6 giugno 2021 -   SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO B)

Daniele Crespi: L'Ultima Cena (1624-1625)

Milano, Pinacoteca di Brera

PRIMA LETTURA (Esodo 24,3-8)

In quei giorni, Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!».

Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore.

Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto».

Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 115)


Rit. Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore.

 

Che cosa renderò al Signore,
per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza
e invocherò il nome del Signore.

Agli occhi del Signore è preziosa
la morte dei suoi fedeli.
Io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.

A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo.

 

 

SECONDA LETTURA (Ebrei 9,11-15)

Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.

Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?

Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.




VANGELO (Marco 14,12-16.22-26)

Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».

Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».

I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.

Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».

Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.



In altre parole…

 

L’Ultima cena del Crespi ci presenta realisticamente un momento abbastanza movimentato di sconcerto, di smarrimento, di incredulità da parte di quegli uomini che si interrogano e che sembrano solidarizzare tra loro, sotto gli occhi di un Gesù quasi estraneo ma consapevole del dramma dei suoi. Certamente non sono così le nostre Eucarestie, improntate ad intimismo e convivialità rituale. Prendiamo atto che questo momento così decisivo del rapporto con Gesù può essere vissuto in tanti modi. Quando  san Paolo in 1Corinzi 11,28  dice di esaminare se stessi, prima di mangiare di questo pane e bere di questo calice, non è in senso morale, ma come consapevolezza, partecipazione e testimonianza che devono sostanziare l’eucarestia.

 

Già il modo in cui la stessa Scrittura ci presenta questo evento è il frutto di una elaborazione di testimonianze, di esperienze, di risonanze di quanti per primi e prima di noi hanno celebrato questa memoria del Signore. La celebrazione del Corpus Domini - come esaltazione e culto del “sacramento” - non può farci dimenticare che al centro rimane il gesto di Gesù per perpetuare la sua azione e il dono della sua vita nei confronti di quanti credono in lui, ma per la vita del mondo. È a questa concatenazione di memoria che siamo legati anche noi per rivivere e ravvivare il nostro rapporto di fede con lui e con quanto rappresenta come originario “sacramento di salvezza” e rivelazione del Padre. Non a caso si proclama “mistero della fede”, ogni volta che viviamo questo momento di comunicazione totale di vita attraverso il pane e il vino. L’Adorazione eucaristica è una gran bella cosa, ma l’adorazione del Padre in spirito e verità ne è sempre la base.

 

È  importante trovare un modo di celebrare questo “mistero” come sintesi della nostra fede nelle situazioni reali della nostra vita come membra e cellule del Corpo di Cristo nel mondo. Una traccia per poterlo rivivere ai nostri giorni, sia pure a distanza, è il passo del vangelo di Marco: quando magari pensiamo di essere noi a dover preparare perché Gesù “possa mangiare la Pasqua”, di fatto è lui che ci indirizza in maniera singolare alla ricerca del luogo, come a dire che è invece lui a preparare la Pasqua nuova per noi. Il “giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua” era la cornice in cui egli decide di rinnovarla con l’alleanza nel suo sangue: non guardando solo alle cose passate, ma dando al suo gesto un valore escatologico eterno, fino a quando il vino lo berrà “nuovo nel regno di Dio”. Possiamo continuare a vivere le nostre “Messe” come obblighi festivi circoscritti, al di fuori delle dimensioni naturali della Eucarestia?

 

Essa è davvero il “passaggio” decisivo e definitivo che si compie nel tempo in profondità e semplicità di fede. Senza altri discorsi (ci penserà poi il vangelo di Giovanni) Gesù taglia corto e mette in atto quanto ha in animo di fare per la vita del mondo, comprendano o meno quelli che gli stanno intorno. Non tutto di quanto egli fa si può ritualizzare o formalizzare, ma è questo il passaggio in cui si consuma il mistero della sua vita tra gli uomini. Ed è il momento in cui si concentra tutto il travaglio di una esistenza di fede, ed in cui questa fede si alimenta, matura e viene condivisa, per essere testimoniata in maniera credibile. Perché cercare altri luoghi, altri modi, altri strumenti per trasmettere e testimoniare la fede? Naturalmente bisognerebbe che le nostre celebrazioni eucaristiche cambiassero pelle e divenissero luogo di comunicazione, di partecipazione, di crescita, di comunione e fraternità effettiva e non solo mitizzata. Non è qui il luogo di una conversione  pastorale e sinodale?

 

La Chiesa italiana si trova davanti ad un passaggio storico, avendo indetto un Sinodo che la porti ad una trasformazione epocale: più che guardare a tante altre cose, questo passaggio storico non dovrebbe essere altro che il riflesso del “Passaggio eterno”  - la Pasqua del Signore - in tutta la sua potenza escatologica. Tutto cioè dovrebbe passare attraverso il “mistero della fede”. Ma perché questo possa avvenire bisogna che questo mistero diventi dominio comune accessibile, pane per i nostri denti: lo spazio naturale in cui la chiesa è sinodale per essenza. Per cui, una reale, radicale trasformazione bisognerebbe che avvenisse a partire dal piano celebrativo, vero banco di prova di sinodalità. È giusto, per esempio che si pensi ad una celebrazione eucaristica come pratica interna riservata a “praticanti”, e non invece nel suo valore intrinseco universale, aperto, pubblico? Perché una celebrazione eucaristica diventa fatto pubblico non solo per solennizzare qualche ricorrenza e non per essere comunque luce del mondo? Non andrebbe ripensato tutto il nostro sistema celebrativo?

 

Le Scritture ci educano proprio a questo. Se Mosè riferisce “al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme”, e se questo popolo si impegna ad eseguire tutti i comandamenti del Signore, non è solo un fatto interiore senza alcuna rilevanza pubblica. Tanto è vero che tutto viene scritto e accompagnato da segni e da gesti che ratificano questa alleanza tra il Signore e il suo Popolo. Al punto da ottenere un “libro dell’alleanza”, che quando viene letto riceve dal popolo l’impegno a prestare ascolto. E sulla base di queste parole, ecco il “sangue dell’alleanza” che il Signore stabilisce con noi. Non ci sarebbero qui precise indicazioni per una liturgia della Parola veramente tale e non solo come preliminare da sbrigare?

 

Da questo ascolto del “libro” dovrebbe nascere quella sensibilità di fede che ci unisce al “sommo sacerdote dei beni futuri” e ci promuove a “popolo sacerdotale”, perché “serviamo al Dio vivente”. Mentre ci radica nel presente, il “mistero della fede” è sì memoria del passato, ma soprattutto diventa anticipazione del mondo futuro, là dove Cristo è entrato “una volta per sempre nel santuario… ottenendo così una redenzione eterna”. Non sarebbe male se davvero alle nostre “Messe” riuscissimo a dare questa profondità ed estensione di vita! È questa la sfida che ci viene incontro e che ci richiede di non essere cultori dell’esistente.

 

Purtroppo le nostre eucarestie si risolvono in una somma di elementi e momenti disparati e mancano di soggettività reale: non sempre il credere comune struttura le nostre assemblee in maniera aperta e comunicativa, ma lo spirito comunitario che le anima è dovuto ad altro. Mentre è proprio qui, come già detto, che una “conversione pastorale” dovrebbe intervenire con i suoi tempi e in maniera differenziata! Teniamo presente che è pur sempre un’alleanza che si rinnova e che ci rinnova: “Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa”.  È la consapevolezza che dovremmo tener viva, perché è l’eucarestia che struttura la nostra vita di credenti e di chiesa! (ABS)


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