CORRISPONDENZA

 

 

Istanbul, la notte tra il 24 e il 25 agosto 1985

 

Cari amici di Koinonia,

l’ultima serata di un viaggio in comitiva si è usi far festa, ma qui non è così: tutti sono affaticati, parecchi hanno qualche malessere, che in certi casi dura da qualche giorno. Il giro è stato davvero un po' forzato: in diciotto giorni abbiamo girato la costa egea e quella turca dell'Anatolia, poi siamo stati nel centro, sull'altopiano, prima di ritornare a Istanbul. Ma è stato un viaggio di estremo interesse, per cui la fatica è largamente ripagata.

Questa penisola ha conosciuto nel corso della storia un succedersi prodigioso di grandi civiltà, di cui restano le vestigia imponenti: tralasciando il periodo preistorico, qui hanno avuto sede gli Hittiti, il cui declino corrisponde quasi a quello della Troia omerica; qui sono alcuni insediamenti della primitiva civiltà greca, quella pre-periclea e presocratica, e poi vi è stata l’imponente fioritura dell'ellenismo, per oltre mezzo millennio; in seguito i bizantini lasciarono la loro impronta, suggestiva soprattutto nelle chiese rupestri e nelle città sotterranee della Cappadocia; infine vi furono i grandi periodi dei Turchi Selgiuchidi e dei Turchi Ottomani.

L'elenco è troppo schematico e freddo, e dirà poco a chi non ha visitato questi luoghi, che meritano davvero di essere visti e rivisti (lo dico per me). Qui godono gli amanti dell'arte, attratti dalle antiche città costiere, dagli affreschi della Cappadocia, dai mosaici di antiche chiese  costantinopolitane, dalla magnificenza delle moschee; si sbizzarriscono gli amanti del folklore, ricercatori indefessi di tappeti (che comprano per artigianali ma che spesso dubito siano fabbricati in serie, a giudicare dalla profluvie di esemplari che si vedono in ogni città e in ogni villaggio), e stravedono gli appassionati di fotografia, poiché - per non parlare delle opere d'arte - certi paesaggi sono veramente straordinari, unici nel loro genere.

Se si guarda alla situazione sociale, al vissuto nella sua concretezza odierna, si notano nettamente due Turchie: quella dei grandi agglomerati e quella delle campagne, quella laica e quella religiosa (che coesistono, pare, senza troppi problemi): e noi non abbiano visto che la parte più "civile" del Paese, perché la metà orientale dell'Anatolia è la zona più arretrata, povera e tradizionalista.

Si dirà che in molti luoghi passa in uno Stato una linea di demarcazione: qui essa divide l'Ovest dall'Est, come da noi separa il Nord dal Sud. E' vero da un punto di vista qualitativo, ne consento, ma qui il divario è molto più marcato che da noi. L'emigrazione ha assunto negli anni ‘70 e ‘80 delle proporzioni enormi, il numero dei bambini è straordinario, e non solo nelle campagne del centro: ovunque vedete delle specie di scugnizzi che si arrangiano a far ogni lavoro, mentre uno sciame dei più piccini vi attornia e vi fa subito confidenza. Malgrado ciò l'occidentalizzazione è presente ovunque nella sua forma più esteriore e pacchiana del consumismo, e rischia di distruggere (come ovunque nel Terzo Mondo) le tradizioni di un popolo. Non ovunque, però: vi sono certe zone dell'interno che sembrano appartenere ad un altro mondo, in cui le donne vanno in giro stravestite, con foulard, lunghe vesti e soprabiti, e non paiono preoccuparsi di una temperatura che va dai 35 ai 40 gradi. Allora viene da pensare, è meglio (o è meno peggio) la modernizzazione (con la sua libertà che è spesso licenza e che comunque causa una nuova forma di schiavitù e di conformismo) oppure questa tradizione (anch’essa spersonalizzante e gravosa soprattutto per le donne, la cui emancipazione pare ancora ben lungi dal realizzarsi)?

E vengo al punto che più interessa: il cristianesimo nella sua versione bizantina, ha modellato la cultura turca; né i musulmani tradizionalisti né i laicisti che si richiamano a Kemal Ataturk lo possono dimenticare, non foss’altro perché restano vestigia imponenti di questo periodo. Fino all'inizio del secolo i cristiani costituivano comunità importanti in Turchia: poi vi furono le persecuzioni (particolarmente contro gli Armeni), e in seguito al risveglio nazionale capeggiato da Ataturk vi fu uno scambio di connazionali tra Grecia e Turchia, per cui i cristiani turchi (che erano per lo più "greci di Turchia") lasciarono quasi tutti il Paese.

Ora i cristiani sono rarissimi, e svolgono un ruolo di presenza, senza fare proselitismo: mi viene in mente la Piccola Sorella che ci accolse sopra Efeso, nella montagna in cui una tradizione dice fosse situata la casa di Maria; o l'altra della stessa congregazione che vedemmo a Konya, città del l'interno; per non parlare dei domenicani di Istanbul, che visitai al mio arrivo, e dei conventuali della stessa città, presso la cui chiesa stasera abbiamo partecipato alla Messa. Presenze eroiche e profetiche, certo. Ma viene da chiedersi: queste presenze, che non si alimentano con linfa autoctona, sono forse destinate ad affievolirsi e quindi a scomparire? A me viene da. pensare, da temere così. Ma questo, non dimentichiamolo, è un ragionamento secondo gli uomini. Chissà invece qual è il piano di Dio a questo proposito... Quel che è certo è che anche in queste zone e a   questo popolo va annunciato il Vangelo. L'importante è seminare: poi qualcuno mieterà.

 

Ettore De Giorgis




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