro abbandono a Dio.

Coloro che si fanno degli idoli dei loro beni temporali non conoscono le opere di Dio. Ed egli li distrugge quando sono al culmine del loro potere e della loro ricchezza: è la sorte che sopravviene al Faraone (cfr. Esodo) e a Babilonia (cfr. Isaia), esempi insigni di arroganza. Lutero opera qui una lettura analogica e spiritualista della Bibbia, mentre noi usiamo come punto di partenza il metodo storico-esegetico.

Occorre essere all'estremo avvilimento per esperimentare le opere di Dio, il quale non lascia morire di fame chi confida in lui. Qui la lettura dell'Antico Testamento è fondamentalista, e richiama la fiducia nella retribuzione terrestre per i giusti, come pensavano gli amici-contraddittori di Giobbe. E Lutero fa del moralismo quando afferma che non si ha fede in Dio e che ci si vuole disbrigare da sé. Sotto questo aspetto appare molto più attuale san Tommaso.

 

Ettore De Giorgis

(3. continua)




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