RICORDANDO L’”OCTOGESIMA ADVENIENS” (II)

 

Distinguere tra ideologie e movimenti storici da esso originati è divenuto un luogo classico nell'insegnamento sociale della Chiesa dopo Giovanni XXIII, e tale posizione, ormai irreversibile, è ricordata anche da Paolo VI, che però nella "Octogesima Adveniens" si spinge più avanti, applicandolo alla realtà concreta del socialismo, in cui distingue vari livelli di espressione: ciò gli consente di ammettere la possibilità per dei cristiani di un impegno socialista, il quale deve stabilirsi in modo pragmatico, a seconda dello sganciamento più o meno accentuato del partito dalla sua matrice ideologica. E' un gran passo in avanti, anche se nel discorso del Papa vi è una lacuna: infatti, quando egli parla di socialismo intende sempre marxismo, come se non esistessero altre matrici teoriche del socialismo (il laburismo, l'anarchismo, il socialismo umanitario, il mutualismo). Molto opportuno è invece il richiamo al fatto che nel marxismo (appunto per il suo carattere di “Weltanschauung") vi è un  rapporto tra l'analisi della società e l'ideologia, tra la lotta di classe e un modello di società totalitaria, fondata sulla cosiddetta “dittatura del proletariato” (che in realtà, in tutti i Paesi in cui i marxisti sono al potere, è una "dittatura sul proletariato"). Richiamo molto opportuno, si diceva, che dovrebbe indurre ad un po’ meno di ingenuità i "cattolici-marxisti".

Paolo VI prende anche in considerazione l'utopia, di cui avverte l’ambivalenza: se infatti essa contesta a buon diritto l'ideologia, può anche essere un comodo alibi per il disimpegno. Questo monito riguarda molti di noi, delusi da tante, da troppe lotte. L'utopia è un rischio, avverte Paolo VI, che avrà pensato certo al Maggio ‘68 ed ai movimenti che ad esso si ispirarono; tuttavia il Papa non sa nascondere la sua simpatia verso questi avventurieri, questi "zingari dello spirito” che sono gli utopisti. La contestazione non solo è lecita, ma è doverosa per un cristiano, che non può accontentarsi delle sicurezze umane, non può identificarsi con nessun potere, non può riconoscere nessuna ideologia totalizzante. Le ideologie desuete, si scriveva prima, possono lasciare lo spazio a delle neo-ideologie. Una è quella delle “scienze umane", la cui ambiguità sta nel fatto che tutte - la sociologia come la psicologia, l'etnologia come la biologia - sono discipline settoriali, molto positive quando riconoscono con umiltà i loro limiti, senza pretendere di assurgere al ruolo di "nuove religioni". Altra nuova ideologia alla moda dieci anni fa (ma ora squassata dalla grave crisi economica, sociale, politica e culturale che infierisce su tutto il pianeta, e non solo sull'Occidente) è quella del progresso quantitativo ed indefinito, mentre l'unico vero progresso è quella che mira a migliorare la qualità della vita; ed inoltre, per un cristiano, c'è una sola speranza che non delude, è quella fondata sulla fede, che si situa pertanto al di là di ogni aspettativa umana, anche della più nobile e più legittima.

Il Papa comprende che le multinazionali sono un pericolo per l'umanità, soprattutto per il fatto che sfuggono ad ogni controllo; ed avverte ugualmente l'insufficienza dei mutamenti strutturali, che, se non sono accompagnati da quella "rivoluzione morale" che Péguy auspicava, non si riducono ad altro che un mutamento di padrone. Egli afferma la prevalenza del politico sull'economico e sul sociale, poiché solo tale gerarchia di ruoli.permette di realizzare il bene comune, qualora tuttavia non pretenda di attribuirsi un potere assoluto ma rispetti le autonomie ed i “corpi intermedi”. Questa esaltazione del pluralismo denota l'ascendenza in Paolo VI del pensiero di S.Tommaso, e d'altra parte coincide con l'ispirazione del personalismo comunitario. Un vero pluralismo deve fondarsi sulla partecipazione, sia economica che politica, che è un diritto ma anche un dovere: infatti “è troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se non si è convinti allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e che è necessaria soprattutto la conversione personale" (§  48).

Il magistero ecclesiastico ha una funzione di animazione per quanto riguarda le attività temporali: “Nella sfera sociale la Chiesa ha sempre voluto assicurare una duplice funzione: illuminare gli spiriti per aiutarli a scoprire la verità e a scegliere la via da seguire in mezzo alle differenti dottrine da cui il cristiano è sollecitato; entrare nell'azione e diffondere, con una reale preoccupazione di servizio e di efficienza, le energie del Vangelo” (§ 48). Ma l'insegnamento sociale della Chiesa è tutt'altra cosa da una "dottrina sociale", poiché esalta e non mortifica il pluralismo e lo spirito di iniziativa dei laici, i quali devono assumere come loro compito specifico il rinnovamento dell'ordine temporale. Se l'ufficio della gerarchia è di insegnare e.di interpretare in modo autentico i principi morali da seguire in questo campo, spetta a loro, attraverso la loro libera iniziativa e senza attendere passivamente consegne o direttive, di penetrare di spirito cristiano le mentalità e i costumi, le leggi e le strutture delle loro comunità di vita" (§ 48: qui il Papa cita dal § 81 di "Populorum progressio”).  E questo paragrafo 48, da cui si è ampiamente citato, termina con una nota di ottimismo, tanto più autentico quanto più sofferto: “Dietro il velo dell’indifferenza, c'è nel cuore di ogni uomo una volontà di vita fraterna e una sete di giustizia e di pace che si devono far fiorire”. La speranza per:un cristiano è spesso messa a dura prova, lo avvertiamo in modo tutto particolare in prossimità di questo Natale 1981, in cui gli eventi del Medio Oriente e soprattutto della Polonia ci gravano sul cuore. Ma se pensiamo a quel bambino nato venti secoli fa...

Si è parlato della speranza, e si concluderà l’articolo parlando della fede e dell'amore, dell'amore che i cristiani devono avere per i loro correligionari che fanno scelte politiche diverse: io noto quanto sia più facile comprendere le ragioni degli avversari di diversa fede religiosa o politica, mentre più acuta è l'intolleranza.nei confronti di altri cristiani che compiono opzioni politiche diverse dalle nostre. Per questo il richiamo di Paolo VI, che riprende in questo caso il monito di "Gaudium et Spes”, riguarda tutti i cattolici, quelli di destra come quelli di sinistra, e suona come un'ulteriore affermazione dell'autonomia e nello stesso tempo della relatività, dell'attività politica: "Nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi... Ai cristiani che sembrano a prima vista opporsi partendo da opzioni differenti, essa chiede uno sforzo di legittima comprensione per le posizioni e le motivazioni dell’altro... Ciò che unisce i fedeli è, in effetti, più forte di ciò che li separa"  (§ 50).

 

 

Ettore De Giorgis

(2. fine)

 

 

 




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