QUANDO SOPRAGGIUNGE L’INATTESO (I)

 

 

1 - DISAVVENTURE DI UN VIAGGIATORE SOLITARIO

Durante le vacanze natalizie avevo deciso di passare qualche giorno in Spagna, terra che ho appreso tardi ad amare ma che ora mi è singolarmente cara perché fa parte del mio orizzonte culturale: infatti il teologo e biblista Josè Maria Gonzalez-Ruiz e la rivista "El Ciervo" hanno avuto una notevole incidenza sul mio pensiero religioso e politico degli ultimi dieci anni.

Avevo deciso di fare il viaggio in treno e l'avevo ben preparato. Ma il piano è stato stravolto. Se avessi prima conosciuto le difficoltà incontrate avrei preso un'altra direzione, ho pensato in seguito. Avrei fatto bene o male? Non so, perché anche dagli inconvenienti ho appreso qualcosa.

Arrivato a Ventimiglia la sera della domenica prima di Natale, ho saputo qui dello sciopero dei ferrovieri francesi: non avevo letto i giornali, ma del resto pochi potevano pensare ad un'agitazione ad oltranza. Così ho creduto al bigliettaio che mi diceva che forse a Marsiglia avrei trovato un treno per la Spagna con facilità, e ho fatto il biglietto per Barcellona.

A Marsiglia arrivai un po' dopo la mezzanotte, e passai varie ore in una sala d'aspetto fredda, con la porta che si apriva continuamente a causa degli andirivieni dei passeggeri. Verso le otto del mattino salii su un treno che andava a Bordeaux, una specie di rapido (sono le vetture "Corrail”), con sedili molto comodi, che mi consentirono di dormicchiare un poco. Ma dopo tre ore, a mezzogiorno, dovetti cambiare a Narbonne, importante nodo ferroviario della Francia del Sud che però ha una vecchia e malandata stazione ottocentesca (lo stile ed il colore grigiastro fanno pensare alla Stazione Centrale di Milano e alla "Gare de Lyon" a Parigi), sprovvista di un servizio elementare quale un ufficio di cambio, per cui, non avendo con me delle monete francesi, non potei bere nemmeno una tazza di caffè, che m'avrebbe un po' riscaldato lo stomaco.

Qui l'attesa fu lunga: prima nella sala di seconda classe, ove potei assistere ad una rissa fra un disoccupato amante di Chirac e invelenito contro i ferrovieri, e dall'altra parte un ferroviere che aderiva allo sciopero. Poi la polizia ci fece sloggiare dalla sala e passammo in quella di prima classe, più comoda e calda. Questa fu la scena di un romanzo a più capitoli.

- Un giovane vietnamita raccontò le sue peripezie ad un francese e ad un negro: figlio di un ex funzionario del Sud, riuscì a fuggire in piroga nel 1982, ed ora fa gli studi come allievo interno al Liceo Tecnico di Carcassonne. La sua drammatica narrazione confermava le penose notizie che avevo letto su varie riviste francesi: lo Stato è poliziesco, c’è una grave crisi economica, ma funzionari e poliziotti godono di molti privilegi.

- Arrivò frattanto un giovane negro con un figlioletto e molti bagagli; di lì a poco se ne ritornò con una bimba più piccola avvolta in panni soffici e caldi; e poi entrò la madre, che con tutta naturalezza si mise ad allattare la figlia. Il fratellino, dai grandi occhi parlanti, mi chiese una caramella.

- Quando entrò un marocchino, stava terminando una conversazione a tre, in cui egli si inserì criticando prima Chirac e poi la Francia, in cui gli abitanti di origine autoctona sono minoritari ma privilegiati. Ha ragione, certo, ma il suo tono era troppo saccente e sicuro, da intellettuale iper-ideologizzato.

- Ed ecco che ritorna il disoccupato filo-Chirac, giusto per scatenare un'altra "bagarre". Ma anche questo ha il suo lato positivo, perché così si sta svegli nella notte. Già, perché ormai si era in piena notte ...

- E poi c'è qualcosa di meno simpatico, almeno per me. Nella sala vi è un austriaco distinto, di trentaquattro anni (l'ho visto sul passaporto), dai lunghi capelli che forse portava così dal tempo della contestazione. Parla poco il francese, ma mi pare di capire che abbia smarrito il biglietto del treno per Madrid e che non abbia denari. Fingo di ignorare il suo discorso, poi sono preso dagli scrupoli e cambio alcune decine di migliaia di lire al “mercato nero" del "buffet" (e qui già mi truffano di un buon dieci per cento). Poi gli do i franchi, che promette di inviarmi, ma so già che non sarà così. Eppure, pur trovandomi in una relativa "sventura", posso escludere che vi siano altri più sventurati di me? Chi oserebbe affermarlo? Dio sia con lui, è l'augurio che gli faccio mentre, scrivendo queste note, rievoco l'episodio.

Finalmente; alle cinque del mattino, passa un treno quasi vuoto, che alle sei e tre quarti giunge a Port Bou, primo paese della Catalogna. Si discende e si passa alla dogana: nessun problema per noi tutti, ma ad un arabo controllano a lungo il passaporto. Capita così ad ogni Paese occidentale, ed è anche giusto, perché "prudence oblige": non si può parlare di razzismo, ma il sospetto potrebbe anche essere l'inizio di un'attitudine razzista.

Si riparte alle sette e mezzo e alle dieci si arriva a Barcellona. Prima di mezzogiorno sono in una pensione che mi avevano indicato, presso il porto, di fronte al "Barrio Gotico", in una zona alquanto malfamata. Scaricato il bagaglio vado in un bar a bere un caffè ed un bicchiere di vino bianco. Da due giorni non ho mangiato né bevuto nulla, ho soltanto succhiato alcune caramelle. Ho fumato in compenso una gran quantità di sigarette.

 

Ettore De Giorgis

(1.continua)




.