RIFLESSI0NI SUI SALMI (IV)
LA SOLIDARIETA’ CON LA CREAZIONE
La preghiera dei salmi
non riguarda soltanto l'individuo e va anche al di là dell'umanità, essa è
preghiera di tutta la creazione, la quale si esprime attraverso il.poeta e
canta la lode di Dio: ciò significa che Dio ha dato un senso alle cose, che
nulla è casuale nel mondo. L'uomo, non essendo un essere che crea dal nulla,
non può comprendere il mistero del Dio creatore, quindi non può capire
dall'interno il senso - il senso della sua vita, della natura, della storia -
poiché egli è circondato dal non-senso, ossia dal peccato, può tuttavia
esprimere poeticamente tale senso, e questo è il suo modo di partecipare alla
creazione divina (etimologicamente “poesis” significa infatti "creazione").
Il racconto della
creazione è per l'uomo legato indissolubilmente con la storia sua e dei suoi
antenati, che è iniziata con l'esperienza sensibile, in un tempo mitico in cui
gli uomini comandavano dolcemente alle cose ed agli animali; ma con il peccato
l'uomo è rientrato in se stesso, nella sua piccolezza di creatura che non
accetta di essere immagine del creatore ma vuole emularlo, e così egli è
divenuto simile agli animali, ossia ha perduto la somiglianza divina su cui si
fondava il suo potere su loro, e se si impone agli animali lo fa con la
violenza, non con la parola, che ha il potere di dare la vita, come afferma il
libro della Genesi: "Tutto ciò che l'uomo indicò aveva nome di 'essere
vivente’; l'uomo indicò con il loro nome tutti gli animali, tutti gli uccelli
del cielo e tutte le bestie dei campi" (2,19-20). La guerra, che ormai è
iscritta come legge di morte nella creazione, cesserà soltanto quando Dio avrà
guarito l'uomo dal suo peccato, come esprimono i passi messianici dei capitoli
2 e 11 di Isaia, cui si riferisce Gesù quando afferma che i miti possederanno
la terra.
Vi sono dei salmi che
cantano la creazione vicina, quotidiana e permanente, la creazione nella sua
evoluzione, poiché Dio continua a creare senza intermittenza: qui l'inno
esprime i sentimenti di un testimone personale, di un poeta lirico; altri
componimenti considerano invece la creazione lontana, e si fondano
sull'esperienza diretta di un popolo di cui narrano la storia, e questo canto
assume l'aspetto di un racconto epico, dì una,"chanson de geste”. Ma
entrambi i generi, il lirico e l'epico, si rapportano all'attualità.
Il salmo 135 (la
numerazione è quella del salterio corale a cura dell'Unione Monastica Italiana
per la Liturgia) si presenta come un riassunto evocativo dei fatti salienti
della Bibbia (intervallati dal ritornello "perché eterna è la sua
misericordia"), dal libro della Genesi a quello di Giosuè: la prima parte
è un racconto della creazione e ci presenta le meraviglie del mondo da cui
l'uomo è circondato, la seconda parte ha il tono dell'epopea storica, ed esalta
il succedersi delle imprese che compie Israele sotto la guida di Dio. Lo spazio
ed il tempo manifestano nel poema la loro complementarietà, poi ché essi sono
le due componenti della condizione umana. La creazione è come la prefazione al
racconto della storia, in cui prendono corpo le promesse della creazione
stessa. Il rapporto dell'uomo con Dio non è immediato, esso passa attraverso il
rapporto con gli altri uomini, e per questo è situato nella storia (in questo
senso la mistica ebraica si differenzia da quella greca, dal platonismo e dallo
stoicismo). Questa relazione interumana, questa comunione si innesta sul fatto
storico della liberazione dalla schiavitù, ed ha come conseguenza la necessità
di giustizia.
Nei salmi 73 e 88
l'autore medita sulla creazione, sugli albori del mondo, ed i poemi hanno uno
straordinario vigore epico, presentando Dio come un guerriero che trionfa sul
caos: "Tu con potenza hai diviso il mare,/ hai schiacciato la testa dei
draghi sulle acque./ Al Leviatàn hai spezzato la testa,/ lo hai dato in pasto
ai mostri marini./ Fonti e torrenti tu hai fatto scaturire,/ hai inaridito
fiumi perenni" (Sal 73,13-16). Si avverte l'eco dei miti originari delle
religioni di ogni popolo, da quella mesopotamica a quella greca, da quella
indiana a quella scandinava, né c'è da stupirsi: la Bibbia infatti si immerge
nelle grandi credenze pagane, per liberare e portare fino a noi la parola di
verità che vi si nasconde (poiché la rivelazione primigenia, o “noanica”, è
universale) e che è diretta a, tutti gli uomini.
Scrive Paul Beauchamp:
"Dio crea parlando ... Dio crea tacendo... Dio crea ora... Dio creò al
principio ... Dio creò le fibre più delicate dell'essere vivente ... Dio crea
per una promessa contro la morte... Dio crea dei mortali senza rendere la loro
natura più forte della morte. E adesso leggiamo che Dio crea in un corpo a
corpo vittorioso da cui il caos esce sconfitto. Così la Bibbia dice sulla
creazione ora una parola ora un'altra, ma queste parole formano un cammino, che
non basta descrivere nello stile dello spettatore. Occorre percorrerlo"
(1).
Creazione dal caos,
quindi e creazione della storia. Ma questo significa pure prossimità di
creazione e di morte. I salmi 73 e 88, infatti, esprimono l'angoscia di una
morte imminente e ricordano a Dio l'atto della creazione: nel primo dei due
poemi si innalza il grido del popolo, nell'altro quello del re, rappresentante
del popolo. Israele per la sua infedeltà ha perduto i benefici dell'alleanza,
ed il ricordo dei tempi in cui Dio lo guidava alla vittoria costituisce appunto
la sua storia. Creazione e storia, si diceva, hanno un'origine comune, tanto da
essere quasi interscambiabili: se infatti la creazione vicina è la mia salvezza
(la mia e quella del popolo in cui vivo ora), la salvezza universale è la
creazione lontana, che strappa gli uomini e i mondi al caos. Tuttavia la
creazione, a motivo della sua non definitività, è anche novità di creazione e
speranza di quella salvezza che Israele aspettava e che noi pure attendiamo.
Essendo l'uomo immagine
di Dio, egli partecipa del suo potere creativo, è anch'egli creatore,
"poeta". Ma la Bibbia distingue fra questa attività creatrice
dell'uomo, legittima ed anzi doverosa, e l'idolatria, in cui l'uomo non sa e
non vuole riconoscere la distanza che lo separa da Dio, non accetta la sua
"subalternità", per usare un'espressione di S. Tommaso. Ciò che fa
diversi gli idolatri dagli israeliti è che l'attività dei primi non vuole
sottomettersi ad alcuna legge divina, mentre i secondi sono posti sotto la
Legge, la quale è promessa di una nuova creazione, di cui quella presente non è
che un'anticipazione: pertanto i salmi della promessa (insieme ad altri passi
messianici dell'Antico Testamento, soprattutto nei profeti) preludono all'Evangelo,
in quanto annunciano la venuta del Regno di Dio. Io credo che i cristiani
abbiano edulcorato troppo questo proclama: prima si è identificato, o quasi, il
Regno con la Chiesa, "societas perfecta"; poi si è cercato la
dolcezza dell'incontro con Dio essenzialmente nell'intimità del proprio cuore;
quindi ci si è rassegnati alla crescente laicizzazione abbandonando il mondo
per il cielo; ora si è di fronte a certi "revival" religiosi ambigui,
in cui si accoppiano la velleità da "conquistadores" e l'intimismo
devozionista, per non parlare del culto della personalità. Chi ha orecchi per
intendere intenda. Una sana teologia - che è sempre biblica, e quindi
"tradizionale" ed è sempre nuova, poiché il Vangelo va annunciato in
tutti i tempi e in tutti i luoghi - non disprezza il qui-ed-ora mondano, perché
è in esso che germinano i fermenti del Regno di Dio, ma ha sempre un'attitudine
critica verso tutte le realizzazioni spirituali ed ecclesiali, considerate
nella loro relatività. La "scientia Dei" non è mai colta dalla “sacra
doctrina”, affermavano gli scolastici. E questo vale non soltanto per il
rapporto tra fede e teologia, ma anche per quello tra Regno di Dio e Chiesa
(nonché spiritualità).
Nella celebrazione delle feste ebraiche era normale che si cantassero insieme la creazione e la salvezza: così i salmi divenivano universali ed erano un invito anche per i Gentili, poiché la creazione riguarda anche loro. Ma se essi sono entrati nel piano divino della creazione, vi entrano anche in quello della salvezza: e non solo singolarmente, ma in quanto "nazioni", come intuirono alcuni autori di salmi: “Ti lodino i popoli, Dio, ti lodino i popoli tutti,/ Esultino le genti e si rallegrino,/ perché giudichi i popoli con giustizia,/ governi le nazioni sulla terra" (Sal 66,4-5); "In lui saranno benedette tutte le stirpi della terra / e tutti i popoli lo diranno beato” (Sal 71,17). E Paolo completa questa riflessione, affermando che l'elezione d'Israele è la via che Dio ha scelto per essere un giorno presente a tutti i popoli della terra, senza alcuna distinzione: "Gli ebrei hanno inciampato, ma io mi domando: la loro caduta è definitiva? No di certo! Ma la loro caduta ha favorito la salvezza degli altri popoli, e ciò per spingere gli ebrei alla gelosia. Se la loro caduta ha già arricchito il mondo e il loro fallimento ha avvantaggiato gli altri popoli, quale maggiore beneficio si avrà
quando tutti loro
accetteranno il Cristo?'' (Rom 11,11-12).
Ettore De Giorgis
(4. continua)
(1) "Salmi notte e
giorno", ed. Cittadella, p. 220.