11 ottobre 2020 - XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 


Hans Memling: Giudizio universale, part. del Trittico di Danzica (1467-1473 circa)

 

 

 

PRIMA LETTURA (Isaia 25,6-10a)

Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande,
un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto,
l’ignominia del suo popolo
farà scomparire da tutta la terra,
poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza,
poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 22)


Rit. Abiterò per sempre nella casa del Signore.

 

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

 

 

SECONDA LETTURA (Filippesi 4,12-14.19-20)

 

Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni.

Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù.

Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

 

VANGELO (Matteo 22,1-14)

 

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.

Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.

Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.

Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».




In altre parole…

 

Che si parli di vigna o di festa di nozze, il punto focale rimane il mistero del regno di Dio in cui entrare: un altro mondo, un altro ordine di realtà in cui ambientarsi, con le sue prospettive e le sue leggi. Realisticamente, dobbiamo avere il coraggio di dirci che “la nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo” (Fil 3,20). Con quale consapevolezza e con quale spirito ripetiamo meccanicamente il ritornello: “Abiterò per sempre nella casa del Signore”?  Quando Gesù dice “il regno di Dio è in mezzo a voi”, vuole che ci rendiamo conto di come stanno le cose e ci impedisce di trasferirlo qua e là a nostro piacimento, magari dove fa più clamore!

L’immagine di H.Memling porta il titolo “Giudizio universale”, ma in realtà ci fa capire che si tratta di essere rivestiti della veste nuziale per poter partecipare al banchetto del Regno. Sapendo che “quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo” (Gal 3,27), e avendo presente l’imposizione della veste candida nella celebrazione del battesimo. Purtroppo abbiamo una visione e concezione troppo frammentata della vita cristiana, fatta di spezzoni spirituali, morali e comportamentali, dimenticando che a fondere il tutto è l’amore di Cristo e la conformazione a lui. Per la verità, in primo piano, spesso, ci sono mille altre cose anche religiose, e lasciamo che l’amore di Cristo sia dominio di devozioni varie più che riguardare lui in persona! Tutto può andar bene per noi, ma possiamo presentarci al mondo con l’immagine del sacro Cuore o simili? Con tutto il rispetto della fede o buona fede di ciascuno, non è raro il caso in cui sarebbero giuste queste parole di san Paolo: “O Galati insensati, chi vi ha ammaliati, voi, davanti ai cui occhi Gesù Cristo è stato rappresentato crocifisso?” (Gal 3,1).

E forse, a questo punto, non è fuori luogo leggere le parole del profeta Isaia con riferimento al monte della crocifissione: là dove c’è il corpo offerto come cibo di vita e il sangue versato come bevanda di salvezza. Là dove si celebrano le nozze della nuova ed eterna alleanza e l’agnello di Dio è immolato per la liberazione dei peccati del mondo; là dove è eliminata la morte per sempre, “poiché il Signore ha parlato”. E a noi non rimane che dire: “Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse… poiché la mano del Signore si poserà su questo monte”. In effetti, è su quel monte che la salvezza prende corpo!

Di tutto questo è segno l’eucarestia appunto come sacramento, attraverso cui si accede a tutto il mistero della fede. E se “il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio”, allora è l’eucarestia il banchetto di questo regno, e possiamo rapportarci ad essa come siamo invitati a fare verso il regno di Dio che è in mezzo a noi. Sembra ci sia una chiesa del regno di Dio in senso centrifugo e una chiesa dell’eucarestia come culto in senso centripeta. E il problema è quello di ricreare una coincidenza tra queste due dimensioni: quella evangelica come Popolo di Dio e quella gerarchica di comunità costituita ed autoreferenziale. Perché, se c’è una chiesa percepita come fenomeno religioso a sé, c’è un’altra chiesa sentita prevalentemente come fattore di promozione sociale e depositaria di tutti i sogni umani.

Una fusione dovrebbe avvenire proprio in quanto eucarestia, memoriale che riassume e ripropone la Pasqua di sempre, ma al tempo stesso prefigura il banchetto escatologico preparato dal Signore per tutti i popoli. Se le cose stanno così, la parabola degli invitati a nozze diventa opportunità per interrogarci sul nostro modo di discernere il corpo del Signore: “Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga. Ora ciascuno esamini se stesso, e così mangi del pane e beva dal calice; poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne il corpo del Signore” (1Cor 11,26.28-29). Non a caso ci sentiamo ripetere: “Beati gli invitati alla cena del Signore, ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”: come è possibile ridurre tutto a pura “devozione eucaristica” in chiave intimista e non avere presente quanto c’è in gioco per la salvezza del mondo? Quello a cui invita Paolo è solo un discernimento a carattere personale o dovrebbe essere discernimento comunitario ed ecclesiale? Non è su questo piano che dovrebbe avvenire una vera modificazione della comunità cristiana, per essere missionaria alla radice e non solo nelle foglie?

Non possiamo in realtà ridurre la celebrazione eucaristica ad etichetta identitaria di appartenenza campanilistica, mentre siamo chiamati tutti a prestare un servizio sacerdotale “in Cristo, con Cristo e per Cristo”. Quando nel racconto della parabola si dice che il re “mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire”, è chiaro che non si tratta di estranei, ma di persone della propria cerchia, di persone che però non sanno distinguere tra la frequentazione abituale o abitudinaria e i momenti significativi di partecipazione in profondità.

Ragione per cui si dispensano da ogni impegno facendo le proprie scuse e pensando che tutto possa rimanere come sempre. A nulla serve il reiterato invito a prendere parte alle nozze, mettendo da parte i propri interessi momentanei. Succede invece che il richiamo a prendere in considerazione l’invito ad una partecipazione più vera scomodi e indispettisca, fino a far diventare violenti. Non possiamo nasconderci che tante controversie e divisioni nascono proprio su questo piano (si pensi alla questione della “ospitalità eucaristica” tanto dibattuta ai nostri giorni), e bisognerebbe avere il coraggio di esaminarle a viso aperto.

E qui tornano a proposito le parole con cui si concludeva il racconto dei contadini infedeli della vigna: “Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti” (Mt 21,43). Il banchetto di nozze già pronto non può andare deserto; quelli che dovrebbero rallegrarsi perché sono stati chiamati alla prima ora non se ne sono dimostrati degni, come se dipendesse da loro la riuscita o meno delle nozze. Il fatto però che fossero loro gli invitati di diritto, non escludeva che il banchetto fosse preparato anche per altri. Ecco allora i servi mandati per i crocicchi delle strade per invitare alle nozze quanti avrebbero incontrato. Necessariamente, ora sono questi, che erano ultimi, a diventare i primi: cattivi e buoni, pronti però a rispondere alla chiamata inaspettata e del tutto gratuita.

Essi cioè apprezzano questa gratuità, diversamente da chi viveva l’invito come un obbligo o come precetto, per renderlo di fatto facoltativo; ma è chiaro che a questa gratuità si deve corrispondere con lo stesso sentimento, e quindi assumere un habitus mentale e di comportamento adeguati ad una partecipazione nuziale. Non ci si può affidare solo all’assuefazione, al conformismo, all’opportunismo o alla gratificazione rituale: spesso le nostre celebrazioni eucaristiche sono un insieme di “comunioni spirituali” di singoli, che diventano comunitarie di riflesso, o perché radunati nello stesso luogo o per ragioni di atto pubblico. Un motivo in più per un discernimento condiviso delle nostre celebrazioni eucaristiche, al di là di ogni estetismo rituale.

Quando ci sentiamo chiedere: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”, non è da pensare solo alle condizioni personali per potersi “accostare alla comunione”; ma è da chiedersi apertamente quale spirito di reale comunione riusciamo a maturare e ad esprimere, ad evitare che anche la nostra sorte sia uguale a quella di  quanti hanno rifiutato l’invito e rimanere relegati tra i molti chiamati, senza rientrare tra gli “eletti”: e cioè partecipare a quella gloria di cui l’eucarestia è segno e pegno. Qualcosa di cui sempre l’immagine di Memling ci dà una visione, quando ci mostra che siamo destinati ad essere rivestiti di quella gloria che avevamo perduta: “E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore”.

Ma se vogliamo uno spaccato di quale possa e debba essere la partecipazione al banchetto del Regno - e quindi alla comunione della comunità di cui la celebrazione eucaristica è segno e strumento - ce lo offrono le poche parole di Paolo ai Filippesi: essere allenati e pronti a tutto e per tutto! A condividere povertà e abbondanza, fame e sazietà, grazie a colui che ci dà forza, ma sempre e comunque nella solidarietà e nell’aiuto scambievole, portando gli uni i pesi degli altri. E nella misura in cui riusciamo ad orientare le cose in questo modo, ecco subito Paolo dirci: “Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù”. (ABS)


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