15 novembre 2020 - XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Francesco Cozza: La Madonna del cucito (1645 ca.)

 

PRIMA LETTURA (Proverbi 31,10-13.19-20.30-31)

Una donna forte chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito
e non verrà a mancargli il profitto.
Gli dà felicità e non dispiacere
per tutti i giorni della sua vita.
Si procura lana e lino
e li lavora volentieri con le mani.
Stende la sua mano alla conocchia
e le sue dita tengono il fuso.
Apre le sue palme al misero,
stende la mano al povero.
Illusorio è il fascino e fugace la bellezza,
ma la donna che teme Dio è da lodare.
Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue opere la lodino alle porte della città.




SALMO RESPONSORIALE (Salmo 127)

Rit. Beato chi teme il Signore.

 

Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.

La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.

Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!

 

 

SECONDA LETTURA (1 Tessalonicési 5,1-6)

 

Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

 

 

VANGELO (Matteo 25,14-30)

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:

«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.

Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.

Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».



In altre parole…

 

Questa pandemia non sarà proprio un diluvio, ma universale sì! Ed allora possiamo accettare il parallelismo che stabilisce Gesù tra il diluvio universale e la sua seconda venuta: “Come avvenne ai giorni di Noè, così pure avverrà ai giorni del Figlio dell'uomo. Si mangiava, si beveva, si prendeva moglie, si andava a marito, fino al giorno che Noè entrò nell'arca, e venne il diluvio che li fece perire tutti” (Lc 17,26-27). Facciamo fatica a prendere atto fino in fondo di come stanno le cose e ad entrare in un’ottica diversa per guardare alla situazione reale che si sta creando. Ci ostiniamo a voler far rientrare quello che ci succede nei quadri e nei parametri di sempre, come se il mondo così com’è fosse l’unico criterio di misura ed il resto semplice variazione. Non siamo capaci di tornare sui nostri passi, se non calpestando tutto e tutti!

 

Detto questo per ricordarci di quale società facciamo parte, ascoltiamo san Paolo per capire come potremmo essere in vista di eventi ultimativi, come comunità fondata sul vangelo: e cioè in forza della parola, dello Spirito e della convinzione, i fattori su cui egli vuole edificare la comunità di Tessalonica ed ogni comunità cristiana. Forti di questo, i Tessalonicesi sono stati illuminati e confortati riguardo a quelli che si sono addormentati in Cristo, “perché il Signore stesso scenderà dal cielo, verremo rapiti e così saremo sempre con il Signore” (Ts 4,16.17). Ed è questa la consapevolezza e la fiducia che deve animare ogni comunità di credenti nel mondo!

 

Ma quando e come questo rapimento “a incontrare il Signore nell'aria”? Anche in questo quei cristiani devono fare chiarezza ed essere attenti ai tempi e ai momenti, perché appunto il Signore verrà come un ladro di notte nel suo giorno, “il giorno del Signore”, il giorno della sua parusia o manifestazione gloriosa. Ma anche questa volta, come ai tempi di Noè, ci diremo “pace e sicurezza” come se niente fosse, fino a quando ecco improvvisa la rovina che ci trova impreparati. Così come avviene all’uomo soddisfatto con i granai pieni e che dice a se stesso:  “Tu hai molti beni ammassati per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti" (Lc 12,19).

 

L’imprevedibilità dell’evento, però, non può essere per i credenti improvvisazione. Bisogna sentirsi invece come donna incinta che soffre all’improvviso le doglie del parto ma ben preparata. Siamo in realtà dentro il travaglio di tutta la creazione (cfr Rm 8), in attesa della pienezza del tempo: in qualche modo, il giorno atteso e desiderato è già presente, per quanto sempre a sorpresa. Nella speranza, possiamo perciò già vivere come “figli della luce”, proiettati verso il giorno della piena manifestazione della gloria del Risorto. Che non è affatto evento imponderabile che fa storia a sé, ma è solo compimento di una storia nella quale siamo coinvolti fin da ora, e che perciò deve tenerci svegli sempre per essere pronti ad accoglierlo! Qualcosa che dà senso alla nostra esistenza nel mondo

Di qui la raccomandazione di Paolo alla sua comunità: “Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri”. In questa attesa del giorno dobbiamo rimanere svegli, ma anche nella sobrietà, comportandoci  “onestamente, come in pieno giorno, senza gozzoviglie e ubriachezze; senza immoralità e dissolutezza; senza contese e gelosie” (Rm 13,13). Spesso però succede che in effetti non siamo “come gli altri” e abbiamo ben presente la venuta del Signore, ma a nostra volta dormiamo sugli allori: siamo sobri ma non svegli!, pensando che i momenti decisivi ci saranno chissà quando. Si direbbe che abbiamo messo al sicuro il nostro talento e siamo pronti a riconsegnarlo tranquillamente al momento opportuno, come qualcosa che ci guardiamo bene dal mettere a frutto e a rischio giorno dopo giorno. È un po’ come se tutto ci passasse sulla testa.

Senza stare a ripetere o commentare la parabola dei talenti – divenuta anche questa proverbiale come il tributo a Cesare – possiamo leggerla proprio a partire da questo punto. Del resto la sentenza ultima di Gesù lascia intendere che egli vuole portarci, nell’attesa della sua venuta, ad evitare l’atteggiamento e il comportamento di chi si preoccupa solo di salvaguardare se stesso dal rigore del padrone, fino a quando dovrà sentirsi dire: “Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti”.

Non è da credere che Gesù, premiando gli altri, voglia incentivare l’efficientismo e l’accumulo di meriti di chi si dà tanto da fare. La sua non è meritocrazia, perché a quel punto ci sarebbe da lamentare una discriminazione di partenza nella distribuzione dei talenti. Ciò che conta non è la disparità quantitativa alla resa dei conti, ma l’attitudine diversa dei vari attori sulla scena. Infatti non è da dimenticare il fatto che i talenti o il capitale iniziale vengano distribuiti “secondo le capacità di ciascuno”.

A fare la differenza è il fatto che mentre alcuni accettano e fanno propria questa consegna gratuita, e di conseguenza si attivano nell’attesa del padrone, il servo che ha ricevuto l’unico talento di fatto non lo accetta e non lo fa proprio, contentandosi di custodirlo per non trovarsi in difetto. Confessa candidamente che l’unica sua preoccupazione è di riconsegnarlo ad un padrone che ritiene duro ed esigente, tanto da averne paura. Quindi è come se il talento non l’avesse avuto, per cui è più che giusto che gli venga sottratto.

Questo ci vuole insegnare qualcosa riguardo alla capacità e alle modalità dell’attesa del giorno del Signore e del suo ritorno, come spendere la nostra che è gestazione ininterrotta e impegno quotidiano di tradurre in azione l’invocazione “venga il tuo Regno”! Si tratta in qualche modo di consentire al Regno di Dio di venire e di prendere dimora tra noi ed evitare di rimanere tagliati fuori per neghittosità, per propri calcoli, per sprovvedutezza, quasi costringendo chi vorrebbe donarlo a togliercelo di mano e darlo ad altri: “Perciò vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto, e sarà dato a gente che ne faccia i frutti” (Mt 21,43).

La Madonna del cucito di Francesco Cozza sta a dirci che anche i grandi eventi della salvezza passano attraverso i gesti e le azioni di ogni giorno, e cioè attraverso la disponibilità e la mediazione di persone più che attraverso prestazioni eclatanti: è qui la grandezza della donna il cui nome è Maria (Lc 1,27).  A questa immagine si arriva a partire dal passo del libro dei Proverbi che ci presenta la donna forte difficile da trovare, la donna che teme Dio e da lodare, in cui appunto opera la mano potente di Dio. Quando si parla di “sesso debole” è a questa debolezza o arrendevolezza di fede alla potenza di Dio che bisogna riferirsi, quanto trova nel Magnificat la sua massima espressione: è dal niente della serva che l’Onnipotente fa grandi cose! Infatti la “potenza si dimostra perfetta nella debolezza” (2Cor 12,9). È la legge della Incarnazione da cui scaturisce la salvezza e da cui non bisognerebbe dispensarsi.

Del resto lo stesso Verbo di Dio “fatto carne” si è fatto debole fino ad annientare se stesso, perché la salvezza si realizza “a motivo della sua debolezza e inutilità” (Eb 7,18). Lodare la donna forte alle porte della città, è in realtà fare l’elogio della debolezza come disponibilità a Dio, la debolezza di cui arriva a compiacersi san Paolo “per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte” (2Cor 12,10).

Sappiamo allora che uso fare dei nostri talenti, quando ascoltiamo ancora una volta Paolo che ci dice: “Ed egli mi ha detto: La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza” (2Cor 12,9). Ma quanto tutto questo ispira e sostanzia la nostra mentalità cristiana e il nostro “sensus ecclesiae”? Forse è proprio qui il talento che abbiamo sotterrato, credendo di poter dire: “Ecco ciò che è tuo”.  (ABS)


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