30 agosto 2020 -  XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 

 

Annibale Carracci: Domine, quo vadis? (1601-02)

 

PRIMA LETTURA (Geremia 20,7-9)

Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
mi hai fatto violenza e hai prevalso.
Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno;
ognuno si beffa di me.
Quando parlo, devo gridare,
devo urlare: «Violenza! Oppressione!».
Così la parola del Signore è diventata per me
causa di vergogna e di scherno tutto il giorno.
Mi dicevo: «Non penserò più a lui,
non parlerò più nel suo nome!».
Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente,
trattenuto nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo,
ma non potevo.


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 62)


Rit. Ha sete di te, Signore, l’anima mia.

 

O Dio, tu sei il mio Dio,
dall’aurora io ti cerco,
ha sete di te l’anima mia,
desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz’acqua.

Così nel santuario ti ho contemplato,
guardando la tua potenza e la tua gloria.
Poiché il tuo amore vale più della vita,
le mie labbra canteranno la tua lode.

Così ti benedirò per tutta la vita:
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Come saziato dai cibi migliori,
con labbra gioiose ti loderà la mia bocca.

Quando penso a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia:
la tua destra mi sostiene.

SECONDA LETTURA (Romani 12,1-2)

 

Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.

Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.



VANGELO (Matteo 16,21-27)

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.

Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.

Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?

Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».



In altre parole…

L’invito che ci viene dalle parole di Geremia è di tornare a vivere la propria riposta fede al Signore come seduzione e resa e non come accomodamento ad un ordine prestabilito di cose, con tutto il dramma che ne deriva. L’universo della fede non può più presentarsi come blocco fisso di riferimento: esso è come kairòs prima che nomos o regola a cui basti attenersi. È lotta, come quella di Giacobbe, in cui ci viene fatta violenza, perché il regno di Dio subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. (cfr Mt 11,12).

Se ci lasciamo sedurre e se la violenza della Parola di Dio prevale, veniamo esposti ad ogni genere di oppressione e di scherno, fino a voler fuggire come Giona, se però questa parola non diventa fuoco interiore incontenibile. Non dovrebbero essere questi lo stile e la spinta della evangelizzazione, gettare il bando pronti a subirne le reazioni? Si dà troppo per scontato da una parte e dall’altra che il vangelo debba essere qualcosa di predefinito e di preordinato, e che tutto debba tornare secondo nostri criteri di validità  e di sistemazione.

 

Insieme a Geremia, il modello di questa seduzione improvvisa ed imprevista lo abbiamo senz’altro in Paolo, mentre in Pietro abbiamo l’esempio di una seduzione progressiva: egli arriva a confessare il Cristo figlio del Dio vivente dopo la quotidiana convivenza con Gesù e solo perché il Padre lo ha interiormente illuminato e spinto. E questo nonostante le sue ripetute resistenze tra slanci e ribellioni.

 

Dopo appunto che per bocca di Pietro i discepoli si erano pronunciati su di lui, Gesù ritiene sia ormai il tempo di cominciare a spiegare cosa voleva dire essere il “Cristo”; se fino ad allora lo avevano seguito in quanto maestro o rabbi, con  l’entusiasmo del momento per quanto diceva e operava, ora dovevano rendersi conto a cosa andavano incontro, salendo insieme a lui verso Gerusalemme, là dove tutti i profeti vanno a morire. Geremia ce lo ha già fatto capire.

 

Quindi niente di nuovo, anche se quegli uomini continuavano a coltivare l’illusione di un messia trionfante. Ora però sono costretti a prendere atto che egli avrebbe dovuto “soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. Quanto al risorgere il terzo giorno si sa che capiscono cosa volesse dire (cfr Mc 8,31); per quanto riguarda invece tutto il resto si rifiutano di pensarlo e di accettarlo. Ancora una volta Pietro si fa portavoce di tutti per scongiurare e per dissuadere, quasi a voler esorcizzare simile destino.

Per tutta risposta è lui che si sente dare del “satana” o intralcio, e viene sollecitato a non passare avanti con la sua logica e mettersi di traverso, ma a stare dietro e seguire il maestro. E se da una parte era dichiarato beato per la rivelazione del Padre, ora di fatto torna a ragionare secondo gli uomini e non secondo Dio. Nessuna meraviglia se questo succede anche a noi, e non dobbiamo pensare che la sequela di Cristo sia tutta in positivo, fino ad accettare di essere discepoli anche nelle debolezze e nelle difficoltà a credere.

 

La misura che Gesù fissa per stargli dietro è quella stessa che egli accetta prima di tutto per sé: azzerare se stesso e prendere la propria croce, vale a dire accettare quanto c’è da pagare per la causa del Regno del Padre, il motivo per cui è venuto nel mondo. Non è questione di soddisfare debiti o di offrire sacrifici di espiazione, ma di offrire se stessi e la propria vita per fare spazio alla vita che è la luce degli uomini (cfr Gv 1,4), la vita del mondo che verrà. Purché tutto questo abbia un peso reale sul piatto della bilancia della esistenza umana e non rimanere solo sfondo sbiadito di una fede evanescente.

La riprova di tutto questo è un principio di saggezza, che però è rivelativo di chi lo enuncia, e ci dice che l’uomo Cristo Gesù ha rinunciato a conquistare il mondo intero per essere la vita del mondo: “E il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51). Ma nel caso che l’uomo abbia perso la sua vita per volerla salvare a tutti i costi in funzione di se stesso, c’è modo di riconquistarla dando in cambio qualcosa di equivalente? Vale qui quello che si dice dell’amore: “Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio” (Ct 8,7). La vita, come l’amore, non è possibile mercanteggiarla, e una volta persa non siamo in grado di ridarcela da noi stessi, se qualcuno non ci ricompra o riscatta!

Presi in sé, questi insegnamenti hanno un significato proprio generale, ma nel loro contesto forse consentono una lettura cristologica: nel senso che Gesù ci vuole iniziare al suo cammino di redenzione in quanto “Cristo”, ci vuole far addentrare nella sua sequela: egli ha disprezzato la propria vita, e “pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente,  ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini” (Fil 2,6-7). E ci riscatta “non con cose corruttibili, con argento o con oro, dal vano modo di vivere,  ma con il prezioso sangue, come quello di un agnello senza difetto né macchia” (1Pt 1,18-19).

Questo capovolgimento di valori si avvera e si spiega per il fatto che “il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni”. Andiamo verso un momento di verità in cui la vita di ciascuno si misurerà con la sua, per vedere se regge il confronto: è una chiamata che porta all’impegno di uniformarsi a Cristo, ad avere i suoi stessi sentimenti. La risposta da dare a questo invito ce la suggerisce san Paolo con le sue poche parole di esortazione e sollecitazione facendo appello alla “misericordia di Dio”: offrire la propria vita come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio e non sacrifici di altro genere.

Sapendo che attraverso l’offerta del proprio corpo si attua il nostro culto spirituale, questa liturgia della propria esistenza che non è un fatto puramente interiore e intimistico, ma partecipazione all’offerta del Corpo di Cristo. Qualcosa che deve portare a rinnovare il proprio modo di pensare e che ci renda capaci di discernere la volontà di Dio, “ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”.  Dovremmo poter dire con Gesù: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34). Non è molto altro l’esistenza cristiana di discepoli! (ABS)


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