TEMPO E TRASCENDENZA


Cari amici,
davvero la dimensione temporale, come ha osservato giustamente Cavalli su "Il Giorno", fa difetto oggi presso i giovani. Ma non soltanto presso i giovani: se infatti molti di noi sono culturalmente radicati nel tempo, dal punto di vista esistenziale la questione appare più incerta e drammatica, perché spesso anche noi avvertiamo la mancanza di una prospettiva, di un progetto, e di qui derivano il non-senso, l'angoscia, la noia. La dimensione temporale mi pare possa esistere soltanto se è rapportata ad una dimensione. religiosa, anche se con questa intrattiene una relazione dialettica.
Venendo ai giovani, è certamente esatto ciò che scrive Cavalli e che riprende P.Verde nella sua riflessione (cfr.Koinonia maggio 1978), che la perdita della dimensione temporale si origina da motivi di natura socio-economica; ma questi motivi, anche se sono i più evidenti e i più avvertibili, sono essenzialmente di natura congiunturale, e quindi sono i meno profondi: la loro importanza sta appunto nel fatto che riportano - ne siano o no i giovani d'oggi coscienti - ad un movimento più remoto, veramente ontologico. Infatti, anche quando essi non sono più così determinanti, ossia anche quando i giovani, o gli ex-giovani, si sono apparentemente integrati nella società (o sono stati recuperati da questa), resta una carenza di dimensione temporale sia a livello esistenziale (e questo non è esclusivo dei giovani) che culturale (e questo invece li distingue dalle generazioni adulte che hanno ricevuto un'educazione fondata sui "valori").
L'ho scritto avanti, che il tempo non ha senso che in rapporto alla trascendenza: nella Bibbia e' molto chiaro che il Dio-con-noi è nello stesso tempo il Dio-tutt'Altro; se manca tale prospettiva, vien meno non solo la dimensione del tempo, ma la sua stessa concezione. La "morte di Dio", come aveva ben visto quello "agnostico assetato di trascendenza" che fu André Malraux, non può che sboccare sulla morte dell'uomo. Perché, siamo sinceri, sono ancora uomini quei giovani, e quei meno giovani, che si prostrano davanti a tanti dei, alle ideologie e alla carriera, all'erotismo e all'alienazione sportiva? Quale contrasto con l'"homme debout", l'uomo in piedi, di cui parlava Mounier, per cui la dignità era un tratto essenziale... Ecco i frutti dell'umanesimo, dell'auto-deificazione dell'uomo: da idolo per se stesso si ritrova ad essere adoratore di idoli esterni.
passando al progetto educativo e allo strumento didattico abbozzati da p. Verde (che è un esperto in materia, non solo, ma che a tale competenza aggiunge una dedizione che per me è dell'ordine del sublime), non si può non essere d'accordo sul fatto che essi si inquadrino in un contesto economico-sociale, e che dispongano di adeguati "termini culturali", il primo dei quali consiste nel fatto che progetto educativo e strumento didattico devono "colorarsi di politica", e anche questo mi pare sia ovvio, benché forse sarebbe opportuno che la nostra età rielaborasse la concezione del "politico", perché essa non è più così evidente come quando Mounier poteva affermare che la politica, se non è tutto, è però dappertutto: perché - riferendomi alla situazione francese, che conosco meglio - c'è chi critica, come Juillard, la "politica professionale", c'è chi afferma, come Kolm, che le elezioni non fanno la democrazia, per non parlare poi dei "nuovi filosofi" (che è molto superficiale trattare "sic et simpliciter" come dei reazionari) e dei movimenti ecologici, in cui sono presenti istanze "politi che" e fughe individualistiche. Comunque, data per scontata tale coloritura politica, resta il fatto che essa, secondo P. Verde, dovrebbe esprimersi in immagini, in concetti, in convinzioni. Era il programma - se mai programma vi è stato - del Maggio '68, ed è ancora una volta quello che mi sembra di poter condividere, anche se a livello esistenziale più che intellettuale, ove non so dare risposte ma al più pongo delle questioni, invertendo la progressione dei tre termini. Anzitutto mi chiedo: quali convinzioni? e oggi vi sono ancora delle convinzioni, per i giovani ed anche per i meno giovani? Per quanto riguarda poi il concetto, si può dire che oggi serva ancora? Sta di fatto che da molte parti è contestato. Solo dopo aver risposto a tali interrogativi, si può passare a trattare del terzo stadio, quello dell'immagine, o dell'immaginazione. Questa è davvero il regno della libertà e della creatività, proprio in una prospettiva cristiana: perché le convinzioni ci sono suggerite dallo Spirito, i concetti sono elaborazioni inadeguate delle convinzioni, ed inoltre non implicano tutta la nostra esistenzialità, ma soltanto il nostro potere di astrazione. L'immaginazione ci rende invece con-creatori nella costruzione del mondo: senza dimenticare mai, tuttavia, che l'uomo non crea dal nulla.

Ettore De Giorgis





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