PIERRE CARNITI:

I PRINCIPI CONTRO L'IDEOLOGIA

 

 

Pierre Carniti può aver dato talora l'impressione di essere un uomo duro e ostinato, e talora invece può essere apparso duttile e disponibile al confronto. Entrambi gli aspetti hanno caratterizzato la sua lunga militanza sindacale, quella che a buon diritto si può chiamare “l'epoca Carniti”. Ma nulla è più errato che scorgervi una specie di schizofrenia intellettuale, la coesistenza di due diversi personaggi che non hanno saputo trovare un giusto equilibrio; come non ha senso parlare di un primo e di un secondo Carniti, separati da una specie di rottura epistemologica. Tali discorsi può farli soltanto chi ragiona in termini di ideologia, mentre una delle caratteristiche di Carniti è stata proprio quella di rifiutare qualsiasi schedatura ideologica, e non solo di partito.

Tutta la sua vita e la sua opera denotano una fedeltà ammirevole a certi valori (libertà, giustizia, dignità, solidarietà, ecc.), che però egli non ha mai considerato come astrazioni sovrastanti la realtà umana, ma ha sentito situati nel vivo della storia, la quale è da essi internamente fermentata. Questa profonda convinzione non gli è derivata da nessun credo ideologico, e da nessuna dottrina sociale, ma da un nativo istinto cristiano.

Questa tendenza alla storicizzazione dei valori permette il pragmatismo nell'azione (non il relativismo), consente dei mutamenti e delle correzioni degli obiettivi e dei mezzi che non sono un rinnegamento dell'”opzione fondamentale" dei principi. Il coraggio dell'innovazione è una diretta conseguenza di quell'”avventura cristiana" la cui necessità è stata formulata da Mounier negli ultimi anni della sua vita. E come tutte le avventure anche questa non è indolore: se si vuole ridurre la disoccupazione – faccio un esempio noto - si deve fra l'altro ridurre l'orario di lavoro, e ciò porterà alla necessità di sacrifici da parte di tutti, anche dei lavoratori, il cui salario non potrà non essere diminuito. E' in gioco la solidarietà, che per un cristiano vale ben più di qualche migliaio di lire. Lo so che per molti il discorso sul denaro è ostico (per Machiavelli gli uomini dimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio: pessimismo eccessivo, certo, ma con una buona dose di verità): Paolo d'altra parte diceva di predicare a tempo e controtempo.

Mi pare che Carniti sia stato un esempio insigne di come si possa essere un cristiano laico (cioè un cristiano la cui fede si manifesta nella vita e nelle opere, senza bisogno di essere pubblicizzata e sbandierata in ogni occasione): il contrario di un "uomo-di-ideologia". E questo è il primo motivo della mia stima.

Il secondo motivo riguarda la sua coerenza interiore, il suo culto dell'autonomia, la sua concezione del potere (inteso come funzionale ad un progetto, e non ad un'ideologia), il rigore morale che si paga sempre con la solitudine.

Il suo franco parlare (anch'esso in sintonia con lo spirito evangelico) è in lui certo reso più agevole dal fatto che la sua formazione non è stata quella di un intellettuale. Ma c'è in lui un'intelligenza - vorrei dire una sapienza - nell'assumere la sua condizione di uomo libero nella sua lotta quotidiana per ribadire l'indipendenza del sindacato da coartazioni esteriori. Di questo sindacato - oggetto della sua fede umana – egli mai accettò il declino, soprattutto nei tempi di scoraggiamento diffuso, ma unendo il volontarismo al fideismo si batté, perché esso continuasse ad essere, dopo le necessarie trasformazioni, un punto di riferimento per le aspettative popolari.

Egli è.stato uno dei principali protagonisti della vita politica italiana degli anni ‘70 e della prima metà degli anni ‘80, ma un protagonista insolito e solitario, incurante delle alleanze quand'era in gioco la coerenza con se stesso. L'aver rimesso il mandato due anni prima che questo scadesse è cosa tanto insolita da far riflettere. Coerenza che lo portò a subire e ad assumersi l’impopolarità: da vari anni era un capro espiatorio per i comunisti (a Torino, durante gli scioperi della FIAT di alcuni anni fa, fu picchiato dai "soliti estremisti”; e nell'ultimo anno “Carniti-Craxi-Confindustria" era diventato uno degli slogan preferiti per la “cultura di massa" vetero e neo comunista).

Malgrado ciò egli è stato stimato da tutti, anche (e forse soprattutto) dagli avversari: certo, parlo degli avversari che conoscono cos'è la dignità, non della canea dei clienti mobilitata per agitare la piazza. Ciò si deve appunto al fatto che Carniti è un uomo di principi e non di partito, abituato ad esprimersi secondo la sua coscienza e le sue convinzioni, non cassa di risonanza della voce del padrone. Non per questo è stato un anarcoide, al contrario, era convinto che una forza sindacale fortemente organizzata fosse indispensabile per portare avanti le richieste dei lavoratori e per il buon funzionamento della democrazia nel nostro Stato. Ma il discorso sul potere, per quanto importante, ora subordinato a quello sulla moralità: non che si trattasse di due discorsi separati, ma piuttosto di una stretta interrelazione, che potrebbe definirsi come discorso sulla “moralità nel potere".

 

Ettore De Giorgis




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