I FASCISMI E IL FASCISMO (I)
Negli ultimi anni si è
cominciato, da parte di studiosi non allineati, a fare un discorso serio sul
periodo storico, europeo e italiano, che va dagli ultimi anni dell' Ottocento
all'immediato primo dopoguerra, epoca in cui germinarono numerosi movimenti
culturali e politici che soltanto più tardi si sono accomunati sotto la ambigua
denominazione di “fascismo" (o “fascismi"). Qui si tenterà di fare un
po' di luce su tali fenomeni, evidenziando gli elementi che sono loro più o meno
comuni, ma che non si riscontreranno tutti in quell'esperienza singolare che fu
il fascismo italiano, il quale d'altra parte aggiungerà altri apporti alla sua
dottrina iniziale, più che esitante, anzi pressoché inesistente.
Nella seconda metà
dell'Ottocento si apre una grande crisi di valori, che coincide con la fine del
Romanticismo come espressione culturale e spirituale unitaria. In certi Paesi
la crisi si avverte prima, in altri più tardi: quest'ultimo caso è quello
dell'Italia, in cui il cemento risorgimentale ritarda una visione realistica
della situazione economica, sociale, politica, culturale e religiosa. Caduti i
grandi ideali, si afferma la moda del positivismo, in cui si considera la
scienza come una vera "religione umana”, la liberatrice dell'umanità. Il
mito dello scientismo resiste per qualche decennio, sempre più stancamente. Ma
già alla fine dell'Ottocento, anche in Italia, si avverte la sua inadeguatezza a rispondere alle aspettative
di coloro che ricercano non delle cifre e delle statistiche, ma un senso alla
loro vita.
Almeno due generazioni
ricercano, tra l'ansia e lo scetticismo, questo senso, due generazioni di
solitari, perché anche le Chiese, timorose e difensive di fronte all'insolenza
di un anticlericalismo che si ammanta di modernità, non sanno offrire ampie
prospettive. Uno dei rappresentanti più sinceri di questo sbandamento in Italia
è Gozzano, il cui studio a mio avviso va più approfondito a questo riguardo.
Le generazioni deluse e
contestatrici si contraddistinguono per alcuni elementi fondamentali, comuni a
tutti gli intellettuali scontenti d'Europa:
1) l'anti-democratismo:
essi non si vogliono né di destra né di sinistra, rifiutano la democrazia
"borghese", cui talora oppongono (è il caso della Francia) la
repubblica "popolare", e quindi scadono spesso nel populismo;
2) l'anti-borghesismo:
essi sono per il popolo (per un popolo astratto, il “Volk” dei preromantici
tedeschi), talora per i signori (quelli del passato, idealizzati, dotati di
virtù cortesi); in questa polemica sono
spesso sostenuti dalla piccola borghesia, frustrata nelle sue aspirazioni e
piena di astio contro la grande borghesia, quella che conta;
3) il nazionalismo:
ricollegandosi al romanticismo, soprattutto a quello germanico, essi esaltano
il ruolo della nazione e della patria, e tendono ad identificare questi due
concetti con quello di Stato; si ha quindi la rivalutazione dell'identità e
della tradizione nazionale;
4) l'organicismo (o
corporativismo), ossia la nostalgia di una società omogenea, il cui modello si
ricerca nella storia romana o in quella medievale, che aveva avuto una grande
funzione nel passato, ma che era inadatto ad affrontare i problemi posti dalla
società moderna; questa sensazione di inadeguatezza spingeva ad una.soluzione
futurista, contraddittoria e coesistente con la precedente; ma entrambe
rivelano un rifiuto del presente, ed un'evasione verso la nostalgia o l'utopia;
5) l'autoritarismo: i
decenni a cavallo dell'Ottocento e del Novecento vedono in quasi tutti gli
Stati (ad eccezione dell'Inghilterra) un’accentuata prevalenza dell'esecutivo
sul legislativo, il trionfo del trasformismo e della partitocrazia; questa
degenerazione democratica provoca come reazione, nei ceti medi e soprattutto
presso gli intellettuali, un elogio della forza contrapposta ai compromessi dei
mediocri;
6) contro la modernità
depravata, si va affermando il concetto di una religione d'ordine, al servizio
del potere oppure "collaboratrice autonoma" d'esso (nel senso che i
fini sono simili, mantenere l'ordine in vista del bene dei cittadini o delle
anime); è una versione aggiornata della religione “principesca" di cui era
stato teorico Machiavelli;
7) in economia, contro
il mercantilismo dei borghesi, si va affermando una tendenza protezionistica,
fondata su motivi di prestigio più che su calcoli economici, e che sfocerà più
tardi in aspirazioni che manifestano velleità autarchiche;
8) vi è ovunque, verso
questi contestatori radicali del sistema, una chiara opzione espansionistica,
non tanto economico-politica quanto civile e culturale: la prima guerra
mondiale sarà definita dagli
intellettuali francesi come "la der des der" (l'ultima delle
ultime), e lo stesso pensano gli interventisti degli altri Paesi, che sono spesso
dei pacifisti delusi e frustrati, che sono pertanto indotti a credere che il
pacifismo sia la virtù dei vinti, e che occorra esportare la civiltà del
proprio Paese, così come al tempo della Rivoluzione Francese c’era chi pensava
di esportare con le armi tale esperienza in terra straniera.
Soltanto se si ha presente questo sottofondo culturale si può comprendere il perché di un “fenomeno fascista” affermatosi in Itali a (e con le dovute differenze in altri Paesi europei), ma germinato anche altrove.
Ettore De Giorgis
(1. continua)