12 luglio 2020 -  XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
 

Vincent van Gogh: Seminatore al tramonto (1888)

 

PRIMA LETTURA (Isaia55,10-11)

Così dice il Signore:
«Come la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 64)


Rit. Tu visiti la terra, Signore, e benedici i suoi germogli.

 

Tu visiti la terra e la disseti,
la ricolmi di ricchezze.
Il fiume di Dio è gonfio di acque;
tu prepari il frumento per gli uomini.

Così prepari la terra:
ne irrìghi i solchi, ne spiani le zolle,
la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli.

Coroni l’anno con i tuoi benefici,
i tuoi solchi stillano abbondanza.
Stillano i pascoli del deserto
e le colline si cingono di esultanza.

I prati si coprono di greggi,
le valli si ammantano di messi:
gridano e cantano di gioia!

 

SECONDA LETTURA (Romani 8,18-23)

Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.

La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.

Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.




VANGELO (Matteo 13,1-23)

 

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.

Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».

Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:
“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”.

Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!

Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».


In altre  parole…

 

Il  Seminatore al tramonto di van Gogh cattura la nostra fantasia e corregge il nostro sguardo sulle cose: in una società costruita e governata dalla tecnica, ci riporta alla percezione che c’è chi semina, chi innaffia, ma che c’è pur sempre un Dio che fa crescere. Che la vita non è funzionamento ed efficienza, ma comunicazione e gratuità, ascolto e corrispondenza, cooperazione e fecondità, ecc… Non è insomma vicenda di “magnifiche sorti e progressive”, ma storia di bene e di male, storia di salvezza, in cui “colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno” (Mt 13,37). È questo il teatro della storia!

Tutto il capitolo 55 del profeta Isaia ci dà l’ottica giusta di vedere le cose secondo le loro proporzioni. E quando ci dice che - oracolo del Signore - della parola uscita dalla sua bocca sarà come per la pioggia e la neve, è per dirci che “non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata”. Ci vuole rassicurare della sua intrinseca efficacia. E così il pensiero va al 1 capitolo del vangelo di Giovanni e alla “parola fatta carne”, che non viene meno e non manca l’obiettivo per cui à pronunciata. È la certezza che in un modo o nell’altro, e nonostante perdite e sconfitte, la Parola di Dio si fa sentire ed è l’ultima parola.

Ma se il Verbo di Dio è vita e luce, ha anche una sua storia nel tempo. Infatti “la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta”. È il dramma della “fede sulla terra” (Lc 18,8), ed è la vera passione di Gesù nel mondo e per il mondo. Quando egli siede in riva al mare per parlare di “molte cose in parabole”, si tratta delle stesse cose rivelate ai piccoli e tenute invece nascoste ai sapienti e agli intelligenti, ciò per cui aveva reso lode al Padre. Ed ora sembra voglia farcelo comprendere, aiutandoci a superare tutte le nostre perplessità in proposito: non si tratta di una discriminazione?

E lo fa in risposta alla domanda dei discepoli che gli chiedono come mai parla a quella gente in parabole: e cioè non più direttamente del Regno di Dio, come aveva fino ad allora, ma attraverso racconti che lo possono far intuire e prefigurare per chi ha occhi per vedere e orecchi per ascoltare, mentre rimane nascosto per chi ha già le sue vedute di sapiente o guarda solo alla lettera del racconto. A chi non ha apertura e sete interiore per recepire e accogliere altro da sé. Dice tutto il proverbio “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, e nessuna meraviglia che alla fine gli si tolga la parola!

Quindi, nessuna pregiudiziale “scelta di classe” o di esclusione, né volontà punitiva di discriminazione, ma un semplice test di verifica, per appurare che quanti si erano negati al Regno dei cieli predicato apertamente a tutti, ora è possibile distinguerli e separarli da quanti invece comprendono. Il discorso in parabole, se per alcuni è chiarificazione e disvelamento, per altri è un rebus da decifrare e incentivo a prendere coscienza della propria posizione per cambiarla o per accettarla. È questione di avere occhi per vedere e orecchi per ascoltare, rendendoci meglio conto di quanto ci è dato; ma per poterlo ottenere più pienamente è necessario avere già la necessaria recettività!

Certamente i discepoli avvertono questo cambiamento di strategia. Sappiamo da Marco e Luca che si interrogavano sulle parabole e chiedevano di poter capire questa particolare parabola del seminatore, che è la madre di tutte le parabole, tanto da far dire a Gesù: “Se non comprendete questa parabola, come potrete capire tutte le altre parabole?” (Mc 4,13). In effetti, c’è nella parabola del seminatore come uno spartiacque, che da una parte presenta la mappa dell’azione di Gesù fino a quel momento e dall’altra prospetta il quadro dei comportamenti e delle responsabilità nei suoi confronti.

In un certo senso, la sua Parola passa alla prova dei fatti, e se essa è il seme, sappiamo che deve morire per portare frutto, così come sappiamo che si tratta di quel piccolo libro ricevuto dalla mano dell'angelo, che in bocca è dolce come il miele, ma una volta inghiottito ne senti nelle viscere tutta l'amarezza (cfr. Ap 10,10). È un colpo alla eccessiva retorica sulla Parola di Dio e all’enfasi di moda sull’ascolto, per la quale abbiamo creato tempi e luoghi, metodi e stili per addetti, e abbiamo dimenticato che la Parola di Dio viene seminata in campo aperto e senza misura su tutti i terreni. La predicazione del vangelo non è più insomma un fatto pubblico in tutta la sua forza profetica, ma evento spirituale ed intimistico riservato a pochi. Anche i discepoli a cui è riservata la spiegazione della parabola non sono un gruppo separato, ma vengono dalla folla e sono ad essa destinati come lievito.

Il banco di prova del loro ascolto è l’esistenza aperta nel mondo, a riprova che “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, quasi un rivivere le tentazioni a cui essa sottopone: il loro non può essere un ascolto senza comprendere e senza andare in profondità; un ascolto entusiasta che non regge alle tribolazioni e persecuzioni che la Parola di Dio comporta;  un ascolto che pretenda di conciliare Dio e mammona, come spesso succede, perché mammona la vincerebbe comunque. Uscire indenni dal terreno delle tentazioni ci può portare ad essere il seme seminato in terra buona, come “colui che ascolta la parola e la comprende” alla maniera di Maria che “da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Non a caso il testo parallelo di Luca dice: “Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza” (Lc 8,15).

Educarsi all’ascolto vuol dire al tempo stesso che si faccia di noi secondo la Parola di Dio, che “è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12).  Essa è potenza di creazione e di redenzione, risposta alla “ardente aspettativa della creazione, protesa verso la rivelazione dei figli di Dio…  nella speranza che venga liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8, 19. 21).

È questa la sua destinazione ed efficacia naturale, al di là di tutte le finalità di comodo sovrapposte. È il senso stesso del Verbo fatto carne,  tanto è vero che “a quanti l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome” (Gv 1,12). Non si tratta di una semplice denominazione ma di un cambiamento reale tutt’altro che indolore: è un vero e proprio travaglio, e se “le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi”, è come quanto avviene per la “la donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21). E questo sia nel caso di dover generare che di essere generati, in un processo di vita che ci coinvolge nella creazione.

Ed allora, al di là di ogni spiritualismo e afflato mistico, con pieno realismo possiamo e dobbiamo dire: “Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Rm 8, 22-23). Sappiamo che tutto questo sta avvenendo da qualche parte, anche se non sappiamo dove e in chi. Ma ci porta anche a dire che, senza rinunciare a prospettive ed impegno di riforma complessiva, in ultima analisi una vera rinascita debba avvenire nella nostra carne e sulla nostra pelle. Solo sul terreno di un cuore fecondo, e con perseveranza, il seme della Parola può portarci a rinascere dall’alto o di nuovo!

 

Sia chiaro: questo non vuol dire tirare i remi in barca e abbandonare l’aratro. Non vuol dire cioè ripiegare nel falso a-priori che a contare è il singolo. Vuol dire semplicemente che a fondamento e matrice di una solidarietà feconda e non solo ideologica c’è sempre qualcuno che si lasci morire come seme per portare frutto.  Non una morte a se stessi preventiva, idealizzata e sterile senza travaglio, ma una morte vissuta e produttiva! Non una morte di rinuncia e di indifferenza, ma un morire come dedizione: “Per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità” (Gv 17,19).  (ABS)


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