RIFLESSIONI SUL MAGNIFICAT (I)

(Testo base: il commento di Lutero)

 

 

Nel suo commento al “Magnificat" Lutero inaugura un nuovo modo di fare teologia che abbandona la tradizione scolastica per rifarsi ai Padri della Chiesa. E' viva in lui la tensione kerygmatica, ossia quella dell'annuncio del messaggio evangelico: attraverso la Bibbia - e qui in particolare nella  preghiera di Maria - è la Parola di Dio che si comunica agli uomini.

A differenza degli scolastici, che insistevano sull'essenza (di Dio, dell'uomo, delle cose), egli accentua l'aspetto dell'esistenza: non gli interessa tanto, cioè, “chi è" Maria, ma piuttosto "come vive" Maria. Ella è colei che accetta sino in fondo la volontà di Dio, alla quale adegua la sua. Per questa sua totale disponibilità, che è l'ideale a cui deve tendere ogni cristiano, ella è assunta come modello per i credenti e come figura della Chiesa. La sua pienezza di grazia e di Spirito Santo si articola in tre fasi: ella fa l'esperienza di Dio, lo ama e ne canta la lode. Il Dio da lei esaltato è un Dio che guarda agli umili ed anche ai peccatori, e che per la loro salvezza non esita a gettare il suo Figlio nella mischia, a fargli condividere la condizione umana e a guidarlo sulla via della Croce.

Maria esulta solo nella fede e gioisce soltanto di Dio: per giungere a tanto ella deve svuotarsi di sé, per lasciarsi possedere totalmente dalla grazia. E la sua fede - come ogni fede autentica, a cominciare da quella di Abramo - è una fede oscura, che crede a ciò che non comprende, che pone tutta la sua fiducia nella grazia che le è promessa.

La lode di Dio non è un'opera umana, nessun uomo può tanto, solo Dio è in grado di lodare se stesso; ma la grazia divina sopperisce alla debolezza umana, concedendo di lodare Dio alle persone che lo hanno conosciuto, che ne hanno fatto l'esperienza. Il Dio lodato nel "Magnificat” - a differenza di quello che si rivela nell'Esodo e nei libri successivi dell'Antico Testamento - è prima Signore e poi Salvatore, ed è lodato per la sua bontà prima che per le sue opere. Ma occorre pure amare il Salvatore più che la salvezza, per non comportarsi alla maniera delle persone false e interessate. Allo stesso modo, coloro che compiono buone azioni non per amore di Dio, ma per il proprio tornaconto, agiscono come degli estranei e non come dei figli. Questa prospettiva non esclude quindi il valore delle opere: queste devono però essere “opere della fede”, e non “opere per il merito".

La vera umiltà non è conscia di sé: Maria non si considera quindi umile, pensa Lutero, il quale traduce il termine latino “humilitas" non con “umiltà", ma con “nullità", traduzione che mi pare assai più appropriata. Ella ha ricevuto un dono unico tra tutte le creature umane: avrebbe potuto esaltarsi, le tentazioni di peccare non le mancavano, ed invece ella si vede magnificata e nello stesso tempo si sente una nullità di fronte a Dio, e questa situazione la rende "semplice e tranquilla" ( pag. 32). Non si gloria quindi della sua umiltà, che solo Dio riconosce, e ci dà pertanto un esempio di comportamento cristiano: ella comprende che Dio ha scelto una persona insignificante per fare rifulgere la sua gloria. Tutto è grazia, per Lutero, per Bernanos e per tanti altri: anzi, dovrebbe esserlo per tutti i cristiani.

La sua preghiera esalta soltanto Dio: sarebbe un grave errore pensare che oggetto di lode fosse la sua nullità (sarebbe un atto di autocompiacimento), e non invece la sola considerazione di Dio.
Per Lutero - e non soltanto per lui, e non soltanto per i protestanti - si scrive troppo su Maria, con il rischio di farsene un idolo (spesso infatti la mariologia sconfina nella mariolatria). La volontà di Maria, in quanto conforme alla volontà di Dio, non è di attirare gli uomini a sé, ma per mezzo suo di condurli a Dio (pp.50-51). Ella infatti è l’esempio più insigne di una creatura in cui Dio ha fatto risplendere la sua grazia.

 

Ettore De Giorgis

(1. continua)




.