29 maggio 2022 - ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO C)

 

Benvenuto Tisi da Garofalo, detto il Garofalo: Ascensione di Cristo (1510-1520)

Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini

 

PRIMA LETTURA (Atti degli Apostoli 1,1-11)

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.

Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».

Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 46)


Rit. Ascende il Signore tra canti di gioia.

 

Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.

 

SECONDA LETTURA ( Ebrei 9,24-28;10,19-23)

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.

Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.

Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.


VANGELO (Luca 24,46-53)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

 

 

In altre parole

 

Probabilmente, quando Gesù vuole sapere dai discepoli cosa dicesse la gente del Figlio dell’uomo, era per un intento pedagogico: perché si rendessero conto che il rapporto con lui non era scontato e univoco, ed egli era sempre per tutti “segno di contraddizione”. L’interrogativo sulla presenza del Figlio dell’uomo tra la gente, a maggior ragione potrebbe valere ora riguardo al Cristo asceso al cielo alla destra del Padre: quale il nostro rapporto con lui, e chi è egli effettivamente per i credenti, per le chiese, per i cristiani, per i praticanti, per i devoti, per l’umanità, ecc. ecc.

 

È inevitabile chiedersi cosa viene a significare l’Ascensione del Signore calata in ambito di ex-cristianità e dentro le nostre chiese sempre più ricettacolo di una fede residuale, quasi riflesso condizionato. Qui si presenta l’altra domanda di Gesù, se al suo ritorno il Figlio dell’uomo troverà ancora fede sulla terra (cfr. Lc 18,8). In realtà ciò non sembra fare problema, e se da una parte sopravvive in blocco una fede omologata e fatta sistema, dall’altra c’è il rifiuto dei più di questo universo religioso, salvo poi essere tutti portatori passivi di un immaginario cristiano in senso socio-culturale o civile. Quando riusciremo a scuoterci di dosso tanti residui di credenze e rinascere in una fede viva?

 

Facciamo pure tesoro delle immagini artistiche che fissano questo evento, ma senza rimanerne vittime, perché non si tratta necessariamente di una elevazione da terra verso il cielo, ma di una rappresentazione visiva, come interpretazione del distacco di Gesù dai suoi e del nuovo rapporto che essi devono da ora in poi avere con lui. Da notare che solo Luca parla di elevazione al cielo sotto gli occhi dei discepoli, mentre per gli altri evangelisti il momento è presentato diversamente con significati analoghi, come quando Giovanni in 14,28 ci anticipa le intenzioni di Gesù: “Avete udito che vi ho detto: «Io me ne vado, e torno da voi»; se voi mi amaste, vi rallegrereste che io vada al Padre, perché il Padre è maggiore di me”.

 

In effetti nel racconto del vangelo di Luca troviamo i discepoli che si rallegrano con tutti gli altri dopo aver visto Gesù distaccarsi da loro in atteggiamento ormai di adorazione nel cuore: “Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio”. A parte il loro sentimento e smarrimento, a questo punto non potevano non tener conto di quanto avevano ascoltato per tanto tempo e si erano sentiti ripetere poco prima a proposito di come sarebbero andate le cose: nel nome del Cristo morto e risorto il terzo giorno sarebbero stati predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati.

 

Di questo dovevano essere proprio loro i testimoni prescelti, e non potevano tirarsi indietro! Erano affidati a colui che il Padre aveva promesso e che sarebbe sceso su di loro rivestendoli di potenza. Siamo davanti alla massima apertura di universalismo, ma insieme alla singolarità della missione di quanti sono chiamati a compierla, un divario che permane nel tempo. Le parole di chiusura del vangelo di Luca non fanno  che rinviarci agli Atti deli Apostoli, in cui si narra di questa testimonianza e predicazione. È la storia del “dopo-Gesù” terreno ma sempre operante con i suoi.

 

Se in effetti nel vangelo abbiamo quanto Gesù “fece ed insegnò dagli inizi”, dal giorno in cui fu assunto in cielo entrano in scena gli apostoli da lui scelti ed a cui aveva dato precise disposizioni. Anche qui si fa riferimento alla promessa del Padre di venire battezzati in Spirito santo, e quindi di dare inizio ad una storia nuova. Da parte dei discepoli non manca una ennesima ingenua dimostrazione di fraintendimento e di illusione riguardo alla restaurazione del regno per Israele: il temporalismo è sempre duro a morire! Ma a loro deve interessare soltanto di ricevere la forza dallo Spirito Santo, grazie al quale saranno testimoni che li renderà testimoni fino ai confini della terra.

 

E quando essi lo vedranno sottrarsi ai loro occhi, non possono stare lì a volerlo vedere come sempre (una sorta di replica del noli me tangere), ma finalmente dovranno aprire ancora una volta occhi e cuore su quanto si compiva del disegno di Dio e di cui avrebbero dovuto farsi carico attraverso l’annuncio pasquale. Quella che chiamiamo Ascensione altro non è che il coronamento della resurrezione. Potremmo parlare di Ascensione come l’altra faccia della Resurrezione, di Cristo nel versante della gloria mentre rimane presente ed operante appunto nell’annuncio e nella testimonianza degli Apostoli.

 

È semplicemente qui lo snodo e il punto di forza della chiesa nella storia, e quando questo annuncio si affievolisce o passa in secondo ordine, è quando la chiesa di Dio diventa regno di questo mondo: essa non si regge sulla legge, sulla dottrina, sulla disciplina, sulle tradizioni religiose, sulla spiritualità avulsa…, ma unicamente sulla fede, e questa nasce dalla predicazione, che dovrebbe essere la prima prerogativa di tutte le comunità cristiane, spesso insidiate da forme comunitarie autoreferenziali. La predicazione che non è un appiattirsi in senso spirituale sulle realtà eterne, né in senso temporale sulle realtà terrene, ma dovrebbe attivare la necessaria dialettica tra questi due poli .

 

A consentire il passaggio da una sfera all’altra – che sono poi le due dimensioni del Verbo fatto carne, “predicato fra le nazioni, creduto nel mondo, elevato in gloria” (1Tm 3,16) – è la lettera agli Ebrei, che stabilisce un parallelo tra i due poli e ci lascia intravedere la nuova veste di Cristo, ”entrato nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore”. Se egli è ormai la “via nuova e vivente” di accesso al Padre, è chiaro che avvengono modificazioni importanti relativamente alle vie seguite fino ad allora, attraverso santuari fatti da mani d’uomo, ripetizione di sacrifici da parte di un sacerdozio precario.

 

Ora sappiamo – e dovremmo imparare a tenere presente - che “egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso”, che “dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza”. Su questo bisognerebbe molto riflettere, ma intanto ci viene indicato come vivere questa attesa della nostra salvezza, “con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura”. È la “professione della nostra speranza” che ci mette sulla via maestra verso la casa di Dio, dove Gesù ci ha promesso di prepararci un posto: “Va' dai miei fratelli e di' loro: "Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro" (Gv 20,17). Se tutto questo diventa nostra viva coscienza e convinzione, cambia inevitabilmente il nostro modo di stare al mondo! (ABS)


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