UNO STILE DI ESSERE VESCOVO

 

 

Viaggiando in lungo e in largo nel Brasile ho avuto l'occasione di incontrare quest’estate, nello spazio di una dozzina di giorni, alcuni vescovi abbastanza significativi per la carica che ricoprono e per i settori geografici in cui si svolge la loro attività. Non ho mai fatto la "caccia al vescovo”, (nemmeno a Mons.Pellegrino, che pure era stato mio professore), perché non mi pare che egli sia un oggetto di curiosità araldica o turistica. Ma qui si presentava l'occasione di avere una specie di incontro alla pari, nel senso che anch'io ed i miei due amici che viaggiavano con me potevano esprimere le nostre impressioni sul Paese loro e dare delle informazioni sul nostro. L'ambiente è sempre stato dei più cordiali e la conversazione interessante.

Miguel Camara è arcivescovo di Teresina, capitale in rapida espansione del Piauì: egli ci fa presenti i problemi della gente del campo del Nord-est, oppressa dai latifondisti, che si trasferisce in massa in città, ove non trova né casa né lavoro. E' gente rassegnata, che occorre coscientizzare, e questa è in primo luogo la funzione della Chiesa, retta da vescovi che sono in genere semplici e vicini al popolo. Perché la Chiesa sta mutando: un tempo le vocazioni si avevano nel ceto medio, ora sono in maggioranza popolari; sono comunque ancora scarse rispetto alle esigenze, per cui è benvenuto l'apporto dei missionari stranieri.

Presso il lebbrosario di Marituba incontriamo Aristide Pirovano. Siamo nei dintorni di Belem, capitale del Parà, nella regione Norte. Un tempo a Marituba vivevano ottocento persone, ora il loro numero è diminuito, perché è mutato il modo di curare la lebbra, che si fonda soprattutto sulla prevenzione e sul servizio di cura, e raggiunge 40.000 utenti nella zona. Mons.Pirovano è un milanese che venne nel Brasile nel 1948, resse una Prelazia prima di essere direttore generale del PIME, e scaduto il mandato, nel 1978, preferì ritirarsi qui, appena fuori della "colonia", ove continua la sua attività, anziché ricoprire un incarico a Roma (pare che Paolo VI, che gli era amico, volesse affidargli la Propaganda Fide).

A Brasilia, ove siamo ospiti della Conferenza Episcopale Brasiliana, incontriamo Tomaso Balduino, arcivescovo di Goiania, capoluogo del Goyàs, nel Centro-Oeste, che io avevo già inteso parlare a Castelfranco Veneto, e con il quale conversiamo a lungo. Di grande semplicità, è considerato uno dei vescovi più rappresentativi dell'ala avanzata della Chiesa. E' incaricato della questione india, e per questo motivo si trova qui, per partecipare ad una conferenza stampa.

Questa è presieduta da Luciano Mendes de Almeida, uno dei vescovi ausiliari di Sao Paulo, nel Sudeste, che è anche il presidente della CNBB. C'è tutto un piano di calunnie nei confronti del CIMI, l’organo della Chiesa che si occupa del problema degli indi, e del Consiglio ecumenico delle Chiese: l’"O Estado do Sao Paulo", facendosi portavoce dei grandi interessi minerari, attacca un presunto documento del CIMI, che mai è esistito, come anti-nazionale; certo, afferma dom Luciano, la mineralizzazione è necessaria per lo sviluppo, purché non si effettui in zone assegnate agli indi, i quali non reclamano altri territori ma esigono che sia demarcata la loro terra. Non si tratta di una difesa d'ufficio di un organo di Chiesa, ma della denuncia della diffamazione, perché ciò che sta a cuore alla CNBB è la causa indigena.

Infine a Santo André, nella parte sud di Sao Paulo, che costituisce la sua zona industrializzata, conversiamo per qualche minuto con il vescovo, Claudio Hummes, uno dei più giovani del Brasile, proveniente da famiglia di ceto medio, dotato di buona cultura. Anch’egli è uno dei vescovi d'avanguardia e comprende assai bene i problemi. Molto affabile, lo rivedremo qualche giorno dopo a Rio de Janeiro, ad una riunione della Pastorale del Lavoro e sarà lui che si avvicinerà per salutarci.

Nell'episcopato brasiliano vi è una piccola minoranza conservatrice ed una larga maggioranza "centrista", la quale però segue le proposte della combattiva minoranza d'avanguardia, che ha saputo farsi apprezzare per la sua lucidità, la sua generosità e la sua coerenza.

Questa Chiesa, in cui il ruolo dei vescovi, dei preti e dei religiosi ha un peso effettivo ed una forte carica simbolica, non è però una Chiesa clericale, non foss’altro perché è tenuta in piedi da qualche milione di laici attivi, che spesso ricoprono nella vita ecclesiale incarichi di grande importanza, veri e propri ministeri (nelle campagne e più ancora nelle grandi periferie sono per lo più i laici che amministrano il battesimo e che assistono e benedicono gli sposi).

Non manca qualche frecciata contro Roma (a proposito dell'ordinazione di uomini sposati o contro la burocratizzazione curiale), che rientra però in una prospettiva più ampia: non soltanto i vescovi ma anche i cristiani più consapevoli sanno che toccherà sempre più a loro risolvere i propri problemi, perché l'Europa è "distante", ha problemi diversi ma non meno gravi; la collegialità delle Chiese, anche se non ammessa ancora ufficialmente, sta già facendo il suo cammino. Ed allora è ovvio che siano loro a scegliere i mezzi che riterranno più idonei, a condizione – ben inteso - che non contrastino con l'ispirazione evangelica.

La massima libertà che i vescovi da noi incontrati manifestano nel loro atteggiamento ed anche nel loro abbigliamento (non gravati da quelle sottane impaccianti per i loro interlocutori e forse anche per loro stessi poiché simboleggiano uno “status" diverso) credo derivi dal fatto che essi sanno di avere di fronte a loro degli interlocutori alla pari. Abbiamo visto soltanto cinque vescovi, ma mi dicono che la maggioranza di loro si presenta in modo simile. L'apparenza in questo caso non è qualcosa di secondario, è il segno esteriore di un tipo di Chiesa; essi, insomma, mi pare abbiano già operato una conversione che credo indispensabile al fine di rendere alla Chiesa il volto comunitario, togliendole la maschera del legalismo. In tal modo essi aiutano la nostra  conversione, che assumerà altri aspetti, in quanto si radicherà su tradizioni ed esigenze almeno in parte diverse. E' la condizione per il rinnovamento della Chiesa (e non solo di quella cattolica) e per un vero rilancio ecumenico.

 

Ettore De Giorgis




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