RIFLESSIONI SUI SALMI (I)
LA CONDIZIONE UMANA
I Salmi sono stati
oggetto di recitazione e di meditazione per innumerevoli generazioni di Ebrei,
e fino al tardo Medioevo furono pure la preghiera privilegiata della
Cristianità occidentale. Poi, almeno nella Chiesa cattolica, divennero quasi un
monopolio del clero, finché il risveglio biblico di questo secolo ridiede loro
la centralità primitiva. Come nell'età patristica e scolastica, il periodo
post-conciliare ha visto la fioritura di molti libri sui Salmi (commenti,
attualizzazioni, riscrizioni, etc.). In questo modo si fa opera di ecumenismo,
in primo luogo con le altre Chiese cristiane per cui tali preghiere furono
sempre essenziali (le Chiese d'Oriente) o ricuperarono la dignità primitiva (le
Chiese della Riforma), in secondo luogo con l'Ebraismo, in cui esse conservano
tutta l'importanza cui si è accennato all'inizio. Partendo da uno dei tanti
testi moderni che trattano della tematica dei Salmi (quello del francese Paul
Beauchamp) (*), in alcuni numeri di Koinonia vedrò di illustrare qualche motivo
ricorrente nel Salterio, avvertendo sin dall'inizio che tale lettura è
personale, e quindi può privilegiare certi aspetti ed altri lasciare in ombra.
Avviene sempre così, ma forse non è inutile ricordarlo.
1 – LA CONDIZIONE UMANA
Molti salmi sono
imperniati sul contrasto tra il giusto e l’empio: pare un atto teatrale ripreso
fino alla monotonia dalle prime come dalle ultime generazioni di autori, per
cui si avverte che qui siamo di fronte ad un genere letterario. Questo non
significa che si tratti soltanto di una finzione poetica: il senso letterale
coesiste con quello allegorico e spirituale. Da una parte dunque il salmista,
che si dichiara giusto, che difende la sua causa, che dice la verità - in modo
sommesso o con grandi grida, piangendo o adirandosi - di fronte a Dio e agli
uomini; dall'altra parte il dispregiatore o i dispregiatori della giustizia,
gli ipocriti, gli scettici, i cinici; e poi Dio, assente dalla scena del mondo,
ma la cui presenza - graduale o irruente - separa ad un certo punto i
protagonisti, innalzando il primo e abbassando l'altro (o gli altri).
Il salmista ripete con
ossessione gli stessi motivi: i nemici vogliono la sua perdizione e la sua
morte, il loro attacco è premeditato, e pertanto essi non si servono di armi
d'assalto, ma di strumenti di cattura (per es. le reti); essi odiano il giusto
a causa della loro invidia e avarizia, perché il giusto è un uomo di un'altra
razza, ha interessi ed attitudini diverse dalle loro. Io penso al conformismo
del nostro tempo e di tutti i tempi, che è come una trappola che cerca di
catturare gli uomini liberi: e quando qualcuno osa ribellarsi alle mode del
tempo - ai miti dello stadio, della canzone, della televisione, delle vacanze -
la canea delle riprovazioni lo avvolge, e si dirà di lui che è un élitario, un
demente, un selvatico, o semplicemente - con una certa spontaneità popolaresca
- che non sa godersi la vita. Ma, come i malvagi dei salmi sono affascinati
dalla presenza del giusto, che sentono come loro cattiva coscienza, e per
questo si augurano che scompaia, così l'irritazione della folla per chi non si
conforma al suo gusto denota che in fondo costui gode di un certo prestigio e
che egli eventualmente potrebbe indurre ad un esame di coscienza che non si
vuol fare. E allora, dal momento che nelle nostre società non è più ammessa la
pena di morte, bisogna almeno isolare gli uomini pericolosi, perché non
contagino le masse... E sia ben chiaro, il conformismo non è soltanto civile,
ma pure religioso, anche se questo ha connotazioni sue proprie: io conosco
delle persone che hanno pagato per aver affermato la loro libertà di figli di
Dio. Qualche volta vengono "riabilitati", in genere dopo la morte.
L'uomo che nei salmi si
lamenta è malato nel corpo, ed inoltre perde le amicizie, tutti sono contro di
lui, è come un uomo che debba essere processato. Nell'Antico Testamento c'è un
forte senso della materialità della vita, ma ciò non significa che si pensi
soltanto materialmente (o, peggio ancora, materialisticamente): gli autori
biblici attestano che le preoccupazioni di Israele vanno oltre il pensiero del
corpo. anche quando non si era ancora giunti ad elaborare il concetto di
immortalità personale; l'uomo ebreo sopravvive nel ricordo e prolunga la sua esistenza
nella discendenza. Chi parla nei salmi è un uomo singolo, ma è anche il popolo
di Israele: e i nemici sono gli ebrei infedeli (alla lettera o allo spirito
della Legge), ma sono pure le “nazioni”, le “isole”, i popoli pagani che
circondano Israele e che non sopportano la sua specificità di popolo della
Promessa.
Del male sono simbolo le
fauci che divorano, le acque, le reti, etc. ed il male è incomparabilmente più
forte di noi (infatti i nemici del salmista sono numerosi e potenti). E'
soltanto Dio che può liberare dal male, e la fede consiste nel credere che Dio
ci farà liberamente il dono della libertà: “adjutorium nostrum in nomine
Domini". Ma la nostra impotenza è anche e soprattutto di ordine
spirituale: anche il giusto che si proclama tale deve ammettere che il peccato
è anche in lui, che egli è "simul iustus simul peccator”, come
opportunamente, rifacendosi a Paolo e ad Agostino, hanno ricordato gli uomini
della Riforma. Noi non possiamo liberarci dal male perché questo è radicato in
noi, perché essendo peccatori usiamo contro il male delle armi malvagie. Non è
la nostra azione che può darci la salvezza: occorre rovesciare il rapporto, ed
arrivare ad ammettere che prima viene la salvezza, e che questa soltanto ci dà
la possibilità di agire. Il giusto, quindi, non è chi è tale per i suoi meriti,
ma colui al quale Dio ha reso giustizia: egli pertanto non farà del male al
malvagio, che è già vittima del suo peccato, e così parteciperà all'azione di
salvezza di Dio.
E' tutto così semplice?
Non credo. Pensiamo alla guerra: i salmi epici, e non soltanto quelli,
illustrano e lodano le azioni militari di Israele. I secoli di cristianità
furono costellati di conflitti, contro i non cristiani e tra cristiani. Un
certo pacifismo evangelico vede in questa storia una perversione spirituale.
Io, che non sono pacifista, penso diversamente. In primo luogo non mi pare che
la teoria tradizionale della "guerra giusta” si debba semplicisticamente
considerare un'aberrazione da
ripudiare, ma che esiga una riflessione storica e teologica che ne evidenzi i
limiti ma anche il nucleo di verità: in certe occasioni non si ha tanto e
soltanto il diritto di difendersi, quanto piuttosto il dovere. Inoltre non si
può far discendere dalla Scrittura una "teoria della pace e della guerra",
poiché in tal caso si farebbe del Cristianesimo un'ideologia. Ognuno, nelle
determinate situazioni, deve scegliere, accettando anche di assumere su di sé
il male, quello proprio e quello degli altri. So bene che questo discorso
meriterebbe un ben altro sviluppo.
La passione di Cristo è
prefigurata nei salmi: anche Gesù è vittima dell'ingiustizia, di un concorso di
volontà nemiche, come il salmista che è circondato dagli avversari; anche in
questo caso i malvagi sono più forti del giusto, e la liberazione viene solo da
Dio. Tuttavia i salmi hanno una loro consistenza storica e letterale, non sono
soltanto prefigurazioni ed allegorie, per cui la lettura spirituale dove
fondarsi sull'esegesi: il dramma di Gesù fu vissuta prima dì lui da molti
uomini, e molti altri lo vissero in seguito: ma Gesù entrò come "peccatore
innocente" (secondo la straordinaria espressione di Bonhoeffer) in tale
realtà drammatica per darle il compimento (“consummatum est") e per
trasfigurarla nello stesso tempo dall'interno. Paul Beauchamp esprime con
precisa concisione questa situazione: “Noi siamo, infatti, meno disposti dei
nostri antichi a concludere che Dio accordò al salmista una visione
anticipatrice 'diretta' della passione e della resurrezione del Cristo. L'idea
di una profezia 'indiretta' ci sembrerebbe di una pienezza più grande.
Intendo per 'indiretta' la profezia che ha all'inizio per oggetto delle realtà vicine, la sorte dei contemporanei, le esperienze con le quali queste partecipano in anticipo alla prova del Cristo e alla sua salvezza" (p. 260).
Ettore De Giorgis
(1. continua)
(*) P. Beauchamp: “Salmi
notte e giorno”, Cittadella editrice, Assisi 1983, pp.282, £ 10.000.