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L’immagine di copertina richiama un episodio emblematico del libro dei Numeri (11,16) quando Mosè riceve l’ordine di associare a sé un gruppo di anziani che abbiano il suo stesso spirito profetico, per portare con lui il carico del popolo ribelle. Succede però che due di loro esercitino questo potere in maniera autonoma al di fuori del gruppo - nell’accampamento fuori della tenda - tanto da suscitare gelosie e proteste da parte di qualcuno, a cui Mosè replica con le parole: “Sei geloso per me? Oh, fossero pure tutti profeti nel popolo del SIGNORE, e volesse il SIGNORE mettere su di loro il suo Spirito!". Da questo fatto particolare si passa ad una visione più ampia, secondo cui una logica gerarchica di controllo non deve impedire ma favorire il carisma dei singoli! Ogni singola pecora viene prima del gregge!
Quando oggi si parla di sinodalità, c’è da stare attenti a non farne una parola d’ordine del momento per nuove mobilitazioni di massa. Va tenuto ben presente che se essa va esercitata sul piano di quanto è ufficialmente corretto, a maggior ragione va promossa sul piano della consapevolezza e responsabilità personale. Se ripensiamo alle proprietà costitutive del Popolo di Dio, dobbiamo dire che non basta la pratica della sinodalità nella dimensione sacerdotale e messianica - e cioè in chiave liturgica e decisionale - ma essa va attuata anche in senso profetico, e cioè in chiave del sensus fidei o culturale, in modo tale che il messaggio di salvezza non sia autoreferenziale, confinato ad intra, ma sia significativo ed efficace anche ad extra. E in un tempo in cui si vuole una “chiesa in uscita”, forse sarebbe il caso di riscoprire e valorizzare la “chiesa di fuori”, di quanti cioè profetizzano nell’accampamento come libera voce dello Spirito.
A fare da ponte o da catalizzatore tra la fede vissuta di una chiesa di base e il mondo circostante con la sua cultura è sì la predicazione del vangelo sine glossa, ma proprio per questo c’è bisogno di una riflessione teologica - di un munus theologicum - che nasca appunto sul terreno di vita evangelica - l’evangelismo di antica memoria - e diventi annuncio evangelico tout court. Se parlare di "questione teologica" ha un senso, è perché credere al vangelo non sia solo pratica personale e convenzionale, ma diventi anche modo di essere e di pensare condiviso.


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