2 agosto 2020 -  XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 

 

 

Emilio Vedova: La moltiplicazione dei pani e dei pesci (1942)

 

PRIMA LETTURA (Isaia 55,1-3)

Così dice il Signore:
«O voi tutti assetati, venite all’acqua,
voi che non avete denaro, venite;
comprate e mangiate; venite, comprate
senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.
Porgete l’orecchio e venite a me,
ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un’alleanza eterna,
i favori assicurati a Davide».


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 144)


Rit. Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente.

 

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa
e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.
Tu apri la tua mano
e sazi il desiderio di ogni vivente.

Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità.

 

SECONDA LETTURA (Romani 8,35.37-39)

Fratelli, chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?

Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati.
Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

 

VANGELO (Matteo 14,13-21)

In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.

Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.

Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».

E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

 

 

In altre parole…

“Tu apri la tua mano e sazi il desiderio di ogni vivente”: possiamo introdurci all’ascolto e alla comprensione della Parola del Signore leggendo il salmo 144, per ricordare che “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Dalla bocca di Dio escono le parole che il profeta Isaia rilancia sul mondo quasi come una sorta di sanificazione: ci annunciano un mondo della gratuità, della disponibilità il cui dio non sia mammona e il profitto, un mondo in cui i bisogni primari siano motivo di solidarietà e non di sfruttamento e di violenza. Che è poi il regno di Dio e la sua giustizia, in cui tutto il resto c’è come frutto e in sovrabbondanza.

È questa l’insopprimibile speranza che attraversa i tempi e la storia, ed è la promessa fatta di continuo a chi ascolta: “Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide”. Qualcosa che viene da lontano e attraversa i secoli, per portarci verso il banchetto preparato dal Signore per tutti i popoli, “un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati” (Is 25,6).   Perché non desiderare più tutto questo, per riviverlo ogni volta che rinnoviamo la memoria della nuova ed eterna alleanza?

Le parole di Isaia sono un anello importante di questa concatenazione: in qualche modo compendiano l’esperienza del deserto, della manna e dell’acqua dalla roccia, ma soprattutto ci lasciano intravedere Gesù nel Tempio che nel “grande giorno della festa, levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva»” (Gv 7,37), e che in Ap 22,17 ci ripete: “Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l'acqua della vita”. Abbiamo a che fare con i beni della salvezza, che sono pura grazia e verità, tanto che chi l’annuncia e la porta è così istruito: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8), come quando si sente dire “voi stessi date loro da mangiare”-

Deve essere questo lo stile di chi evangelizza: evento di pura gratuità da non ridurre a fatto amministrativo!  È quanto Gesù fa di continuo e in ogni modo nei confronti di singoli come delle folle che gli si accalcano attorno. Dopo che è venuto a sapere di Giovanni il Battista non va da Erode per protestare e non rilascia nessuna dichiarazione di denuncia: “Si ritirò in un luogo deserto, in disparte”, quasi a voler ritrovare la fonte di energia e di luce del suo agire. Viene da pensare a Mosè che si rifugia sul monte di Dio, l’Oreb, per poi essere riportato al suo popolo per riprendere il cammino. Gesù si ritrova ancora una volta tra la folla, ma questa volta con un atteggiamento nuovo.

“Egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati”: non si contenta di insegnare a tutti e di guarire i singoli bisognosi, ma solidarizza con lei nel suo insieme, tanto da provare profonda compassione. Una commozione che segnala un momento importante, come avviene ogni volta che deve impegnare profondamente se stesso. Quando, sul far della sera, i discepoli lo richiamano alla realtà e lo sollecitano a licenziare quella gente, egli dimostra di sapere quello che sta per fare e li provoca a sua volta dicendo “Non occorre che vadano!”. Non c’era che da rimanere sconcertati, tanto più quando si sentono dire: “Voi stessi date loro da mangiare”. Ma si rendeva conto di cosa dicesse e a cosa si esponesse?

A questo racconto noi abbiamo fatto l’abitudine e sembra rientrare nel nostro immaginario religioso come fiaba risaputa. L’evento che sta per avverarsi è quanto di più intenso e sconvolgente si possa immaginare da tutti i unti di vista, carico di significati e di implicanze. Ci sono due logiche a confronto: quella di chi sottolinea la sproporzione tra 5 pani e due pesci per sfamare migliaia di persone, e quella di chi considera le reali possibilità di un Padre che invita alla mensa del suo Regno. In effetti, quella folla che si ritrovava affamata alla ricerca di questo Regno non poteva essere lasciata andare senza avere un segno di partecipazione e di condivisione, conseguente all’annuncio e alle spiegazioni in parabole. Diversamente tutto sarebbe andato in fumo.

Ed ecco allora l’ingiunzione ai discepoli di portare i pochi pani e pesci disponibili, l’ordine alla folla di accomodarsi sull’erba come a tavola, e ancora ai discepoli di passare a servire, dopo che egli, alzando gli occhi al cielo, aveva recitato la benedizione: eucarestia a tutti gli effetti, tanto è vero che Giovanni non ricorda altri momenti in proposito e riporta qui tutto il discorso sul pane di vita! L’ultima cena con la lavanda dei piedi non è per lui che conferma ed esemplificazione del mandato di Gesù di fare memoria di lui.

Quale il sentimento di tutta quella gente, i loro pensieri, i loro commenti? Gli stessi che potremmo e dovremmo avere noi celebrando il memoriale di questo evento a dimensione tanto escatologica quanto rivoluzionaria per della gente sconcertata e incredula. L’insolita immagine di Emilio Vedova La moltiplicazione dei pani e dei pesci certamente a prima vista non ci richiamerebbe il fatto, ma senz’altro ci fa intuire tutta la carica emotiva e il coinvolgimento decisivo per quella folla in rapporto a quel nuovo Mosè! Il discorso interpretativo di Gesù nel vangelo di Giovanni ci fa capire che è qui il punto di svolta e risolutivo di tutta la sua opera nel mondo, molto più del primo segno dato alle nozze di Cana!

Viene soltanto da chiedersi se tutto il lavoro di aggiornamento, di rinnovamento, di riforma, di conversione pastorale a cui doverosamente ci dedichiamo non dovrebbe portare a far riemergere questo evento di salvezza messo in sordina e disinnescato della sua carica innovativa, ridotto a precetto, a pratica, ad usanza, a rito religioso di consumo devozionale. Da come stanno e vanno le cose in questo campo, verrebbe da pensare che se c’è intorno a noi un vangelo senza Cristo, c’è all’interno della stessa chiesa un Cristo senza vangelo: e cioè un Cristo fatto su misura per soddisfare il nostro sentimento religioso e alimentare la nostra buona volontà verso il prossimo, ma non più Messia del nuovo Popolo di Dio in cammino verso la salvezza totale e di tutti. Quanto è presente e vissuta questa prospettiva nelle nostre Eucarestie?

Quello che Paolo ci dice dell’amore di Cristo per noi e nostro per lui non può rimanere circoscritto alla sfera intimistica e celebrativa, ma deve recuperare la spinta propulsiva di una “chiesa in uscita” che torni a vivere l’Eucarestia in tutta la sua risonanza, come luogo originario di annuncio e di testimonianza, in stato di missione permanente. Non sarebbe questa la “conversione pastorale” da mettere in atto e la vera rivoluzione di cui farsi carico? Sì, l’amore di Cristo da cui non potrebbero separarci “la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada”. Grazie “a colui che ci ha amati”, dovremmo uscire vincitori su tutte queste cose.

Viene da pensare alla “costanza in Gesù” con cui si presenta Giovanni in Apocalisse 1,9: “Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù”: vuol dire appunto che tutti siamo impegnati a fare corpo e a far prevalere l’amore di Cristo, che ci porta a superare ogni difficoltà. Non solo: egli è l’“amore di Dio” fatto carne e ci dà la certezza che niente e nessuno, nessuna potenza umana - compresa la morte ultimo nemico – potranno comprometterlo. Siamo credenti perché “abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi” (1Gv 4,16).

La compassione di Gesù per la grande folla non fa che rinnovare l’attenzione del Signore verso la miseria del suo popolo in Egitto, pronto ad udire il suo grido e prendere a cuore le sue sofferenze (cfr. Es 3,7). Sappiamo che questo non ha impedito le ripetute ribellioni del popolo nel deserto, così come il discorso di Gesù a Cafarnao il giorno dopo la moltiplicazione dei pani provoca la reazione di molti dei discepoli, che dicono “questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?” (Gv 6,60) mentre da Marco 6,51-52 veniamo a sapere che erano enormemente stupiti in se stessi, perché non avevano capito il fatto dei pani”.  Qualcosa che ci deve interrogare sulla nostra reale comprensione del “mistero della fede” che si rinnova come Eucarestia, moltiplicazione all’infinito del pane vivo per la vita del mondo!

Vorrei che questo nostro impegno condiviso di comprensione della Parola ci aiutasse a far crescere la consapevolezza del dono e del compito che nascono dallo “spezzare il pane” per moltiplicarlo! Ci portasse a ritrovare la centralità dell’Eucarestia -  “sorgente e vertice” della comunità cristiana - in senso strutturale e non spirituale. (ABS)


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