QUANDO SOPRAGGIUNGE L’INATTESO (V)

 

5 –SULLA VIA DEL RITORNO

 

 

La mattina di lunedì 29 dicembre mi reco all'agenzia degli autobus ad acquistare il biglietto di ritorno. E mi sento felice. Anzi, forse questo è stato il momento di maggiore felicità dal momento della partenza. Si ha un bel dire di vivere alla giornata, di non preoccuparsi troppo dell'avvenire, ma si è troppo abituati alle nostre "certezze umane" per cui l'intromissione di una circostanza inattesa che sovverte i nostri piani - in questo caso si tratta dello sciopero ad oltranza dei ferrovieri francesi - turba la nostra quiete e ci rende nervosi. A me per lo meno capita così. Ed ora che sono certo di poter rientrare l’animo mi si distende. Alle altre preoccupazioni, quelle che mi attendono al ritorno, penserò più tardi, ora voglio soltanto godere queste poche ore che mi è dato ancora di trascorrere a Barcellona, che trovo ancora più bella degli altri giorni.

La sera, al "terminal" degli autobus, vi è un gran canaio: candidati alla partenza sono tanti e fanno ressa da ogni parte, eppure, benché i mezzi di trasporto siano stati raddoppiati a causa  dell'emergenza, non vi è posto per tutti, parecchi sono iscritti sulla lista d'attesa e partiranno domani, o forse nei giorni successivi. Prendo posto sull'autobus per Torino ed al momento della partenza provo un gran sollievo: davvero si va a casa...

I pullman fanno una sosta a Gerona, e qui ritrovo l'ingegnere argentino e beviamo insieme qualcosa, prima di affrontare la parte più lunga del viaggio. Le cose vanno bene fino alla frontiera franco-spagnola, poi sopravviene un incidente che ci blocca per due ore: una coppia di spagnoli, marito e moglie piuttosto anziani, che soni diretti a Nizza vengono fatti scendere dall'autobus, perché non sono in regola con il passaporto; verranno rispediti indietro, mi dirà in seguito l'autista. La smania di partire mi rende egoista ed insensibile alle pene degli altri, per cui mi trovo a pensare: "Se costoro devono attendere, attendano, ma essi soltanto, purché noi possiamo partire". Se penso a tale atteggiamento di meschinità mi vergogno di me stesso.

Si dovrebbe fare una tappa a Marsiglia, ma la si salta, a causa del ritardo, per cui si ricupera un po' del tempo perduto e si giunge, con un'ora e mezza di ritardo, a Ventimiglia, ove si ha un altro intoppo alla dogana italiana: si controllano i bagagli ed un cane particolarmente addestrato - è la prima volta che vedo una cosa simile - individua qualcosa di sospetto nella borsa di un giovane. Si tratta di droga, ma di droga leggera ed in piccola quantità, ossia per proprio consumo, e quindi il ragazzo non viene trattenuto. A me, ignaro di legislazione in materia, pare che questo sia più grave che avere un passaporto senza una marca o senza un timbro, ma forse non è così ...

A Torino arriviamo con due ore e mezza di ritardo: non è nemmeno troppo, date le circostanze in cui si è svolto il viaggio di ritorno e data soprattutto la situazione di emergenza causata dallo sciopero delle ferrovie francesi.

Per illustrare la non ordidarietà di questa mia trasferta in Spagna penso sia significativo fare il consuntivo del modo con cui ho trascorso le notti: due in sala s'aspetto, due in treno, una in pullman, una in un locale poco affidabile ove avvenivano cose indicibili; ho invece potuto riposare tre notti su nove. E' un modo ben avventuroso di viaggiare, che può apparire pittoresco ma che non è certo riposante. E non mi trovavo nel Terzo Mondo - ma anche qui situazioni così strane sono la norma soltanto in pochi Paesi - ma nell'Europa Comunitaria, che si trova all'avanguardia per quanto riguarda il progresso, l'efficienza, la comodità...

Sarebbe stato meglio non partire, arrestarmi a Ventimiglia e semmai invertire la rotta, andare per esempio a Roma? Ogni persona saggia risponderebbe in modo affermativo. Se si guarda soltanto alla  “materia” - come direbbero gli Scolastici - ossia al viaggio nella sua effettualità, anch'io propenderei a credere che imbarcarmi in tale avventura sia stata una follia, o per lo meno un'imprudenza. Mai ho incontrato tante difficoltà se non nel 1968 a Praga, quando vi fu l'invasione dei sovietici e dei loro alleati. Il caso allora fu senza paragone più grave, ma questo intervento armato né io né altri potevamo prevederlo.

Se penso però a quanto si può apprendere dalle esperienze, per quanto negative possano essere, il mio giudizio è diverso. Esse ci insegnano a renderci conto in concreto della precarietà dei nostri programmi: non c’è bisogno di una guerra - ché tale nella sostanza fu quella dei sovietici contro la Cecoslovacchia - per farci toccare con mano la labilità delle nostre previsioni, basta uno sciopero delle ferrovie. E mutando la disposizione del gioco devono di conseguenza mutare le mosse del giocatore. Quel po' di fantasia che ci è richiesto scalfisce allora l'abitudine che.rischia di appisolarci: "consuetudo callum obduxit stomacho meo" (l'abitudine ha reso insensibile il mio cuore), dice Cicerone. E d'altra parte è pur bello, a distanza di tempo, soffermarci sulle nostre difficoltà passate, e compiacerci al pensiero che in qualche modo siamo riusciti ad uscirne. Così Vírgilio considera "pedagogici" i travagli superati, quando pone sulla bocca di Enea l'espressione: "forsitan haec olim meminisse iuvabit" (forse un giorno sarà di conforto ricordare questi fatti).

 

Ettore De Giorgis

(5. fine)




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