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Più che una guerra dichiarata nel rispetto almeno delle sue regole convenzionali, quella dell’Ucraina è aggressione e invasione armata, violenza pura. Non ci resta che esorcizzarla e ripudiarla per principio, come qualcosa di “alieno”, fuori di ogni umano sentimento. Ciò non toglie che faccia parte della nostra storia e ci segni nella nostra esistenza. In un mondo che sembra fondato sulla “industria bellica”, per quanto disumana, essa non può fare scandalo, salvo richiedere da tutti una ribellione interiore, razionale, spirituale e di fede. Si tratta infatti di “vincere il mondo” e la sua logica, sapendo che “tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1Giovanni 5,4). Verità di vita prima che religiosa!
Se ciò è vero per la condizione cristiana di battezzati, a maggior ragione vale per quanti fanno “professione evangelica” come stato di vita. E se è importante la promozione dei laici nel Popolo di Dio, non meno rilevante deve essere la condizione di “religiosi/religiose”, da riscattare rispetto alla clericalizzazione dell’apparato-chiesa. La connessione stretta tra “aggiornamento” del Vaticano II e rinnovamento della “vita consacrata” - diciamo “conventi” per intendersi - ci è testimoniata alla sua maniera appassionata da P. David M. Turoldo, che vogliamo ricordare come “Frate nessuno” a 30 anni dalla sua morte (pp.39-46). Ma sarebbe necessario che anche la mobilitazione sinodale dei nostri giorni provocasse un sussulto profetico di libertà evangelica in quanti dovrebbero fare da traino nel Popolo di Dio. E questo vale anche per lo specifico carisma di Domenico, che suggerisce a P.Alberto una personale rivisitazione dell'esperienza di Koinonia, iniziata nel 1972 e approdata ai 50 anni di grazia e di solidarietà.
C’è insomma da riattivare una sana dialettica interna alla chiesa tra i suoi diversi stati di vita, dove i conventi dovrebbero proporsi come forma di chiesa non omologata, ma sempre in fieri nella linea del vangelo. Non è qui il passaggio da una chiesa di appartenenza ad una chiesa di “comunione, di partecipazione, di missione”? Ed è su questa rotta che vogliamo portarci prendendo il largo con la “navicella di Domenico”!



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