SPERARE, ANCHE SE E' DIFFICILE

 

Sono stato a Creta nel mese di agosto: il mare ed il cielo sono stupendi, le rocce sono cariche di storia. C'è una grande effervescenza di lavoro, specie nella costruzione (la Grecia ha il minor tasso di disoccupazione della CEE, intorno all'1%). C'è una gran richiesta turistica, specie da parte dei nordici, noti "mangiatori di sole" (dopo il greco, le lingue che si sentono più parlare sono l'inglese e il tedesco), per cui si investe specie nell'edilizia residenziale; ma si costruisce male perché troppo in fretta, gli hotel sono abborracciati alla meglio: c'è come un presentimento che tale manna non durerà molto tempo. Le terre coltivate non sono molte, a causa della mancanza d'acqua, ma sono molto generose di frutti: tuttavia nella piana interna di Lassithi, ove esistono diecimila mulini a vento per l'irrigazione, solo una minoranza di questi è ancora in uso, perché la zona si spopola, e conta ormai solo settemila abitanti. Invece Iraklion si accresce smisuratamente. Ma molti cretesi non andranno più a lavorare all'estero, data la crisi occupazionale della CEE, e mancheranno le loro rimesse, che hanno permesso questo sviluppo. L'avvenire può riservare delle sorprese spiacevoli per un'economia che riposi troppo sul settore terziario e che abbia scommesso sul progresso o almeno sul mantenimento del consumismo turistico.

 

Tra la fine di dicembre e l'inizio di gennaio mi sono recato in Israele ed in Giordania, paesi dai quali mancavo dal 1965. Ho riammirato le capacità lavorative ed organizzative degli israeliani, ho ritrovato caos e cordialità tra gli arabi, anche se in Giordania, qualcosa si sta muovendo: ma lo sviluppo è frenato dall'incessante aumento della popolazione di Amman, che conta ora un

milione di abitanti, un terzo dell'intera Giordania.

Ho trovato sempre più diffidenza ed ostilità tra israeliani ed ebrei: a Nablusa e nella Samaria non si può andare, perché è una zona calda, ove avvengono scontri frequenti tra i militari e la popolazione; ad Hebron si accede da poco tempo, ma la città è piena di soldati. Le prospettive di una pace a medio termine sono aleatorie: Israele ha permesso, anzi ha incentivato, la fondazione di nuovi insediamenti nei territori occupati, e la gente che qui si è trasferita è per lo più motivata da un fanatismo nazionalistico-religioso, per cui è disposta a combattere (eventualmente contro lo stesso esercito israeliano) piuttosto che ad andarsene. In tale situazione il piano Reagan appare fumoso, e comunque è giunto troppo tardi. La giovane generazione palestinese contiene in sé i germi della violenza, comprensibili anche se non giustificabili, senza che ci sia bisogno dell'OLP per invitare

alla resistenza. D'altra parte, gli Stati arabi non potranno riconoscere Israele, poiché ciò  significherebbe un riconoscimento della liceità della conquista.

In questa terra ineguagliabile, ove le rocce e il paesaggio vi fanno palpitare il cuore, la violenza traspira da ogni parte: come al tempo dei profeti, di Amos, di Geremia, di Ezechiele.

 

Consumismo e violenza: sono questi i segni preponderanti del nostro tempo? Non voglio crederlo,.e con me altri non lo credono e rifiutano la tentazione fatalistica. Ho partecipato tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre ad un convegno a Dourdan (45 Km a SE di. Parigi), in occasione del cinquantesimo anniversario della rivista "Esprit", in cui si trattava del personalismo, ieri ed oggi. Nel 1932 Mounier ed i suoi amici reagirono a quella crisi che essi acutamente avvertirono essere una "crisi di civilizzazione", che aveva le sue lontane origini nel Rinascimento e nella progressiva negazione dei valori trascendenti: il capitalismo non era che l'ultima espressione di una materializzazione sempre più accentuata della vita; il.marxismo ed i fascismi, in modo diverso, pretendevano di combatterne le ingiustizie, ma germogliavano sullo stesso tronco della negazione dello spirituale. I giovani intellettuali francesi degli anni '30 non volevano tornare nostalgicamente al passato, ma del passato volevano salvare alcuni valori fondamentali, incarnandoli nella realtà

del presente.

Noi oggi viviamo una fase successiva della stessa crisi. Il problema consiste nell'ispirarci al personalismo comunitario senza fare di esso un mito o un'ideologia, riconoscendo che molte sue prese di posizione erano congiunturali e quindi caduche, ma che esso ha riproposto in termini netti l'esigenza del primato dello spirituale e della dignità della persona umana. E' necessario un lungo e paziente lavoro teorico-pratico, di inventiva e di coerenza, per annunziare oggi, ad un mondo derelitto e senza speranza, un messaggio di salvezza, che per i personalisti i quali, come Mounier, sono anche cristiani non può essere che la buona novella evangelica, calata però nella realtà del

nostro tempo e della nostra cultura.

Ettore De Giorgis

 

* * * * *

 

VOCABOLARIO

PERSONALISMO COMUNITARIO - Tendenza di pensiero sviluppatasi all'inizio degli anni '30 in Francia: il suo più insigne rappresentante fu Emmanuel Mounier, fondatore della rivista "Esprit", che fu e continua ad essere portavoce del movimento. Tale corrente di pensiero, che è dinamica e quindi anti-ideologica, pone al centro delle sue preoccupazioni la persona, contrapposta sia  all'individuo che alla personalità, il primo chiuso in se stesso, la seconda orgogliosa e aggressiva. La persona ha tre dimensioni essenziali: l'incarnazione, che la radica nella realtà biologica del mondo; la comunione, che la collega agli altri; la vocazione che la invita a superare se stessa, a rischiare la sua vita per ritrovarla più carica di valore e di significato. La persona quindi è contemporanea della comunità, la quale è una specie di "persona delle persone".

Il personalismo comunitario è sorretto da una forte carica spirituale: certo, anche degli agnostici si sono riconosciuti in esso, ma sono sempre stati degli uomini in ricerca di un assoluto; inoltre, tutti i maggiori rappresentanti del personalismo comunitario sono stati cristiani, e qualcuno anche ebreo. In questo senso "Esprit" si può anche considerare un'esperienza di avanguardia dell'ecumenismo intellettuale, ed anche teologico.




.