4 ottobre 2020 - XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 

James Tissot: Il figlio della vigna (1886-1894)

PRIMA LETTURA (Isaia 5,1-7)


Voglio cantare per il mio diletto
il mio cantico d’amore per la sua vigna.
Il mio diletto possedeva una vigna
sopra un fertile colle.
Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi
e vi aveva piantato viti pregiate;
in mezzo vi aveva costruito una torre
e scavato anche un tino.
Egli aspettò che producesse uva;
essa produsse, invece, acini acerbi.
E ora, abitanti di Gerusalemme
e uomini di Giuda,
siate voi giudici fra me e la mia vigna.
Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna
che io non abbia fatto?
Perché, mentre attendevo che producesse uva,
essa ha prodotto acini acerbi?
Ora voglio farvi conoscere
ciò che sto per fare alla mia vigna:
toglierò la sua siepe
e si trasformerà in pascolo;
demolirò il suo muro di cinta
e verrà calpestata.
La renderò un deserto,
non sarà potata né vangata
e vi cresceranno rovi e pruni;
alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia.
Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti
è la casa d’Israele;
gli abitanti di Giuda
sono la sua piantagione preferita.
Egli si aspettava giustizia
ed ecco spargimento di sangue,
attendeva rettitudine
ed ecco grida di oppressi.

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 79)


Rit. La vigna del Signore è la casa d’Israele.

 

Hai sradicato una vite dall’Egitto,
hai scacciato le genti e l’hai trapiantata.
Ha esteso i suoi tralci fino al mare,
arrivavano al fiume i suoi germogli.

Perché hai aperto brecce nella sua cinta
e ne fa vendemmia ogni passante?
La devasta il cinghiale del bosco
e vi pascolano le bestie della campagna.

Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte.

Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.
Signore, Dio degli eserciti, fa’ che ritorniamo,
fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi.

 

 

SECONDA LETTURA (Filippesi 4,6-9)


Fratelli, non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti.

E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.
In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri.

Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!

 

 

VANGELO (Matteo 21,33-43)

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:

«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.


Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono.

Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.

Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.

Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».

Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

In altre parole…

 

Questa domenica - XXVII del TO - è anche il giorno di san Francesco, e siamo all’indomani del giorno in cui sulla sua tomba ad Assisi Papa Francesco ha firmato la nuova enciclica a lui ispirata “Fratelli tutti”, dedicata appunto, come si legge nel sottotitolo, alla “fraternità” e alla “amicizia sociale”. Dopo la “Laudato si’…” a sfondo ecologico, l’attenzione si porta all’umanità tutta: in qualche modo c’è l’invito a fare proprio il “cantico delle creature”. Ancora una volta, però, corriamo il rischio di rimanere abbagliati da tanta bellezza e luminosi orizzonti, ma poi rimanere spettatori entusiasti, come coloro che accolgono il seme della Parola, senza che questa possa mettere radici e portare frutto.   

 

A parte gradirlo e meditarlo, quale capacità abbiamo – o ha una chiesa intera - di condividere in profondità con Francesco il suo cantico? Basta guardare con lui le meraviglie del creato, o il problema è avere il suo cuore e i suoi occhi per credere ad una creazione ed umanità redenta? È a questo che bisognerebbe mirare, allo spirito evangelico che guarda “gli uccelli del cielo” (Mt 6,26) e i gigli dei campi (Lc 12,27)  e ci fa solidali con tutti gli uomini di buona volontà, operatori di pace come figli di Dio: non possiamo fermarci a metà strada. Ciò non toglie che si debba condividere con tutti la cura del creato e la speranza della fraternità universale, ma senza rinunciare ad essere voce profetica dentro la comune utopia. E cioè come frutto di un’esistenza di fede matura, con totale realismo e con piena dedizione.

 

È quello che ci insegna il profeta Isaia, quando canta il cantico d’amore del suo diletto per la sua vigna. L’orizzonte è quello della creazione tutta, dell’umanità intera, della storia di tutti e di sempre: un orizzonte non riducibile ad universo religioso, confessionale, celebrativo, rituale, devozionale come spesso succede, salvo poi gettare ponti per recuperare universalità, storicità, laicità, realtà terrestri ecc, quasi come protesi aggiuntive ad una vita di fede separata. Quando si dice “chiesa in uscita” è da tenere presente che si tratta di un correttivo, mentre basterebbe che la chiesa tornasse ad essere se stessa, anche nello spirito di Francesco e cioè evangelico!

 

Questa vigna coltivata con cura non è altro che il mondo, creato come cosa buona e molto buona. Ma il profeta Isaia ci fa capire anche quali sono le attese e quale poi la realtà riguardo a questa coltivazione: “Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi..”. Gesù ci dirà che è lui la vera vite, mentre il Padre è il vignaiolo che la pota, perché porti frutto (cfr. Gv 15,1-2). Per dire che siamo pienamente partecipi e coinvolti in questa storia e nelle vicende della vigna. Non solo, ma siamo chiamati in causa per giudicare come vanno le cose tra il padrone e la sua vigna, perché mentre attendeva “che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi”.

 

Per sentirsi dire infine che questa vigna a noi affidata è destinata a diventare un deserto.  Ce lo illustra l’immagine di James Tissot, in cui appare il cadavere del figlio ucciso, di cui ci parla il passo del vangelo: siamo così introdotti alla oramai prossima morte di Gesù e ci viene data una chiave di lettura della crocifissione. Dopo che Gesù aveva rimproverato i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo di non aver dato ascolto al messaggio del Battista, si rivolge perentoriamente ad essi con queste parole: “Ascoltate un’altra parabola”, e cioè: quello che sto per dirvi riguarda direttamente voi, quasi eco delle parole di Isaia: “La vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita”. C’è insomma in questa “parabola” il fatto di essere chiamati in causa in prima persona, ieri come oggi. Non possiamo limitarci a meditarla, ma ci interpella.

 

Per la verità, non si tratta di una parabola vera e propria come le altre, destinate a rivelare e far comprendere il mistero del Regno di Dio: è piuttosto un appello alla responsabilità dei capi dei sacerdoti e degli anziani del popolo quanto al loro comportamento nell’esercizio del potere sulla vigna a loro affidata e anche quanto  all’imminente epilogo che la situazione sta avendo con la crocifissione. È una chiara denuncia della loro volontà di impossessarsi dell’eredità del figlio mettendolo a morte. E questo nel quadro di tutta la storia della salvezza e di tutti i profeti via via uccisi, nell’unico intento di diventare essi i padroni in assoluto della vigna. Sono più che mai rivelative e impegnative le parole del profeta riguardo a colui che egli chiama il “mio diletto” o padrone della vigna: “Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi”.

 

Anche in questo caso, come in Isaia, il padrone della vigna interpella i suoi interlocutori per sentire da loro cosa avrebbe dovuto fare a quei contadini infedeli e violenti; ne riceve una risposta che è una precisa e inconsapevole auto-condanna: “Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. Evidentemente a loro sembrava di essere a posto e pronti a consegnare i frutti dovuti secondo la loro giustizia. Ma Gesù non esita a metterli davanti a se stessi, non senza aver fatto cenno al disegno di Dio che si stava realizzando: “Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”.

 

C’è una sottile coincidenza tra quanto è detto nel testo di Isaia e nel passo del vangelo, ma tutto questo non fa che proiettarsi sul Popolo di Dio nel tempo fino a noi. E qui si torna a fare riferimento al regno di Dio, qualcosa in sui siamo coinvolti in prima persona. Sappiamo che c’è un momento in cui il regno di Dio viene rivelato ai piccoli (cfr Mat 11,25), un momento in cui viene affidato al piccolo gregge (cfr. Lc 12.22), un momento in cui dover rendere conto di questo dono fatto a ciascuno (cfr Mt 25,15ss); ma c’è anche un momento in cui questo regno può essere tolto dalle mani di quanti se ne vogliono appropriare in esclusiva e con violenza. E questo succede ogni volta che in nome di Dio si costituisce un potere religioso con relativa gestione del sacro, credendo al contrario di portare i frutti da raccogliere al tempo giusto. Alla luce di quanto abbiamo sotto gli occhi, non potrebbe accadere qualcosa del genere?

 

Certamente non abbiamo una chiesa che come tale sappia interrogarsi sul proprio operato nella vigna del Signore (nonostante la “Evangelii gaudium”), e rendersi conto di quali frutti sta dando: è più facile che essa si ritenga la vera vigna o addirittura unica padrona. Non a caso sono continui i richiami ad uscire dal clericalismo dominante, per andare verso un’ attitudine e mentalità più evangelica: verso uno stile di chiesa più fraterna e meno paternalistica.

 

Non sempre o difficilmente, come responsabili della vigna, potremmo ripetere con Paolo le parole che egli rivolge alla comunità di Filippi: “Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!”. Con quale spirito lavorare nella vigna e quali debbano essere i frutti da portare ce lo fa capire apertamente ancora Paolo: non angustiarsi ma presentare al Padre le nostre richieste, perché in Cristo suo figlio ci doni quella pace che supera ogni umano pensiero e sentimento. E da parte nostra fare in modo che oggetto dei nostri pensieri sia sempre “ciò che è virtù e ciò che merita lode”: preoccuparsi che la vite “porti più frutto” (Gv 15,2), piuttosto che farla da padroni!

 

Quelle di Paolo sono parole che si attagliano perfettamente a Francesco e potrebbero risuonare sulla sua bocca. Ma se vogliamo guardare a Francesco, stiamo attenti a non dimezzarlo, per prenderlo invece nella sua interezza inarrivabile: non solo come cantore del creato e profeta di pace, ma come icona vivente di Cristo e testimone di un vangelo sine glossa! (ABS)


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