24 maggio 202 - ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO A)

Beato Angelico: Ascensione (1450-1455)

 

PRIMA LETTURA (Atti 1,1-11)

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.

Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».

Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».

Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 46)

Rit. Ascende il Signore tra canti di gioia.

 

Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.

 

 

SECONDA LETTURA (Efesìni 1,17-23)


Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.

Egli la manifestò in Cristo,
quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,
al di sopra di ogni Principato e Potenza,
al di sopra di ogni Forza e Dominazione
e di ogni nome che viene nominato
non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro.

Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi
e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose:
essa è il corpo di lui,
la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.


VANGELO (Matteo 28,16-20)

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.

Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

 

 

In altre parole…

 

Ispirandoci all’immagine dell’Angelico, vediamo insieme Gesù elevarsi in alto, ma al tempo stesso riascoltiamo le parole con cui ci preavvisava e ci preparava al distacco: “Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l'ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate” (Gv 14,28-29). In che misura riusciamo a rallegrarcene? Non vogliamo mancare comunque l’appuntamento in Galilea (cfr. Mt 28,10) perché tutto riparta di lì per una sequela nel mondo tutta da inventare. Ma per quanto avvertiti, quando arriva il momento e lui si fa vicino per salutarci, siamo capaci di prostrarci esteriormente, ma interiormente troviamo fino in fondo il modo di dubitare e rimanere increduli e incapaci di comprendere. Questa assenza ci spaventa e noi non sappiamo come continuare a vivere dietro a lui senza di lui.

È strano che questo appuntamento per il commiato avvenga liturgicamente per noi proprio nel giorno in cui ci è dato di ritrovarlo nell’eucarestia, quasi a volerci ricordare come vivere invece la sua assenza. È tutta questione di amarlo o meno, e quindi di rallegrarsi perché va al Padre, più grande di lui. Stiamo contemplando quanto confessiamo dicendo “è salito al cielo e siede alla destra del Padre”: è una dimensione radicalmente nuova e uno stato delle cose presente come mistero e nella storia. Non c’è separazione tra cielo e terra – tra grazia e natura, tra vangelo e mondo – ma distinzione reale sì! Chi ignora la distinzione fa un tutt’uno o sacralizzando o mondanizzando ogni cosa; chi invece sta per la separazione non fa che amputare l’esistenza stessa! Si può prescindere dall’evento-vangelo semplicemente perché c’è chi se ne appropria in chiave esclusivamente religiosa? Sarebbe come rubare ai poveri!

Infatti, troppo cielo fa dimenticare la terra e guardare l’Ascensione come semplice ricorrenza lascia in ombra il fatto che riguarda l’uomo Cristo Gesù: “Ma che significa la parola «ascese», se non che prima era disceso quaggiù sulla terra?” (Ef 4,9). L’Ascensione non è che il pieno compimento dell’Incarnazione: chiude il cerchio della redenzione e dentro la creazione nasce un ordine o mondo nuovo, quello della grazia o della fede: della salvezza. In questo senso, un giorno, in un angolo sperduto della Galilea Gesù arriva a dire: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”. Ma quanta ambiguità e quante strumentalizzazioni intorno a queste parole, al tempo stesso in cui sono lasciate facilmente cadere nel dimenticatoio!

Si tratta però di un potere che viene esercitato e viene trasmesso a poveri uomini incerti e dubbiosi quali siamo, a cui però viene ordinato di andare in tutto il mondo a fare discepoli tutti i popoli, a predicare il vangelo ad ogni creatura. Cosa che avviene dopo che egli “fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio”. Infatti “essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano” (Mc 16,20). E in questo modo si realizza la sua promessa di rimanere con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Occasione per renderci conto che la forza di una predicazione del vangelo, capace di fare discepoli i popoli, non è questione di abilità personale o disponibilità di mezzi. Non è effetto di strutture organizzative o di competenze istituzionali, ma è prima di tutto obbedienza e fedeltà a questo comando, quali che siano le nostre capacità! È opera dello Spirito, che ci è dato per farci testimoni.

Col racconto del suo secondo libro, Luca ci fa rivivere questo passaggio ultimo dalle disposizioni finali e dagli ulteriori insegnamenti sul regno di Dio da parte di Gesù al lancio della missione nel mondo. Tutto questo avveniva mentre si trovava a tavola con loro, quasi a voler inaugurare il tempo e l’opera dello Spirito santo promesso, che non vuol dire automatismo ripetitivo ma imprevedibilità e libertà, avventura. In quegli uomini restano ancora scorie di dominio messianico e vorrebbero sapere se finalmente sarà ricostituito il regno per Israele, ma ad essi deve interessare soltanto di ricevere la forza dello Spirito santo e contentarsi di diventare testimoni di lui fino ai confini della terra. Perché queste parole sono diventate eleganti e sterili modi di dire e non sono più passione bruciante come per Paolo?

Alla residua tentazione di dominare la terra, si aggiunge ora quella di rimanere a fissare il cielo, tanto che devono intervenire due “uomini in bianche vesti” per riportarli alla realtà e metterli di fronte ad un fatto nuovo, peraltro già preannunciato da Gesù, che si era preoccupato di prepararli al dopo. E cioè viene loro detto che egli “verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. Anche questa verità, come sappiamo, è un articolo del “Credo” (“di lì verrà a giudicare i vivi e i morti”).

 

Ma se per le prime comunità questo ritorno era atteso imminente, tanto che Paolo stesso ha dovuto ricredersi e intervenire a correggere le comunità, esso sembra oggi del tutto al di fuori dell’orizzonte di fede della chiesa, una fede priva di ogni tensione escatologica o desiderio che il Signore venga! Questo porta ad un inevitabile scadimento della fede ridotta a paradigma immaginario della vita nel mondo; e porta ad un depotenziamento dell’esistenza cristiana ridotta ad un sistema integrato di vita o in senso religioso autoreferenziale o in senso mondano ed umanitario. In ogni caso una riduzione del credere a semplice credenza.

 

Il passo della lettera agli Efesini - se non ce lo lasciamo scivolare addosso o come già orecchiato o come impenetrabile - ci darebbe modo di rinsanguare la nostra fede e ridarle vigore. È un rendimento di grazie di Paolo per la fede e l’amore dei cristiani di Efeso di cui ha notizia, e prega per loro “perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria” conceda sapienza, rivelazione e conoscenza, per comprendere a quale speranza sono chiamati, e “qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti”. La fede e l’amore che animano la comunità trovano la loro forza proprio nella speranza a cui siamo chiamati: è l’esistenza teologale di comunione trinitaria di cui abbiamo avuto modo di dire, al di là di ogni ordine morale, di ogni ordinamento giuridico, di ogni orientamento spirituale.

 

Se vogliamo conoscere il segreto di questa promozione ed elevazione, non è altro che “la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti”, e questo precisamente “secondo l'efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli”. Per cui credere altro non è che “fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti” (Col 2,12), così come di conseguenza il vangelo stesso “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco” (Rm 1,16).

 

E il fatto che il Risorto è assiso alla destra del Padre, lo pone al di sopra di ogni altro “nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro”. Al tempo stesso in cui egli è costituito “a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose”. Sì, abbiamo bisogno dello spirito di rivelazione che san Paolo invoca, per entrare nel vivo di questo universo di verità e grazia, ma intanto sarebbe già abbastanza se non lasciassimo cadere queste parole nel dimenticatoio, magari col pretesto che non ci riguardano da vicino, in quanto risuonano dentro un apparato liturgico lontano da noi.

 

Mi sembra che il rientro in chiesa in questa domenica dell’Ascensione preveda controllo di temperatura e uso di detergenti all’ingresso: non sarebbe male se ci arrivassimo con una fede viva nella potenza di Dio che ha risuscitato Cristo dai morti, con maggiore consapevolezza di essere suo corpo sempre e comunque, con o senza celebrazioni eucaristiche, da valorizzare in senso giusto e non come l’assoluto. C’è l’opportunità di ripensare il nostro rapporto con l’Eucarestia come rapporto col Cristo totale.

 

Quando san Tommaso nella sua Somma teologica si chiede, riguardo all’Eucarestia, “se questo sacramento sia indispensabile alla salvezza”, dà questa risposta: “Si è detto che l'effetto di questo sacramento è l'unità del corpo mistico, senza la quale non ci può essere salvezza… Mentre ricevere il battesimo è necessario per iniziare la vita soprannaturale, ricevere l'Eucarestia è necessario per portarla a compimento: e neppure è indispensabile riceverla di fatto, ma basta averne la brama, così come si brama e si desidera il fine… Ecco perché l'Eucarestia non è indispensabile alla salvezza come il battesimo” (ST, III, q.73,a.3). Ci dice nulla tutto questo riguardo al nostro discernimento ed orientamento pastorale di questi tempi? (ABS)


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