25 settembre 2022 - XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Emilio Longoni: Riflessioni di un affamato (1894)
Biella, Museo del Territorio Biellese
PRIMA
LETTURA (Amos
6,1.4-7)
Guai
agli
spensierati di Sion
e a quelli che si considerano sicuri
sulla montagna di Samaria!
Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge
e i vitelli cresciuti nella stalla.
Canterellano al suono dell’arpa,
come Davide improvvisano su strumenti musicali;
bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati
e cesserà l’orgia dei dissoluti.
SALMO
RESPONSORIALE (Salmo
145)
Rit. Loda il Signore, anima mia.
Il
Signore
rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.
SECONDA
LETTURA (1Timoteo 6,11-16)
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,
che
al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio,
il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.
VANGELO
(Luca
16,19-31)
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
In altre parole…
Prima che illustrazione della parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, l’immagine di Emilio Longoni Riflessioni di un affamato è come il dito nella piaga della fame nel mondo che sembra incurabile, nonostante organizzazioni umanitarie e la dedizione di tante persone di buona volontà: c’è una denuncia senza appello del mondo della ricchezza come fabbrica dei poveri, quanto a parole ci dice il profeta Amos. Evidentemente, da che mondo è mondo, manca il punto di appoggio per risollevare dalla depressione e dall’indigenza interi popoli, mentre noi recitiamo en passant nel salmo 145: “Il Signore rimane fedele per sempre / rende giustizia agli oppressi, / dà il pane agli affamati. / Il Signore libera i prigionieri”.
Non è però da pensare ad una categoria ristretta di spensierati che “della rovina di Giuseppe non si preoccupano”, perché abbiamo a che fare con sensibilità, mentalità, culture e politiche diffuse e trasversali, che mancano di un’anima profonda di umanità: ed ecco anche perché ci sembra di salvare il mondo intero, continuando invece a becchettarsi come i capponi di Renzo, o a comportarsi come dice 2Pietro 2,22: “Si è verificato per essi il proverbio: Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata ad avvoltolarsi nel brago”. Non sarebbe il caso di interrogarsi su come presumiamo un po’ tutti di essere salvatori del mondo a buon mercato, quando ciò è possibile solo a caro prezzo?
Le poche parole del profeta Amos scritte ieri sono di un realismo sconfortante, per come sono vere anche oggi: la denuncia è per la falsa sicurezza carica di empietà, che nasce dalla ricchezza, e che porta al disprezzo verso tutti gli altri, con la conseguente noncuranza per le minacce che incombono. Non è solo questione di denuncia morale e di minaccia incombente, ma prima di tutto si tratta di rivelazione dello stato e dell’andamento delle cose del mondo, di cui essere coscienti e verso cui diventare profeti come testimoni delle parole del vangelo che non passano ed hanno una risonanza eterna.
Quella di ricchi e poveri, ricchezza e povertà non è quindi solo questione umanitaria e sociale ma c’è in gioco il vero e falso rapporto con Dio, come lo stesso Luca ci fa capire in 21,10, quando ci riferisce le osservazioni di Gesù riguardo al superfluo che i ricchi gettavano nel tesoro del tempio e agli spiccioli della povera vedova. Si direbbe che è la questione teologica di fondo di tutto il vangelo, che ci rimanda alle Beatitudini e ai relativi “Guai...” elencati in Luca 6,24-26. Ma forse Amos è il primo ad inaugurare la serie di questi avvertimenti che punteggiano tutta la Scrittura, fino all’Apocalisse, e che forse meriterebbero più attenzione da parte nostra, senza ridurli a semplice forma letteraria. Gesù è lapidario, quando vuole riportarci alla cruda verità della sequela: “Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14,33). Se questa però non diventa frase fatta da ripetere in qualche fervorino!
Eccolo allora rivolgersi ai farisei con la storia del ricco epulone e del povero Lazzaro, che in qualche modo rovescia la loro sorte e ci riporta a “beati i poveri…”, e cioè alla realtà più vera del Regno di Dio, col povero portato dagli angeli accanto ad Abramo e il ricco sepolto negli inferi fra i tormenti, desideroso che Lazzaro gli possa offrire qualche goccia d’acqua di refrigerio. Ma se prima non c’era nessuna porta aperta per il povero desideroso di sfamarsi con le briciole cadute dalla tavola del ricco ormai non c’è più nessun varco aperto di reciprocità. Già in Proverbi 21,13 ci veniva detto: “Chi chiude l’orecchio al grido del povero invocherà a sua volta e non otterrà risposta”.
Il ricco sembra riscattarsi preoccupandosi dei cinque fratelli, a cui vorrebbe risparmiare la stessa sorte, nel caso Lazzaro andasse ad ammonirli severamente. Gli viene però ricordato che un’ammonizione severa c’è già per tutti attraverso Mosè e i Profeti: “Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Tm 3,16). Se manca questo ascolto serio e profondo della Parola di Dio – e dei suoi ripetuti “Guai”… - neanche la spettacolarità di qualcuno risorto dai morti potrebbe indurre al ravvedimento. Gesù sembra avvertirci che anche la sua resurrezione potrebbe essere resa vana per mancanza di fede e per la superficialità di una predicazione svuotata.
È anche il richiamo di Paolo all’”uomo di Dio” Timoteo – ma a chiunque sia “preparato per ogni opera buona” – a fuggire ogni “attaccamento al denaro… radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori” (1Tm 6,10). Il pensiero torna all’epulone, a conferma del fatto che non basta una denuncia ideale di mammona, se non c’è un impegno radicale nel vincere questa idolatria, e non solo in senso personale e spirituale, ma in prospettiva ecclesiale, se essere “chiesa dei poveri” non è solo una etichetta pubblicitaria. Le istruzioni che Paolo dà a Timoteo valgono anche per noi per vincere questa forza di attrazione del dio-denaro e tendere invece “alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza”; a combattere la buona battaglia delle fede “al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose e di Gesù Cristo che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato”. Pilato che ci presenta questo Gesù con quel “Ecce homo”, che dovrebbe diventare la nostra condizione di discepoli di Cristo davanti al mondo. (ABS)