QUANDO SOPRAGGIUNGE L’INATTESO (IV)

 

4 -VIAGGIANDO SENZA META

 

 

La sera di santo Stefano sono partito da Barcellona, ho viaggiato tutta la notte su un treno più o meno comodo, e la mattina di sabato 27 dicembre, sono giunto a Madrid, di cui ho visto quasi soltanto la stazione ferroviaria. Subito si nota che nella capitale - verso la quale ho sempre provato un'allergia, istintiva come la vaghezza che mi ha ispirato Barcellona - c'è tutto un altro clima, meno efficiente e meno "urbanizzato" che nel capoluogo della Catalogna, la cui anima insieme moderna e confusa è evidente anche nella stazione "kolossal" e caotica, mentre a Madrid il caos non è compensato dall'efficienza, mancano pure certi servizi essenziali, per cui si vaga come un pellegrino senza meta da un luogo all'altro dell’enorme sala di attesa, con gli addetti ai vari sportelli che vi danno le indicazioni più contraddittorie, per cui si ha l'impressione che qui il personale non sia molto competente. E così, trascinandomi una pesante valigia, faccio chilometri su e giù per quest'atrio, e poi altri chilometri, tra andata e ritorno, fuori della stazione per trovare una banca disposta a cambiarmi i "travellers chèques". Devo avere moneta contante perché mi è stato detto che un "Tago" (l'equivalente di un treno rapido italiano) effettua un servizio giornaliero di qui a Ventimiglia; ma poi sento una donna affermare che dopo la frontiera francese, a Cerbère, questo treno è preso d'assalto, e che ci si batte per prendere posto. Torna l'incertezza.

Le linee sono tutte occupate, per cui non riesco nemmeno a telefonare in Italia: è ben comprensibile, con tanta gente che è partita e che non sa quando e come rientrerà. Sono venuto a Madrid per vedere due persone: ma Ana, una portoghese, il cui marito ora addetto culturale all'ambasciata, non abita più qui, e nemmeno in seguito ho avuto sue notizie; poi avevo un appuntamento con un filosofo personalista, ma lo richiamo fino a sera e non è mai in casa. Questo è stato davvero un viaggio-pirata, conclusosi con una attesa di dodici ore in una sala d'aspetto. Così decido di ritornare a Barcellona e di ripartire quanto prima per l'Italia. Un altro viaggio notturno, questa volta confortevole, e la mattina di domenica 28 dicembre sono alla stazione di Barcellona, ove chiedo notizie sui trasporti non ferroviari in direzione dell'Italia, e mi dicono di ritornare il giorno dopo, perché oggi è domenica e non si lavora, vi è soltanto una gentile signora che dà qualche informazione turistica.

Nella zona del "Barrio Gotico" tutte le pensioni hanno fatto il pieno, per cui mi tocca ritornare dall'altra parte del "ramblas", nella zona popolare un po’ malfamata: prendo alloggio nella stessa via di prima, ove resterò due notti, pagando un po' più caro ma restando relativamente tranquillo (al pomeriggio i muratori fanno un po' di rumore, ma riesco ugualmente a riposare).

Vado ad una Messa in castigliano alla cattedrale: stanco e preoccupato come sono, non riesco a seguire e a capire molto, per cui decido di ritornarvi la sera. Oggi è la festa della Sacra Famiglia: mi viene da paragonarmi a San Giuseppe, che prende tutti i suoi affari e se ne va in Egitto. Anch'io sono un pellegrino mio malgrado. Dopo il riposo pomeridiano mi sento più sollevato: se non ci sarà l'autobus viaggerò in aereo, ma in Italia arriverò, anche se pare che i ferrovieri francesi vogliano impedirmelo...

Nel tardo pomeriggio il "ramblas" pare ancora più affollato dei giorni scorsi: molti si tengono per mano o vanno a braccetto, fanno anche una catena di tre o quattro e vi vengono incontro senza scostarsi, per cui dovete aggirarli. Se si entra in questo ritmo, se si passeggia perché se ne ha il gusto, se non si ha fretta e ci si lascia trasportare da questa marea, allora questo esercizio rilassa, tanto più che oggi è una bella giornata, è caduto il vento ed il clima è tiepido, vicino ai venti gradi. Ma questa "insouciance", questa assenza di preoccupazioni non riesce a farmi dimenticare la presenza di tanti mendicanti: sotto questo aspetto Barcellona assomiglia a Parigi, a Roma, anche a Firenze, ad una città di transito, insomma; a Torino tale spettacolo apparirebbe più anomalo.

Dopo la Messa delle 19 in catalano alla cattedrale, ove prendo posto nel coro che si apre soltanto in certe ore e durante certe celebrazioni, visito nel sottosuolo della chiesa di Belén (che significa Betlemme), sul "ramblas", il famoso presepio. La scuola dei "pessebristi" di Barcellona ("pessebre" è il presepio, in lingua catalana) è celebre in tutto il mondo. Dieci artisti catalani hanno raffigurato dieci soggetti: l'annunciazione dell'angelo a Maria, la visitazione a santa Elisabetta, l’annuncio ai pastori, Maria e Giuseppe che cercano alloggio, l'adorazione dei pastori, l'adorazione dei Magi, una scena profana (il titolo è un proverbio, "Per Nadal, cade ovella al seu corral", ossia "A Natale, ogni pecora al suo ovile"), la Sacra Famiglia, la mattina di Natale in un villaggio spagnolo di cento anni fa, l'infanzia di Gesù. E' molto diverso dai nostri presepi, ed ha un valore religioso ben più intenso, poiché qui si attualizzano certi aspetti dell'evento dell'Incarnazione. Fantasia della fede, poiché ogni anno le rappresentazioni sono diverse. Anche esteticamente è ben riuscito: i colori sono indovinati, gli inquadramenti sono bellissimi.

Vado a cena in un piccolo locale, ove mi intrattengo in una lunga conversazione con un ingegnere argentino di origine siciliana che parte anch'egli il giorno dopo per l'Italia, sull'autobus diretto a Roma. Parliamo soprattutto dì politica: ha idee di sinistra, di un marxismo "adattato", ed è contrario al nuovo governo democratico diretto da Alfonsin perché ha concesso l'amnistia a quasi tutti i militari compromessi con la dittatura. Io ho imparato a diffidare di tutte le ideologie e considero la politica l'arte del possibile, e quindi anche del compromesso, purché questo sia dignitoso. I recenti tentativi di "Putsch" militare in Argentina mi confermano che questa scelta è stata improntata alla saggezza. Per chi considera soltanto i principi questo è opportunismo: ma senza la mediazione è possibile la convivenza civile?

 

Ettore De Giorgis

(4. continua)




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