ESPERIENZA DI FEDE E INTELLIGENZA DELLA FEDE


E' opinione abbastanza comune oggi, tra molti teologi e osservatori religiosi, che il primato cristiano dell'Occidente stia volgendo al termine, e che l'avvenire del cristianesimo si giochi nell'America latina e nell'Est europeo.
Questa opinione ha vari aspetti indiscutibili di verità. L'esperienza latino-americana è l'esempio moderno più evidente di un riuscito tentativo di incarnazione della Chiesa nella cultura di un popolo. Probabilmente non si era assistito a nulla di simile dopo il Medioevo, se si eccettuano i tentativi lungimiranti, ma stroncati, di padre Nobili in India e di padre Ricci in Cina. Occorre però in primo luogo distinguere tra le posizioni delle varie Chiese latino-americane, non tutte così incarnate nella loro realtà storica come quella brasiliana, con le sue decine di migliaia di comunità di base che si moltiplicano in tutto il Paese, e che hanno nulla a che fare con le cosiddette "comunità di base" che vivacchiano da noi, non foss'altro perché quest'ultime mancano dell'elemento essenziale per essere definite tali, sono cioè senza base, senza popolo, costituite in prevalenza da intellettuali, pseudo-intellettuali e intellettualoidi scontenti, che hanno fatto un'ideologia - ossia un idolo - della "conflittualità permanente" con la Chiesa "istituzionale".
E poi, per tornare all'America latina, e più precisamente al Brasile, si impone un'altra chíarificazione; le comunità di base della campagna prediligono il momento dell'evangelizzazione, e la vita quotidiana è letta attraverso un costante riferimento alla Scrittura; quelle cittadine sono invece molto più politicizzate, la Parola di Dio non ha, almeno esplicitamente, una grande incidenza, ciò che si cerca in primo luogo è di promuovere una presa di coscienza da parte dei singoli e della comunità. I vescovi - è loro merito indiscutibile - accettano che l'esperienza prosegua, anzi in molti casi la incitano, senza però assumerne la direzione. Fra qualche anno ci si propone di trarre un bilancio provvisorio: finora esso appare abbastanza positivo. Ma in un secondo tempo si dovrà pure affrontare il problema, oggi lasciato in disparte - e non a torto - dalle comunità, di una nuova liturgia organica, di un rinnovamento sacramentale, di un discorso teologico sui ministeri. Le grandi speranze comportano sempre dei grandi rischi: ma se esse diventeranno presenza incarnata, potrebbe darsi che agli albori del 2000 sorgesse in quella parte del mondo una chiesa cristiana non clericale.
Del tutto diverso è il discorso che riguarda l'Europa dell'Est, ed in particolare la Russia. Qui il risveglio è opera soprattutto di l"eéites" intellettuali, come del resto già nell'altro secolo. Ormai le ideologie totalizzanti ingannano sempre meno persone, soprattutto tra chi riesce a pensare con la propria testa. E anche chi crede ancora al primato "politico" del socialismo (che non coincide con il neo-zarismo dei despoti del Kremlino) non si nasconde che una struttura politica è insufficiente ad apportare dei mutamenti radicali nei rapporti umani se non muta il cuore dell'uomo, e che inoltre nessun sistema politico può dare una risposta ai motivi fondamentali che ogni uomo si pone: "donde vengo?"; "dove vado?"; "perché vivo?"; ecc. Sono tali questioni esistenziali che stimolano a ricercare in profondità: e nell'intimo di se stessi alcuni intendono l'appello di Dio, che Agostino diceva essere "più intimo della mia intimità".
Chiesa di pochi, Chiesa di martiri, come quella del cristianesimo delle origini. Ma il popolo? Una parte - considerevole data la situazione difficile dei credenti - continua a manifestare un attaccamento viscerale alla religione; ma il consumismo non è già penetrato in profondità anche nel costume sovietico ed est-europeo? e la fede tradizionale ha radici abbastanza solide da resistere ad un confronto con una secolarizzazione simile a quella che ha investito l'Occidente? Solgenistin è ottimista al riguardo: io mi auguro che abbia ragione.
E l'Occidente? davvero non gli resta che suicidarsi come tale, e mettersi alla scuola dell'Est o del Sud-Ovest? Io non condivido il catastrofismo di certi teologi, anche se penso (ma non da adesso: Mounier queste cose le scriveva già alla fine degli anni 40...) che da tempo sia terminato il "monopolio cristiano" dell'Europa, e che l'ecumenismo ci inviti anche a riconoscere ed apprezzare il pluralismo culturale all'interno di un' unica confessione cristiana, in attesa che questo pluralismo abbia diritto di cittadinanza all'interno di una unica Chiesa.
Ma se il cristianesimo è nato in Palestina, esso si è universalizzato grazie alla geniale sintesi operata con la cultura filosofica greca da parte dei primi missionari, Paolo avanti a tutti. Di qui è nata la teologia. E' vero, molte volte il discorso teologico ha sopraffatto quello di fede: ma si trattava allora di una teologia non sana. L'intelligenza della fede ha permesso di equilibrare l'esperienza della fede, e da questa a sua volta ha ricevuto nutrimento.
Oggi tale esigenza è non meno viva che al tempo dei Padri e della Scolastica, anche se la sintesi che si richiede, e che facilmente è ancora lontana, sarà molto diversa da quelle di un tempo. Ed è proprio in questo settore specifico che l'Occidente ha ancora un suo ruolo da svolgere.

Ettore De Giorgis



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