18 luglio 2021 - XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Rembrandt: Volto di Cristo (1648-50)

Berlino, Gemäldegalerie

 

PRIMA LETTURA (Geremia 23,1-6)

Dice il Signore:
«Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore.
Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore.
Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore.
Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –
nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto,
che regnerà da vero re e sarà saggio
ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra.
Nei suoi giorni Giuda sarà salvato
e Israele vivrà tranquillo,
e lo chiameranno con questo nome:
Signore-nostra-giustizia».


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 22)


Rit. Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

 

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

 

 

 

SECONDA LETTURA (Efesini  2,13-18)

Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.
Egli infatti è la nostra pace,
colui che di due ha fatto una cosa sola,
abbattendo il muro di separazione che li divideva,
cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne.
Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo,
facendo la pace,
e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo,
per mezzo della croce,
eliminando in se stesso l’inimicizia.
Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani,
e pace a coloro che erano vicini.
Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri,
al Padre in un solo Spirito.

VANGELO (Marco 6,30-34)

 

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.

Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.

Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.



In altre parole…

 

Può sorprendere il fatto di leggere oggi le parole incisive del profeta Geremia riguardo ai pastori con sentimento di piena attualità, ma è bene non lasciarsi ingannare: mentre in origine esse erano pronunciate in un contesto reale e avevano la loro efficacia storica, ora esse risuonano all’interno di mondi ideali e di strutture pastorali, che lasciano spazio solo a considerazioni morali per singoli, ma non mettono in discussione l’apparato pastorale nel suo insieme. È clericalismo anche il fatto di trasferire la pastorale sul piano impersonale dei mezzi e dei metodi, mentre i soggetti restano al di fuori di ogni coinvolgimento. Non è da escludere che dalle parole di Geremia qualcuno prenda spunto per accreditare se stessi e rallegrarsi per l’andamento corrente nella vita della chiesa, perché è difficile riconoscersi nei pastori di cui egli parla.

 

Se da una parte il quadro generale è quello di un piatto o entusiasta conformismo, qualche voce profetica dall’alto anche oggi parla realisticamente di “conversione pastorale” da mettere in atto. Proprio Geremia forse ci può aiutare a capire cosa questa comporta, per uscire dall’inganno dei facili slogan. C’è un popolo o gregge, ci sono pastori o reggitori del popolo, ma c’è anche lui, un profeta, che riporta con violenza ad una presa di coscienza della situazione reale: una voce dal di fuori è sempre necessaria, perché chi ci vive dentro è vittima di assuefazione anche mentale, e tutto può apparire normale e normativo!

Si pensa davvero che non ci siano gli estremi perché ci voglia l’oracolo del Signore contro i pastori che devono pascere il suo popolo? Che ripeta anche oggi: “Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo”? Anche se questi motivi mancassero, c’è sempre una “conversione pastorale” da operare. Qui si potrebbe scomodare il clericalismo come modo di guidare il gregge in funzione di se stessi piuttosto che preoccuparsi delle pecore nelle loro effettive esigenze di maturazione nella fede. Una inversione di tendenza dovrebbe portare a prendersi cura del gregge non in maniera formale e burocratica, attraverso mezzi, tecniche, organizzazioni, offerte varie, ma sul piano della fede da metabolizzare.  Il campo da coltivare sono le coscienze in tutte le loro dimensioni. Il fatto è che mentre esistono iper-strutture ufficiali per una pastorale di amministrazione e di assistenza in verticale, non sono affatto prese in considerazione iniziative orizzontali di comunicazione e di crescita. Poi magari si dice di ripartire dal basso!

Invece che gestori di un sistema, basterebbe mettersi in continuità con l’iniziativa di un Dio che dice di radunare lui stesso le sue pecore e di costituire sopra di esse pastori che le faranno pascolare. È la continuità messianica che fa riferimento a David germoglio giusto e orienta al Messia figlio di David Gesù, che presenta se stesso come Buon pastore e non mercenario. Ed è la continuità profetica e messianica che egli vuole assicurare al Popolo di Dio per il futuro attraverso i suoi discepoli, tutt’altro che uomini di apparato: li ha mandati in missione a due a due, e ora sono radunati attorno a lui per relazionare della loro esperienza, ragion per cui li invita a stare un po’ in disparte lontano dalla folla che si accalcava, per riprendere fiato e magari interiorizzare meglio quanto avevano vissuto al di sopra delle loro stesse attese.

Ma la folla non demorde e si fa trovare al luogo dove si erano diretti. Ed è qui che affiora il segreto profondo di ogni missione ed opera pastorale: la compassione profonda per quella folla, non solo perché si ritroverà senza mangiare per seguire lui, ma principalmente perché erano come pecore che non avevano pastore. Un bell’avvertimento: la prima carenza di cui il popolo soffre è proprio questa mancanza di pastori, come denunciava già Geremia, qualcosa che non può essere compensato da niente altro che non da questa compassione profonda, sia essa umanità, comunione, amicizia, paternità: tutto quello che possiamo vedere espresso sul volto di Cristo di Rembrandt, e che Gesù stesso indicherà come sentimento da fare proprio nel racconto del buon samaritano.

Se, al di là delle vicende e degli insegnamenti, vogliamo andare in profondità al significato salvifico del farsi prossimo e della vicinanza basterebbe ricordare che al compimento dei tempi tutto ricomincia con questo semplice evento-annuncio: “Il regno di Dio è vicino” (Mc 1,15). Ed è quanto si avvera e si rivela nell’azione, nella predicazione, nella persona di Gesù. Ed ecco perché Paolo si rivolge agli Efesini in quanto gentili, tagliati fuori dalla partecipazione alla salvezza, senza Dio e senza speranza in questo mondo, con queste precise parole “Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo”.

 

Questa vicinanza – diciamo pure “nuova alleanza” – non è un fatto religioso (Legge, circoncisione, tempio, sacerdozio, sacrifici, liturgie…); non è comportamento morale o esperienza spirituale; non è sentimentalismo umanitario, emotivo, devozionale; non è celebrazionismo rituale… Può essere anche tutto questo, ma solo in forza del fatto che è prima di tutto evento nuovo,  reale,  oggettivo, storico ed escatologico insieme: è in sostanza l’uomo Cristo Gesù, mistero nascosto nei secoli ma negli ultimi tempi rivelato a noi. Bisogna stare attenti a non riportare questo “mistero” profondo in qualche nostro universo mitologico, mentre è la “compassione fatta carne” in Gesù: è lui in persona questa vicinanza reale irrevocabile, “nuova ed eterna alleanza”.

 

Quando nella parabola del samaritano si dice che il prossimo è stato “chi ha avuto compassione”, non è da intendere solo nel senso di chi ha avuto un sentimento di pietà per la vittima a cui si è fatto vicino, ma chi ha dimostrato di saper mettere l’altro al primo posto, facendosi carico di lui nelle sue necessità di vita, e rimanendo nell’anonimato. In questa luce possiamo riconsiderare cosa voglia dire “essere in Cristo” e quale sia la sua opera di salvezza tra gli uomini in maniera molto realistica e senza facili spiritualismi: come egli ha creato questa vicinanza, che non è solo un fatto di buona volontà o di buoni sentimenti, se è vero che si diventa vicini “grazie al sangue di Cristo”. C’è da capire cosa sia e cosa comporti che  “egli è la nostra pace”.

 

E questo perché egli è “colui che di due ha fatto una cosa sola”, con riferimento al Popolo di Dio o dei circoncisi e all’insieme dei Popoli dei Gentili, “per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo”: qualcosa di storico e di eterno allo stesso tempo. Per farci un’idea di cosa si tratta, sarebbe come pensare ad Ebrei e Palestinesi divenire un solo Popolo! Non per un ideale pacifista, né per via diplomatica o convenienza politica, ma semplicemente perché vengono abbattuti tutti i muri, eliminati i motivi di ingiustizia e di discriminazione, cancellati i presupposti ideologici di odio. Si tratterebbe di ritrovare le comuni radici umane e farle valere al di sopra di tutto come capacità nuova di vicinanza, ma anche al di là di irenismi a buon mercato o strumentali.

Se vogliamo essere operatori di pace alla maniera di Cristo, c’è da eliminare ogni germe e principio di inimicizia nella propria carne o umana esistenza: dovremmo dare importanza decisiva al fatto che “egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti”, per puntare unicamente su di lui che per mezzo della croce ha eliminato in se stesso l’inimicizia facendo la pace! Ma quanto tutto questo ispira e struttura la coscienza cristiana ed ecclesiale? Di fatto non siamo sempre sotto il dominio della Legge, fatta di prescrizioni e di decreti? E i Pastori ci guidano alla liberazione delle coscienze da prescrizioni e decreti, o si contentano di attenersi alla Legge? (ABS)


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