29 agosto 2021 -
 XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

 

Giovanni d'Enrico: Statue in terracotta raffiguranti farisei al processo a Gesù (part.),

Sacro Monte di Varallo (VC), Cappella XXXV (ca. 1610)

 

 

PRIMA LETTURA (Deuteronomio 4,1-2.6-8)

Mosè parlò al popolo dicendo:

«Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi.

Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo.

Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”.

Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?».



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 14)


Rit. Chi teme il Signore abiterà nella sua tenda.

 

Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua.

Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.

Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.

 

 

SECONDA LETTURA (Giacomo 1,17-18.21-22.27)

Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature.

Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi.

Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.

 

 

VANGELO (Marco 7,1-8.14-15.21-23)

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.

Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».

Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,

insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.

Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».

Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».



In altre parole…

 

I volti di terracotta di Giovanni d'Enrico esprimono il sentimento sprezzante, il senso di sicurezza, l’atteggiamento di superiorità di quanti irridono i testimoni della verità: non perché sono oppositori dichiarati della verità, ma perché sono i sostenitori e i difensori della loro verità ufficiale e di sistema, pronti sempre a coalizzarsi per neutralizzare coloro che sono portatori o profeti della nuda verità, quella reale e non solo quella declamata. Quei volti tradiscono tutta l’arroganza di chi difende il Dio dei padri, della tradizione, della convenzione: sono i figli di un regno di Dio realizzato e non del Dio e Padre di nostro Signore Gesù Cristo. Un discrimine c’è, eccome!

 

Perché allora pensare sempre Gesù come modello e maestro di religiosità formale e dimenticare che egli è prima di tutto testimone della verità, e quindi perseguitato per tutta la vita, condannato fin dalla nascita, crocifisso prima del Calvario? Egli è insomma colui che smaschera tutti i sistemi precostituiti di verità e si pone egli stesso come la verità, così come chiede ai suoi di proporsi come verità più che dicitori di verità: di essere e di fare prima che dire e insegnare!  Quando le verità diventano ovvietà e moneta corrente di scambio, è la volta in cui il significato ideale delle affermazioni uccide la realtà della testimonianza viva. È quando la verità è solo idolo identitario e ideologia fondamentalista. L’uomo e il sabato del detto evangelico sono i termini in cui si evidenzia la dialettica e l’ambivalenza interna alla verità: nessuno oserebbe negare la verità dell’assunto tra uomo e sabato, ma chi oserebbe ammettere che questa verità di principio sia anche una verità di fatto nelle mentalità, nelle prassi e negli stili di  vita? Si potrebbe dire che tutta l’opera di Gesù sia stata quella di riportare il rapporto col Padre dal piano confessionale, cultuale, rituale – diciamo  pure “religioso” – al piano di verità effettiva e di relazione reale. E per questo è guardato male! Teniamo presente che in questo stesso giorno, se non fosse domenica, la chiesa ricorderebbe il martirio di Giovanni il Battista!

 

Questa lunga premessa suggerita dall’immagine di quelle facce di terracotta non ci ha allontanato da quanto le letture propongono. Troviamo ancora una volta Mosè che parla al popolo per educarlo e riportarlo alla realtà delle cose: l’esodo non è solo un cammino di liberazione, di lotta e di conquista, ma è al tempo stesso condizione di ascolto, qualcosa che creerà una coscienza di Popolo di Dio. Si apre la lunga serie di interventi che porterà alla formazione dello Shemà quale simbolo di fede di Israele. Non un ascolto meditativo ed intimo, ma di popolo e attivo: si tratta di leggi e norme da mettere in pratica, comandi del Signore da osservare senza aggiustamenti. Si direbbe che vanno presi in maniera immediata e assoluta secondo il loro spirito e non solo alla lettera, attenti a non trasformare la tradizione degli antichi in mani impure da sanificare, in abluzioni varie e lavature di bicchieri.

 

Anche qui appare un doppio ordine di verità, dove il valore assoluto della sostanza non è assolutismo materiale della forma. Mettere in pratica e osservare queste leggi non è formalismo e fariseismo, ma è saggezza e intelligenza, qualcosa di aperto e di universale che contagia altri popoli e altre culture, fino a far dire: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”.  Non è una questione di osservanza ma di vicinanza tra il Signore Dio e il suo Popolo: non un proprio modo di accostarsi a Dio ma sua iniziativa di avvicinarsi a noi.

Ed ecco allora Gesù impegnato costantemente a fare verità dentro un sistema religioso consolidato, che si attiene alla tradizione degli antichi. E quando farisei e scribi gli chiedono perché i suoi discepoli non si comportano secondo questa tradizione, egli mette le cose in chiaro in questi termini: “Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”.  E ne prende spunto per invitare la folla ad ascoltarlo e comprendere bene che “sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro”. Mentre ai discepoli ci tiene a precisare che “dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: … tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo”. Basta leggere queste parole del vangelo per chiedersi quanto siano vere e indiscutibili in linea di principio, ma anche quanto siano tutte da metabolizzare come  vissuto dell’esistenza.

Senza voler aggiungere o togliere qualcosa a parole così essenziali, qualche osservazione viene però da farla: che il contrasto di farisei, scribi e in genere Giudei come categoria nei confronti di Gesù non è un fatto episodico e occasione per insegnamenti morali avulsi. È un modo costante di stare dentro il conflitto di verità costitutivo di ogni religione strutturata  ed esempio di come il conflitto vada condotto: “Ascoltatemi tutti e comprendete bene!”, perché non si scherza!

Un’altra osservazione rimane il fatto che ad insorgere, contrapporsi al messaggio di Gesù sono i capi del popolo, i detentori del potere e non è l’Israele di Dio in quanto tale. Questo per dire che se una esperienza di conflitto deve essere rivissuta all’interno del Popolo di Dio, questo non vuol dire – come si vorrebbe far intendere - che sia contro la chiesa, ma è inevitabilmente verso quella chiesa di vertice che presume di essere il tutto della verità per tutti. Gesù dice ben altro e ci mette in guardia proprio nei confronti dell’apparato religioso che passa per assoluto e al disopra di ogni sospetto. Farisei, scribi, sadducei sono la crema della religiosità e si sentono in diritto di metterlo sotto accusa, ma lui non si lascia intimidire e replica alla sua maniera.

Il discorso potrebbe interessare forme costituite di vita religiosa che passano per il non plus ultra nella estimazione comune, ma che forse lasciano a desiderare sul piano della dignità umana! Quando il riferimento a Dio o al vangelo non fa altro che sacralizzare semplici tradizioni degli uomini, quello che si richiede è ristabilire la verità sostanziale che viene dall’alto rispetto alle verità funzionali e di comodo a cui siamo assuefatti: non si deve aver paura della serietà e della radicalità del discorso, come se tutto dovesse essere a buon mercato e non richiedesse un prezzo!

A ricreare le condizioni di verità e di grazia nel nostro rapporto con Dio ci vengono incontro le parole della lettera di Giacomo: ci ricordano che tutto questo è dono che viene dall’alto e discende dal Padre, il quale però ci genera a suoi figli “per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature”. Quindi, siamo immersi in questa corrente di vita e di salvezza in cui si trova il suo Popolo, e questo per sua volontà. Da parte nostra c’è però da accogliere “con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portare alla salvezza”: essere terreno buono perché la Parola fruttifichi, seme che deve morire se non vuole rimanere quello che è e magari  finire nel nulla.

Tutta la riflessione che andiamo facendo potrebbe racchiudersi in queste poche parole, che non sono un invito al pragmatismo e all’efficientismo, ma invito a far maturare  la Parola accolta, fino a farla diventare vita e azione, perché illuderemmo noi stessi se fossimo solo ascoltatori o esecutori della lettera: “Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi”. Non si deve pensare a partiti contrapposti di ortodossia e ortoprassi, ma ad un ritrovato modo di essere “davanti a Dio Padre” unitario e lineare: “visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo”. “Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo” (Ef 4,15). Non sarebbe tutto per una vita cristiana autentica e per una vita di chiesa meno vistosa? Pensiamo al fico  che Gesù vede “da lontano con molte foglie “ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie” (Mc 11,13). (ABS)


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