RIFLESSIONI SUI SALMI (V)
ATTUALITA’ DEI SALMI
L'io è al centro dei
salmi, come lo è l'umanità intera: si prega Dio insieme agli altri uomini ed a
tutta la creazione. Questa dimensione personale e comunitaria è presenúe
nell'orazione della cristianità orientale, che usa intercedere secondo questo
stile di globalità, per cui il fedele è unito nella preghiera a tutti gli
uomini, vivi e defunti. Noi invece preferiamo pregare "per": per le
nostre necessità, per i vivi, per i morti. Anche nella preghiera si riflette la
nostra mentalità, che riposa sopra una cultura individualistica.
Quest’io che prega nei
salmi, inoltre, è l'io biblico, un'anima-corpo, un’anima-carne, che è qualcosa
4i ben diverso, nella sua interferenza e nella.sua indivisibilità, da una
semplice coesistenza di un'anima e di un corpo, come noi siamo abituati a
pensarci, influenzati da una "cultura della separazione” che ha le sue
radici nel platonismo, contro cui già metteva in guardia la prima lettera di
Giovanni, in cui si avverte la preoccupazione di salvaguardare l’essenzialità
dell'Incarnazione: "La prova che uno ha lo spirito di Dio è questa: se
riconosce pubblicamente che Gesù è il Cristo che si è fatto uomo, ha lo spirito
di Dio. Se non lo riconosce non ha lo spirito che viene da Dio, ma quello
dell'anticristo".(4,2-3). E la “legge dell'Incarnazione”, è ovvio, vale
non solo per il Cristo, ma per tutti gli uomini, che costituiscono il corpo di
Cristo.
Non c’è soltanto
materialità nell'uomo biblico: le cose quotidiane, infatti, hanno per Lui un
valore in sé, insieme ad un valore simbolico: se il pane ed il vino sono dei
mezzi di sostentamento, essi hanno anche un valore simbolico, sono
"segni" di vita (ed è nel prolungamento di questa tradizione che va
visto il gesto consacratorio di Gesù). Certo, per i credenti dell'Antico
Testamento tutto capita all'uomo prima della sua morte, nulla – o almeno nulla
di certo - dopo di essa. Questa vita è quindi per loro un breve incontro con
Dio, cui non bisogna assolutamente venir meno: pertanto essi devono affrettarsi
ad amare e a lodare Dio, poiché oltre i confini della vita non lo incontreranno
più. In questa prospettiva religiosa l'esistenza di.Dio e l'immortalità
dell’anima non sono strettamente congiunte come nelle grandi religioni dell’antichità, ma ciò non deve
indurci a considerare con sufficienza un'esperienza religiosa indubbiamente
limitata. Come infatti Israele passò progressivamente dal politeismo al
monoteismo, dalla concezione di un Dio nazionale a quella di Jahvè signore
dell'universo, "dio degli dei", con la stessa lentezza la pedagogia divina portò il popolo
ebraico alla fede in una vita post-terrena, a credere non nell'immortalità
dell'anima ma alla risurrezione del corpo, di cui la risurrezione di Cristo
sarà la prova definitiva, come afferma Paolo in un passo di straordinaria
intensità: “Noi dunque predichiamo che Cristo è risuscitato dai morti. Allora
come mai alcuni tra voi dicono che non. vi è risurrezione dei morti? Ma se non
c'è risurrezione dei morti, neppure Cristo è risuscitato, la nostra
predicazione è senza fondamento e la vostra fede è senza valore. Anzi finiamo
per essere falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo affermato che egli
ha risuscitato Cristo. Ma se è vero che i morti non risuscitano, Dio non lo ha
risuscitato affatto. Infatti se i morti non risuscitano, neppure Cristo è
risuscitato. E se Cristo non è risuscitato, la vostra fede è un'illusione, e
voi siete ancora nei vostri peccati. E anche i credenti in Cristo che sono
morti sono perduti. Ma se abbiamo sperato in Cristo solamente per questa vita,
noi siamo i più infelici di tutti gli uomini. Ma Cristo è veramente risuscitato
dai morti, primizia di risurrezione per quelli che sono morti" (1 Cor
15,12-20).
Per gli autori dei
salmi, l'uomo, in quanto immagine di Dio, è vicino all'essenza divina ed alla
propria essenza "divinizzata", tuttavia egli è anche creatura
fragile: qui sta il dilemma drammatico dell'uomo biblico, illuminato da qualche
sparso bagliore nel corso dell'Antico Testamento, ma pervaso di luce a seguito
della resurrezione di Cristo. Per questo la nostra prossimità con l'Antico
Testamento, anche se reale, non può che essere relativa, in quanto esso in
genere è estraneo alla prospettiva escatologica. Tuttavia i cristiani (che
spesso, soprattutto in passato, sembravano interessarsi soltanto al cielo,
trascurando la terra) devono convincersi che la risurrezione di Cristo non
riguarda soltanto l'al di là, ma anche la nostra vita terrena. Come Cristo, gli
uomini sono esseri indissolubilmente immanenti e trascendenti.
Per gli evangelisti ed i
destinatari dell'Evangelo i salmi hanno un valore profetico, in quanto essi
parlano "in figura" di Gesù. Questo discorso prolungato nel futuro
non è sempre stato accettato, perché non è una prova in senso scientifico (e
ciò spiega perché molti non abbiano creduto e non credano): è piuttosto
l'indizio di una fede che si fonda sull'esperienza, e che addita il modo con
cui molti hanno creduto e credono oggi.
Gesù è prefigurato nei
salmi, e additato "senza figura" nel Nuovo Testamento, come colui che
obbedisce, che fa la volontà dei Padre: noi conosciamo la via che egli ha
tracciato, anzi è lui la via, lui che realizzò il disegno di Dio scritto nel
cuore degli uomini. Tra il Padre e il Figlio vi è l'opera dello Spirito, presente
nelle fibre di un popolo sottoposto alla prova, di un popolo di fedeli che,
quando vengono meno i grandi prodigi, si trova nelle crisi più acute: questo è
vero per il popolo.di Israele e per la Chiesa, ieri come oggi. Come l'autore
del salmo 22, anche Gesù fu abbandonato dal Padre, poiché egli doveva caricarsi
nella sua innocenza del peccato di tutti gli uomini; ed anche noi - immagini di
Gesù e templi dello Spirito - conosciamo quest'abbandono che ci fa gridare
nella solitudine della desolazione: "Perché? Perché?”. In quest'attitudine
angosciata, che tuttavia spera contro ogni speranza, si realizza l'”imitazione
di Cristo”, non nel volontaristico tentativo di colmare con i nostri
"meriti" l'abisso incolmabile che ci separa da lui.
Il salmista è un uomo in
cammino, un pellegrino permanente, ed è per questo che negli inni ricorrono
spesso le immagini della strada e dei piedi che devono essere sicuri per non
inciampare. Il pellegrinaggio ha come meta la montagna di Sion, immagine del
Regno di Dio: "Quale gioia quando mi dissero: / 'Andremo alla casa del
Signore'./ E ora i nostri piedi si fermano/ alle tue porte, Gerusalemme!"
(Sal 121,1-2). Ma alla Gerusalemme celeste si perviene attraversando la terra
nel suo spessore, non evadendo da essa. L'esempio di Gesù non lascia dubbi al
riguardo: all'inizio della sua vita pubblica il Tentatore gli propone una
scorciatoia per la sua missione, riferendosi al salmo che afferma: “Egli darà
ordine ai suoi angeli/ di custodirti in tutti i tuoi passi./ Sulle loro mani ti
porteranno/ perché non inciampi nella pietra il tuo piede" (Sal 90,11-12).
Ma Gesù risponde a Satana di non mettere Dio alla prova, e il suo atteggiamento
ci serve ancora come modello, perché comprendiamo che la nostra è una vita
umana e non angelicata.
La recitazione dei salmi
è per noi, come era per il popolo di Israele e come fu per molte generazioni di
cristiani, un atto di tradizione, per cui è richiesta anche a noi l'attenzione
domandata al popolo uscito dalla schiavitù d'Egitto: “Shema, Israel” (ascolta,
Israele). Come scrive Paul Beauchamp, dobbiamo “essere noi stessi l'attualità
dì un messaggio che non ha in noi la sua origine" (1), affinché la nostra
storia possa congiungersi alla storia delle imprese di Dio.
Talora i salmi, con i
loro contrasti e le loro contraddizioni, possono apparirci meno belli, meno
armoniosi del nostro ideale: purtroppo molti di noi hanno ricevuto
un'educazione spiritualistica, che faceva poco conto della nostra condizione
umana e che porta una grande responsabilità nei confronti della reazione
materialistica che da alcuni secoli si è diffusa nella cultura dell'antica
cristianità. Ma se questi salmi sono riferiti al Cristo si comprende che cosa
significhi l'incarnazione del Verbo, la sua assunzione della natura umana. Di
fronte a tale "ideale idealistico" risalta in modo ancora più
evidente il profondo realismo del paradossale inno della lettera ai Filippesi:
"Comportatevi come Cristo Gesù: / “gli era come Dio,/ ma non pensò di
dover conservare gelosamente / il fatto di essere uguale a Dio./ Rinunziò a
tutto;/ scelse di essere come servo/ e diventò uomo fra gli uomini./ Tanto che
essi lo riconobbero come uno di loro./ Abbassò se stesso e fu ubbidiente a Dio
sino alla morte,/ alla morte di croce./ Per questo Dio lo ha posto al di sopra
di tutto,/ e gli ha dato il nome più grande che esiste./ Così ora, per onorare
il nome di Gesù, ognuno,/ in cielo, in terra e sotto terra, pieghi le
ginocchia, glorifichi Dio Padre e dichiari:/ Gesù Cristo è il Signore"
(2,5-11).
Ettore De Giorgis
(5. fine)
(1) “Salmi notte e
giorno", Ed. Cittadella, p.34.