LAICISMO E LAICITA' (II)
II PARTE: PER UNA VERA LAICITA'
Dal punto di vista
etimologico, il termine "laicità" deriva, come la parola
"laicismo", dal sostantivo greco "laòs" e dal suo aggettivo
"laikos". Ma è storicamente che i due significati si sono ben
differenziati.
La laicità riguarda
prioritariamente un'attitudine ed uno statuto di ordine religioso. Essa sta ad
indicare l'insieme del popolo di Dio, soggetto della Nuova Alleanza,
caratterizzato dal fatto che in esso risiede, per dono divino, il sacerdozio
universale dei fedeli: "Voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale,
una nazione santa, un popolo redento" (1 Pt 2,9). E' all'interno di questo
popolo, di questa funzione sacerdotale che si recluta la gerarchia
ecclesiastica, il cui compito è di essere al servizio dei fedeli: "Servo
dei servi di Dio", come in modo mirabile Gregorio Magno sintetizzò il
ruolo del Papa.
I primi concili ecumenici,
quelli fondamentali nella storia della Chiesa, furono convocati dagli
imperatori, ossia da laici; nei primi secoli cristiani una gran parte dei santi
e delle sante erano dei laici che vivevano nel mondo; ancora poco prima del
Mille la riforma della Chiesa fu voluta dagli imperatori della casa di
Sassonia. Questo per indicare in breve l'importanza del laicato cristiano nel
primo millennio della nostra era. Il discorso, per quanto precede e per quanto
seguirà, riguarda essenzialmente la Chiesa occidentale, poiché nella civiltà
bizantina le cose procedettero in maniera diversa, ma, data la complessità di
tale situazione, non è possibile tracciarne un prospetto in questa sede.
Progressivamente, e
attraverso lunghi e acuti contrasti, il clero emerge come casta separata, che
rivendica un potere prima religioso e poi anche politico. Il "dictatus
papae" di Gregorio VII /seconda metà del secolo XI) è un documento chiave
di questa evoluzione (o involuzione), come lo è la bolla "Unam
sanctam" di Bonifacio VIII (inizio del secolo XIV), La Chiesa rivendica
una competenza, diretta o indiretta, anche in campo politico: i principi
dovrebbero essere il suo braccio secolare. La confusione tra religioso e
politico è aggravata dal fatto che vi sono vescovi-conti, che tre dei sette
elettori dell'imperatore sono ecclesiastici, che in Francia una delle tre
componenti degli Stati Generali - accanto alla nobiltà ed alla borghesia - sia
costituita dal clero, ecc.
La ''promozione del
laicato" è strettamente legata al rinnovamento biblico, e quindi riguarda
soprattutto il secolo ventesimo. Da sacrestano o al più da agente (o subagente)
della gerarchia, il laicato riacquista l'importanza che esso ebbe nei primi
secoli cristiani (e, sempre meno, fino al Mille), Quest'evoluzione fu
ufficialmente sanzionata dal Concilio Vaticano II e, anche se tarda a passare
nella vita della Chiesa (a causa sia di abitudini passive sia di ostacoli
"attivi"), il fenomeno pare inarrestabile, tanto più che il movimento
ecumenico ha messo i cattolici a contatto con le realtà ecclesiali delle altre
Chiese cristiane, ove la laicità ha una lunga tradizione.
Ma la laicità è passata anche
ad indicare un'attitudine politica. Infatti la confusione tra il religioso ed
il politico ha avuto come conseguenza il clericalismo, che è un'abitudine
mentale propria non solo a molti preti, ma anche a moltissimi laici (o
"laico-sacrestani"): sarebbe la Chiesa, secondo costoro, a dare le
direttive non solo in campo religioso, ma anche nell'ambito temporale, Di qui
la così detta "dottrina sociale cristiana", l'invito-ordine alla
"unità politica dei cattolici", i partiti ed i sindacati cristiani,
ecc.
Eppure dai tempi di Abelardo,
e soprattutto con Tommaso d'Aquino, si erano poste le basi dell'autonomia del
profano dal sacro, della dignità della ragione, della distinzione tra fede e
scienza. Nei secoli successivi, con la formazione degli Stati autoritari
moderni e con l'affermazione della teologia manualistica, questi fermenti
furono in gran parte soffocati. Bisogna attendere la fine del secolo XIX e
soprattutto la prima metà del secolo XX perché il discorso venga ripreso,
soprattutto in Francia..I pensatori cristiani di questo tempo riscoprono il
valore positivo della laicità, che si configura come il contrario
dell'integrismo, e che si fonda sulla distinzione del piano temporale da quello
spirituale: essi sono regolati da proprie leggi interne, anche se tra loro vi è
un rapporto che corre a livello profondo, e ciò a motivo dell'unità della
persona, La laicità è pertanto qualcosa di completamente diverso dal laicismo:
essa infatti è un'attitudine di ordine esistenziale, e non un'ideologia.
La laicità non è proprietà
esclusiva dei credenti: vi sono degli agnostici che sono correttamente
"laici", in quanto non considerano la religione come un fatto
puramente privato, senza proiezioni nella vita sociale. E, d'altra parte, vi
sono dei cristiani "laicisti", poiché costoro hanno fatto della loro
vita di fede un dominio intimistico, con scarse correlazioni con la loro vita e
con le loro attività in campo economico, sociale, politico e culturale.
I personalisti-comunitari
rifiutano ogni schizofrenia della persona, e non credono neppure alla
"tolleranza" dei laicisti. Ma essi non sono per questo attratti dalla
sirena integrista (o clericale), perché detestano le "con-fusioni", e
pensano che l'autonomia del profano dal sacro sia una condizione preliminare
per ogni attività spirituale o temporale.
Per questo, in campo religioso come in campo politico, noi siamo convinti assertori della laicità. Non si tratta affatto della scelta di una "terza via", per il semplice fatto che pensiamo che questa sia "l'unica via".
Ettore
De Giorgis
(2.
fine)