14 novembre 2021 - XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

 

Melozzo da Forlì: Cristo in gloria (1474-77)

Roma, Palazzo del Quirinale

 

 

PRIMA LETTURA (Daniele 12,1-3)

In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo.

Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro.

Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.

I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 15)

Rit. Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.              

 

Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.

 

 

SECONDA LETTURA ( Ebrei 10,11-14.18)

Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati.

Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.

Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.



VANGELO (Marco 13,24-32)


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.

Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.

In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

 

 

In altre parole…

 

La parola apocalisse è diventata di uso comune per indicare eventi di catastrofi impreviste e irreparabili, nei confronti dei quali cerchiamo di prendere contromisure rassicuranti più che efficaci, perché ci superano. Questa accezione riduttiva rischia di svuotare la parola nel suo significato biblico ed ecclesiale, che è: “rivelazione” di Gesù, “parusia” o presenza, e quindi evento finale e ritorno di Gesù nella sua gloria, così come Melozzo da Forlì ce lo presenta: come incarnazione compiuta!

 

A questa realtà ultima ci proietta il profeta Daniele, che prevede l’intervento di Michele, “il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo” quasi prefigurazione del Figlio dell’uomo.  Il Popolo di Dio non è abbandonato a se stesso, mentre va incontro agli ultimi tempi, da intendersi non come indicazione cronologica o storica, ma come richiamo a ciò che di ultimativo e decisivo c’è nella esistenza di ciascuno e di tutti: come momento conclusivo del Regno di Dio, del nostro incontro col Padre, di cui parliamo a spron battuto forse con troppa superficialità.

 

Ma proprio perché “in quel tempo” il popolo sarà salvato, sarà necessariamente “un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo”. Il sentimento penitenziale e di conversione del cristiano non vale perché implica mortificazione , ma per la tensione escatologica e di speranza che lo anima: per una capacità di valutazione delle cose alla luce dell’eternità (sub specie aeternitatis). Forse possiamo intendere così l’espressione “chiunque sarà scritto nel libro”, anche perché è implicito un risveglio per il giudizio per la vita eterna o per l’infamia eterna, qualcosa  tutto da capire ma in ogni caso da tenere presente.

 

Così come è da tenere presente la visione dei saggi che risplenderanno nel cielo come il firmamento, soprattutto se con la loro saggezza hanno indotto altri alla giustizia. E questo avverrà in quei giorni che Gesù presenta come di “tribolazione”, quando “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. È la precarietà e provvisorietà del creato, che deve far posto alla nuova creazione, e quindi al Figlio dell’uomo, che viene sulle nubi con grande potenza e gloria come re dell’universo. Abbiamo già visto nella Lettera agli Ebrei che egli “apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza”.  Appunto  con grande potenza e gloria.

 

È quella che viene detta “parusia”, manifestazione o venuta del Figlio dell’uomo, questa volta non nella debolezza  e umiltà della carne, ma con potenza e gloria, in tutta la sua Signoria. Noi siamo soliti intendere questi eventi futuri come “fine del mondo”, da trasferire alla fine dei tempi. In realtà questa fine di un certo ordine naturale delle cose è già in atto e le avvisaglie di una nuova creazione non mancano a chi ha uno sguardo di fede. Il fatto che egli manderà i suoi angeli a radunare “i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo”, in fondo  è quanto già avviene, da quando i discepoli sono stati mandati in tutto il mondo, “fino agli estremi confini della terra” (Atti 1,8), a fare discepole tutte le genti. Siamo già in piena escatologia, nel tempo della salvezza!

 

Così pure, quando ci viene detto di imparare dal fico: è per far presente  che gli eventi di salvezza sono sempre all’ordine del  giorno e devono farci capire che “che egli è vicino, è alle porte”. Si potrebbe dire che la parusia è dentro il tempo, ma non è misurata dal tempo, e bisogna imparare a viverla come attesa, vigilanza continua, così come ci viene insegnato dalle parabole delle vergini stolte e prudenti, dei servi che aspettano il ritorno del re…  L’attenzione deve essere al qui ed ora, senza distrazioni o dilazioni, altrimenti saremmo come quel servo che “dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi” (Lc 12,45): a riempire il tempo di nulla a danno di tutti. Sembra che questo dramma ricorrente si debba avverare di generazione in generazione, dentro ogni generazione senza soluzione di continuità, come ci ricorda la parabola del grano e della zizzania.

 

Il filo conduttore e l’asse portante di questa nostra avventura nell’avvicinarsi del Regno di Dio, che ci viene incontro nel Figlio dell’uomo in potenza e gloria, sono le parole del Signore che non passano: quanto Gesù ci ha detto e insegnato per prepararci ad andargli incontro quando egli si manifesterà in pienezza come Salvatore: qualcosa da non calcolare con i giorni e le ore. Ma che è nei disegni del Padre a nostro riguardo. È un’ottica da assumere nella fede, alla maniera di Gesù!

 

È l’ottica che porta a dire al Padre: “venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà”, e che ci rende attenti alle “cose che devono presto accadere” (Ap 1,1). È l’altra faccia della fede, che è prova e fondamento di cose sperate e invisibili, mentre noi siamo portati a valutarla solo nelle sue ricadute visibili, credendo così di renderla più attuale e comprensibile. Releghiamo la sua dimensione di mistero, e cioè di autentica “opera di Dio”, in un lontano universo religioso estraneo alla vita quotidiana e alla vicenda storica, come se solo la Creazione fosse tale – “opera di Dio” - e non anche e soprattutto la Redenzione.

 

Leggendo il passo della Lettera agli Ebrei, si intuisce che non siamo più in un mondo in cui giorno per giorno il celebra il culto, per offrire molte volte gli stessi sacrifici che non tolgono i peccati e lasciano le cose come stanno. Siamo entrati con Cristo nell’alto dei cieli, grazie all’offerta di sé al Padre e nostro favore: là dove è la nostra abitazione e dove è preparato un posto per noi, mentre egli è impegnato insieme a noi a debellare i suoi nemici: “Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati”.  Forse sono termini che suonano quasi mitici per le nostre mentalità religiose.  Ma non possiamo negare che è questa la realtà davanti alla quale siamo messi dalla Parola di Dio che non passa, neanche quando la terra e il cielo passeranno. Bisognerebbe vigilare, e stare attenti a non ridurre la fede ad un epifenomeno religioso di bassa lega, per tenerla sul candelabro, in modo che faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.

 

È vero che la fede cristiana è messa alla prova  da un mondo in cambiamento, ma un nuovo confronto reale è possibile solo se la fede rimane se stessa nella sostanza e sa spogliarsi di rivestimenti e addobbi che hanno fatto il loro tempo e la compromettono! (ABS)


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