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Se è plausibile ricondurre il dramma della coscienza del mondo di oggi ad una “questione fede” – intesa come orizzonte di futuro – forse è il caso di dire anche come intenderla: o come fede confessionale o come forma di verità. La scena evangelica del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14) ci offre una tipologia di questi due modi di vederla e di viverla, al tempo stesso in cui fa capire a quale fede vuole portarci il vangelo: a quella di un rapporto personale e sincero col Padre e non a quella di corrispondenza ad un sistema di valori e di norme religiose di cui avvalersi per la propria giustificazione.
Se tutto questo è condivisibile in linea di principio, perché non portarlo di fatto a criterio e pratica di vita? In realtà noi viviamo in un contesto di fede bloccata, in cui sappiamo anche troppo di dove veniamo e dove andiamo, contrariamente a quanto avviene a “chiunque è nato dallo Spirito”, perché “il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va” (Gv 3,8).
Abbiamo trasformato l’intima certezza del credere in sicurezza identitaria di appartenenza, tanto da perdere la capacità di sentire ed ascoltare la voce dello Spirito di verità che è libertà, preferendo conformarci a quanto ci può rassicurare. Abbiamo trasformato l’assenso personale della fede in consenso collettivo, che non è più una scommessa a caro prezzo ma una rendita a buon mercato. Abbiamo svenduto la primogenitura di una fede aperta al futuro per il piatto di lenticchie della visibilità religiosa gratificante.
Un moto di riscatto è senz’altro necessario, per uscire dalla condizione di una fede confessionale standard verso una fede meno convenzionale e scontata, ma liberante. Si dirà che così si cede al soggettivismo e al relativismo, che invece sarebbero evitati se ci si affidasse a valori dogmatici e gerarchici. Si dimentica che la verità è per sua natura nel soggetto e che essa è pura relazione alla realtà del mistero, mente del tutto relativo e soggetto a mutamenti è l’apparato istituzionale e dottrinale che lo esprime.
Parafrasando Kant, si potrebbe dire: credi come se la tua dovesse diventare la fede del mondo! Maturare una fede non confessionale chiama ogni singolo ad avere passione e a prendere l’iniziativa di quella comunione che fa la chiesa comunità dei credenti.


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