27 ottobre 2019 - XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 

James Tissot: Il fariseo e il pubblicano (1886)

 

 

 

PRIMA LETTURA (Siràcide 35,15-17.20-22)

 

Il Signore è giudice

e per lui non c’è preferenza di persone.

Non è parziale a danno del povero

e ascolta la preghiera dell’oppresso.

Non trascura la supplica dell’orfano,

né la vedova, quando si sfoga nel lamento.

Chi la soccorre è accolto con benevolenza,

la sua preghiera arriva fino alle nubi.

La preghiera del povero attraversa le nubi

né si quieta finché non sia arrivata;

non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto

e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 33)

 

Rit. Il povero grida e il Signore lo ascolta.

 

Benedirò il Signore in ogni tempo,

sulla mia bocca sempre la sua lode.

Io mi glorio nel Signore:

i poveri ascoltino e si rallegrino.

 

Il volto del Signore contro i malfattori,

per eliminarne dalla terra il ricordo.

Gridano e il Signore li ascolta,

li libera da tutte le loro angosce.

 

Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,

egli salva gli spiriti affranti.

Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;

non sarà condannato chi in lui si rifugia.

 

 

SECONDA LETTURA (2Timoteo 4,6-8.16-18)

 

Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.

Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.

Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

 

 

VANGELO (Luca 18,9-14)

 

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:

«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.

Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

 

 

In altre parole

 

Dopo la parabola del giudice iniquo e della vedova, sulla necessità di pregare sempre, eccone un’altra di richiamo “per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Niente di più eloquente e trasparente! Ma prima di tentare una lettura per l’apprendimento di questa lezione, un rilievo del tutto marginale può aprirci la strada alla comprensione, peraltro intuitiva. E cioè il fatto che anche questa volta si tratta di “due” attori - appunto il pubblicano e il fariseo – come spesso succede nella narrazione evangelica!

 

Si potrebbe parlare di una visione duale dell’umanità e della storia, o come fatta di “due” poli o come divisa in “due”, in un processo storico che continua, tanto che anche i discepoli sono mandati a due a due. Ma ripercorrendo a volo le situazioni in cui il due  è indice di differenza e di distinzione, basta fare alcuni nomi:  i due padroni Dio e mammona, i due fratelli della parabola del prodigo e quelli della vigna, il ricco epulone e Lazzaro, Marta e Maria, le vergine stolte e quelle sagge, i due ladri sulla croce… solo per dire di fare attenzione alla dialettica interna a tutto il vangelo: niente di definitivo e monolitico ma tutto in divenire e in corso verso una verità sempre inedita. Quanto c’è “già” di acquisito e condiviso non preclude quanto di “non ancora” è a portata di mano, la verità tutta intera a cui siamo portati!

 

Tutto insomma si gioca dinamicamente sul piano della convivenza e dei rapporti umani in relazione all’unione col Cristo e col Padre, in una circolazione di vita tutta da sperimentare. La parabola del fariseo e del pubblicano, in questo senso, ci offre le coordinate per verificare e fare il punto sulla nostra oscillazione tra la “presunzione di essere giusti” da una parte e il “tornare a casa giustificati” dall’altra; tra chi si esalta per ritrovarsi poi umiliato e chi invece si umilia ritrovandosi di fatto esaltato. Così come ci dicono le parole del Magnificat: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”. Un rovesciamento che è sempre da compiersi!.

 

Per capire come attuarlo e innalzare gli umili, ricordiamo l’invito di Gesù dopo che ha ringraziato il Padre di aver rivelato ai piccoli le cose del regno tenute nascoste ai sapienti e agli intelligenti, e dopo averci ricordato che è lui a farci conoscere il Padre così come lui lo conosce. Ecco cosa ci dice: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,29-30). Al di là di ogni intimismo, è qui la rivoluzione di Cristo: quella delle beatitudini, secondo cui i miti possederanno la terra. È come vivere in stato di sfida e di scommessa!

 

Dunque, “due uomini salirono al tempio a pregare”: dove appunto “pregare” sta a dirci ancora una volta questa necessità di vivere in intima e ininterrotta unione col Padre, rimanendo svegli e pronti ad aprire a chi torna e bussa alla porta, o anche a bussare per farsi aprire, istanza che è nelle cose e nella vita prima che nelle proprie scelte e posizioni mentali. Ce lo dicono le parole di Gesù già sentite: “Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?”. Questo interrogativo fa da cerniera tra la parabola di quanti giorno e notte gridano per avere giustizia e quanti hanno invece la presunzione di essere giusti. Ci dicevamo in proposito che il Figlio dell’uomo, al suo ritorno, potrebbe trovare gente radunata in preghiera ma non pronta ad accogliere lui per entrare in viva comunione col Padre. È quanto ci viene confermato dal fariseo e dal pubblicano che si ritrovano insieme casualmente nel tempio in posizioni, atteggiamenti e con esiti diversi della loro preghiera.

 

Il fariseo è l’emblema di un sistema e di pratiche di accesso a Dio, di osservanze e di adempimenti che in realtà mettono lui stesso in primo piano e lo rassicurano, per cui può vantarsi davanti a Dio e aspettarsi solidarietà e onore non appena esce di lì. Egli non è solo ma - direbbe Gesù – è “legione”, e stare davanti a Dio per lui vuol dire mettersi al di sopra di tanti poveri uomini per dire che è in piena regola su tutta la linea, a differenza di ladri, ingiusti, adulteri e pubblicani come quello laggiù “a distanza”. Di lui Gesù dice che stava in piedi e “pregava tra sé”: si pregava addosso, concentrato su se stesso con parole autoreferenziali di autoesaltazione, per cui  ha  già ricevuto la sua ricompensa e non  deve aspettarsi altro dal “Padre che vede nel segreto” (Mt 6,3)

 

Proprio quel pubblicano, da cui il fariseo prende le distanze con disprezzo, sembra invece essere l’esempio vivente di quanto insegna Gesù: “Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6.6). Egli è nel tempio, pensando che per ottenere grazia da Dio si dovesse passare di lì. Ma non osa farsi avanti e alzare gli occhi al cielo, sentendosi fuori posto, e magari lamentando dentro di sé di non essere così bravo e meritevole come quel fariseo che gli sta davanti.

 

Egli non può avanzare titoli e meriti, vantare appartenenze e posizioni di prestigio. Non gli rimane che dire “o Dio, abbi pietà di me peccatore”. Evidentemente, nonostante l’impermeabilità del sistema di potere religioso vigente, qualcosa del messaggio biblico – secondo cui “il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone”, come si esprime e lascia intendere la prima lettura - riusciva a passare per raggiungere le coscienze e aprire varchi di speranza per chiunque! Così come accade del vangelo oggi che arriva comunque alla percezione comune, nonostante gli appesantimenti dottrinali e istituzionali.

 

Quando Gesù nel suo racconto ci dice che “questi [il pubblicano] a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato”, ci porta al cuore del vangelo e al senso stesso della sua presenza nel mondo: senz’altro avrà avuto presente quanto aveva dichiarato nella casa del pubblicano Matteo, e cioè di non essere venuto “a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13). Certamente, alla sua uscita dal tempio, il pubblicano resterà sempre per l’opinione pubblica peccatore per definizione, anche se in grazia e in pace con Dio, forse a sua stessa insaputa.

 

Ma questo ci deve aprire gli occhi e il cuore su come stanno e vanno le cose “presso Dio”, là dove un cambiamento del cuore degli uomini è possibile.  È un messaggio di speranza per quanti sono o si sentono esclusi dai recinti di un mondo religioso autoreferenziale e sicuro di sé, che si misura con gli “altri” in funzione propria, piuttosto che misurarsi con Dio in funzione altrui: rispetto a questa scala di valori è dunque possibile un capovolgimento. Ma c’è di più: che anche un fariseo può convertirsi ed entrare nel nuovo ordine di cose e di rapporti.

 

È il caso dell’apostolo Paolo, che in Filippesi 3,5 ci ricorda di essere “ebreo da Ebrei, fariseo quanto alla legge”: il suo zelo per la Legge lo trasferisce sul vangelo, per il quale combatte la buona battaglia nella fede, in attesa di quella “giustificazione – o corona di giustizia - che aspetta per sé ma anche per tutti coloro per i quali si è speso. Non gli importa neanche di ritrovarsi solo abbandonato da tutti, purché il Signore gli stia vicino e gli dia forza, all’unico scopo di “portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero”. Se ci fosse dato di avere la stessa passione, ambizione e disponibilità, al di là di pianificazioni pastorali finalizzate all’auto-conservazione, non ci resterebbe che rendere “a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen”  (ABS)


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