23 agosto 2020 - XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 

Pietro Perugino: La consegna delle chiavi a San Pietro (1481-1482) part.

PRIMA LETTURA (Isaia 22,19-23)

Così dice il Signore a Sebna, maggiordomo del palazzo:
«Ti toglierò la carica,
ti rovescerò dal tuo posto.
In quel giorno avverrà
che io chiamerò il mio servo Eliakìm, figlio di Chelkìa;
lo rivestirò con la tua tunica,
lo cingerò della tua cintura
e metterò il tuo potere nelle sue mani.
Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme
e per il casato di Giuda.
Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide:
se egli apre, nessuno chiuderà;
se egli chiude, nessuno potrà aprire.
Lo conficcherò come un piolo in luogo solido
e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre».


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 137)


Rit. Signore, il tuo amore è per sempre.

 

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.

Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile;
il superbo invece lo riconosce da lontano.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.

 

 

SECONDA LETTURA (Romani 11,33-36)

O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!
Infatti,
chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore?
O chi mai è stato suo consigliere?
O chi gli ha dato qualcosa per primo
tanto da riceverne il contraccambio?
Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.


VANGELO (Matteo 16,13-20)

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».

Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.



In altre parole…

 

“O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio!”. A far prorompere san Paolo in questa esclamazione di lode non è un sentimento religioso di maniera, che porta spesso a nominare il Nome di Dio invano; ma neanche un impulso mistico come fuga dal mondo. È il frutto di una fede non mitica, non ideologica, non devozionale, non convenzionale e sociologica, ma una fede personale di verità e di vita, che lo porta a vivere il dramma della salvezza per il suo popolo Israele e per le genti. Ricordiamo come egli si presenta: sono persuaso, dico la verità non mentisco,  e anche come conclude il suo discorso: “Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!” (Rm 11,32).

 

È dopo aver riflettuto in lungo e in largo su questa storia della salvezza che egli  arriva ad esaltare la ricchezza, la sapienza, la scienza di Dio, riconoscendo che “insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!”. Dopo aver cercato in tutti i modi di sondare il mistero della salvezza come opera di Dio nella storia, non esita a chiedersi: “Chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il contraccambio?” Non è una resa, ma momento di partecipazione e di verità, “poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli”. Se Dio è inaccessibile a noi, egli però si piega verso di noi: si comunica e si rivela, ma con quali esiti?

 

Ci sarebbero motivi per interrogarsi sullo stato della fede nel mondo, prima ancora che come condizione interiore dei singoli come evento e chance di salvezza per tutte le genti. Non possiamo dimenticare che a questo è chiamata la chiesa: essa è e dovrebbe essere non la salvezza del mondo ma segno e strumento della salvezza di Dio per il mondo, con la stessa dedizione di Paolo ma anche con la stessa consapevolezza della profondità dei giudizi e delle vie di Dio: “Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55,8-9).

 

Il più delle volte guardiamo ad un Dio funzionale ai nostri sistemi, o concepiamo noi stessi in funzione del sistema-Dio - ma le cose poi si corrispondono - e raramente abbiamo la percezione della differenza che rende possibile e sorprendente l’incontro tra il Creatore e la creatura. Quando si parla di ”totalmente Altro” è solo una presa di distanza, e non sempre siamo pronti a tenerne conto e a dire: “Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen”.

 

In questa urgenza di essere come chiesa sacramento di salvezza - “luce del mondo” e “sale della terra” - possiamo sentirci interpellare da Gesù stesso, che ci chiede: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”. Gesù non si meraviglia che si abbiano opinioni le più disparate su di lui tra la gente, ma da qualcuno vuole essere preso per quello che è. Di qui la sua replica ai discepoli: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Pietro che si era gettato in acqua, per sentirsi dire “uomo di poca fede”, ora si avventura in una sua risposta, che in qualche modo integra quella data sulla barca: “Tu sei veramente Figlio di Dio” diventa “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Gesù si sente riconosciuto in quanto “Cristo” e non più soltanto genericamente come “Figlio di Dio”: figlio di Dio non solo per se stesso, ma dato per noi!

 

Il fatto decisivo a cui Gesù richiama è però questo: che la dichiarazione di Simone figlio di Giona non nasceva da lui – dalla carne e dal sangue – ma era opera del Padre che è nei cieli. Era uno di quei casi per cui Gesù loda il Padre che tiene nascosti i misteri del Regno ai sapienti e agli intelligenti e li rivela ai piccoli. Sembra che Simone sia ritenuto piccolo in modo da poter accogliere la rivelazione del Figlio dal Padre, e che questo gli meriti di diventare la pietra su cui costruire la comunità dei suoi discepoli, appunto edificare la chiesa in quanto assemblea di chiamati alla salvezza.

 

E qui torna quanto in linea di principio è detto da Giovanni 1,12-13: “A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”. Sappiamo così come e dove nasce il nuovo Popolo di Dio, sulla scia della fede di Abramo! Qualcosa che non può diventare oggetto di propaganda e motivo di superiorità: “Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo”.

 

La scena de “La consegna delle chiavi a San Pietro” di Pietro Perugino ci ricorda invece che nel tempo l’accento e l’attenzione si sono spostati troppo facilmente su questo momento simbolico dell’evento, fino a fare intendere che si tratta di una investitura di potere e di un atto costitutivo della stessa chiesa, così come siamo soliti considerarla. E questo nonostante il recupero della sua dimensione di “mistero”. Perché pensare in primo luogo al “potere delle chiavi” e non tener conto della consegna che  Gesù fa a Pietro di pascere le sue pecore, dopo che gli aveva chiesto ripetutamente se lo amasse? (cfr Gv 21). Dalla chiesa-mistero è facile passare alla chiesa-istituzione, ma non sempre avviene il contrario, tant’è che siamo arrivati a concepire quest’ultima come “società perfetta” alla stregua di stati e di monarchie, per cui il Papa è regnante!

 

A questo proposito possiamo utilmente leggere il n. 8 della Lumen gentium: “Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la verità e la grazia. Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l'assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino. Per una analogia che non è senza valore, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo (cfr. Ef 4,16)”.

 

Forse potremmo leggere il passo di Isaia sulla destituzione del maggiordomo Sebna  e la chiamata del servo Eliakìm come paradigma del passaggio avvenuto col Vaticano II da una impostazione di potere ad uno stile di servizio, ma anche come costante per ogni cambiamento d’epoca: “Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda. Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire”. Qui si intravede il ruolo del Messia, ma è chiaro che deve essere questo il ruolo di una chiesa Popolo messianico nel mondo: quello di aprire le porte della salvezza e di chiudere le porte della morte, perché “le potenze degli inferi non prevarranno su di essa”. È come se la voce potente che si fa sentire a Giovanni nell’Apocalisse ripetesse anche a noi: “Non temere! Io il Primo e l'Ultimo, il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi” (Ap 1,17-18). Bisognerebbe che tutto questo non rimanesse mitologia, ma diventasse verità di vita nella “profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio”. Che ci sia dato! (ABS)


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