I FASCISMI E IL FASCISMO  (II)

Molti uomini di cultura condivisero, tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, le critiche contro la società moderna, intesa come espressione di un materialismo grigio, di un'idolatria del denaro e, di conseguenza, di una mancanza di ideali da proporre. Sono note le critiche di Péguy, e più tardi di Mounier, che muovono da profonde motivazioni spirituali; .ma la polemica si ritrova pure in socialisti umanitari come Pascoli e Ada Negri, in nazionalisti come Barrès e D'Annunzio. Nessuno di loro, però, può dir si un "fascista", a meno di non voler forzare il termine.

Le idee fasciste, infatti, sono quelle che vogliono imporsi con la violenza, e che quindi sostituiscono alla polemica il terrorismo di gruppo, di partito e di Stato. Nell'Europa fra le due guerre si imposero vari regimi che si possono considerare senz'altro autoritari, e anche "fascismi", ma in senso lato: penso all'Ungheria, alla Romania, alla Polonia, alle Repubbliche Baltiche (Lituania, Lettonia, Estonia); Portogallo e Spagna conobbero due tipi diversi di dittatura, la prima fondata sulla polizia segreta, la seconda sull'esercito; nel Belgio, nella Francia e nell'Inghilterra i gruppi fascisti furono più o meno attivi, ma la tradizione democratica di quei Paesi impedì loro di affermarsi. La Francia, tuttavia, dopo la sconfitta del 1940, conobbe l'ibrida esperienza della Repubblica di Vichy, ove fino al 1942 coesistettero dei democratici e dei totalitari: ma la Francia aveva conosciuta una sua forma di tentazione assolutistica, espressa dall'”Action Française”, fondata su una tradizione monarco-clericale alla francese, e quindi solo superficialmente accomunabile al fascismo italiano.

Questo è il vero fascismo in senso proprio. Sua caratteristica iniziale è di rifiutare di scegliere tra destra e sinistra, volendo essere qualcosa di nuovo. Che questa velleità sia abortita ben presto è fuor di dubbio, perché il fascismo si alleerà presto agli ambienti industriali, finanziari e agrari: ma il fascismo non è una filiazione della destra, se non altro perché questa ha una dignità culturale che in esso manca. Anzi, esso non ha una sua cultura (a differenza del nazismo), per cui si costruisce una dottrina a mosaico, ricevendo apporto da più parti: non deve stupire se i due suoi maggiori ideologi, Gentile e Rocco, provengono l'uno dal liberalesimo e l'altro dal nazionalismo, e non sono dei fascisti della prima ora. La precarietà di una tale costruzione teorica fu puntellata da una demagogia di bassa lega, che riuscì a far presa in una cultura sottosviluppata come era quella dell'Italia rurale, mentre non penetrò molto in profondità negli ambienti intellettuali e nelle zone di tradizione operaia. Ciò spiega come il tracollo nel 1943 sia stato improvviso e indolore; e il secondo fascismo della Repubblica, di Salò non fu certo un'espressione di base, ma fu creato per ordine degli occupanti nazisti.

Il fascismo in senso proprio è pertanto un fenomeno ben circoscritto, un fenomeno italiano: non una parentesi storica, però, come credeva Croce. Se infatti non deriva dalla destra, come troppo spesso si pensa ancora, esso ha radici profonde nell'insuccesso della classe politica post-risorgimentale a fare dell'Italia unita un Paese europeo, allineato sul modello delle democrazie parlamentari: sottosviluppo economico e sociale, intrigo e corruzione in politica, scadimento degli ideali, scarso senso democratico degli ambienti monarchici e militari, burocratismo inetto e parassitario, frustrazione dei ceti medi, sono alcune delle lontane radici su cui si innestò il fascismo, che per affermarsi dovette però attendere una congiuntura interna ed internazionale favorevole, quel primo dopoguerra così tormentato e caotico, dominato dalla cecità dei politici italiani ed occidentali.

Come il fascismo italiano non fu un rampollo della destra liberale, così esso va distinto dal nazismo, la cui teoria è molto più organica, lucida, inflessibile, spietata, e che per questo si accosta molto di più allo stalinismo, con il quale ha anche in comune il fatto di essere un capitalismo di Stato, cosa che non fu affatto il fascismo, che è piuttosto un assolutismo da Paese sottosviluppato, una sorta di "caudillismo", in cui però il capo carismatico (il Duce) coesiste accanto alla figura rivale-alleata del Re (più alleata che rivale, però...).

Anche l'antisemitismo, essenziale nella dottrina nazista (e più tardi in quella staliniana), non ha un  gran peso nel fascismo, dal momento che in Italia mancava una tradizione in tal senso; è soltanto quando si ha l'accostamento, che in realtà si rivela ben presto come una subordinazione, dell’Italia alla Germania che si riecheggiano anche da noi i luoghi comuni contro gli ebrei, e che si adottano in seguito misure discriminatorie nei loro confronti. L'Italia è assediata dalla coalizione demo-pluto-giudaico-massonica, dice Mussolini, geniale creatore di questa espressione composita... Ma, malgrado le declamazioni ducesche, non si arriva mai alle aberrazioni cui giungono non soltanto i nazisti, ma anche gli antisemiti francesi nella Repubblica di Vichy.

Io mi auguro che questo breve contributo su "I fascismi e il fascismo” abbia  seguito, vi siano cioè approfondimenti ed anche reazioni da parte di qualche lettore. Qui non si sono volute indicare che alcune piste di un percorso che occorre sfoltire per comprendere meglio un periodo della storia contemporanea di cui noi viviamo le conseguenze dirette.

 

Ettore De Giorgis

 (2. fine)   



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