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“Chiesa in uscita” è lo slogan che Papa Francesco ha lanciato per riproporre lettera e spirito del Concilio; il rapporto chiesa-mondo, che lo ha segnato, è stato come un fiume in piena che però si è arenato e che va riportato sempre nel suo alveo. Purtroppo può succedere ancora una volta che tutto si risolva in fatto nominale, magari con accomodamenti provvisori. Si tratta in effetti di una “conversione missionaria” delle comunità ecclesiali, senza che prima venga rimosso l’impianto mentale e istituzionale in vigore da secoli.
Ma di “chiesa in uscita” si deve parlare anche in altro senso, con riferimento a tutti i battezzati che ne sono usciti “e in particolare quelli che ci andavano e hanno smesso di andarci” (Card. Martini). È pensabile che a recuperarli possa essere proprio quel tipo di comunità che per una ragione o per l’altra essi hanno abbandonato e magari li fa sentire estranei? E se in qualche modo sono ancora “chiesa” in quanto battezzati, quale strategia pastorale tentare? Il più delle volte si deve pensare ad una uscita senza ritorno!
C’è però un altro modo di parlare di “chiesa in uscita”, se pensiamo a quanti si sono dissociati da una forma di chiesa come cristianità, volendo però rimanere ed essere diversamente chiesa. La foto riportata in copertina è emblematica in questo senso: è “Piazza dell’Isolotto” a Firenze, dove ad una chiesa chiusa fa riscontro una comunità di donne e uomini che vuole continuare ad essere tale. Al di là di una vicenda singola, siamo al fenomeno delle “comunità di base” o simili, che ha segnato una stagione del post-concilio e che non può essere dato per esaurito come presenza e come proposta, se davvero si vuole questa “chiesa in uscita”.
Si impone un’opera di discernimento da tutte le parti, perché se la chiesa gerarchica ha preferito buttare via il bambino con l’acqua sporca, forse gli attori di questa storia controversa hanno deposto troppo presto le armi. A questo punto "chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una” (Lc 22,36).


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