13 giugno 2021
-  XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Paul Cézanne: I grandi alberi (1902-04)

Edimburgo, National Galleries of Scotland

 

 

PRIMA LETTURA (Ezechiele 17,22-24)

Così dice il Signore Dio:
«Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro,
dalle punte dei suoi rami lo coglierò
e lo pianterò sopra un monte alto, imponente;
lo pianterò sul monte alto d’Israele.
Metterà rami e farà frutti
e diventerà un cedro magnifico.
Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno,
ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà.
Sapranno tutti gli alberi della foresta
che io sono il Signore,
che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso,
faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco.
Io, il Signore, ho parlato e lo farò».


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 91)


Rit. È bello rendere grazie al Signore.

 

È bello rendere grazie al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte.

Il giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.

Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c’è malvagità.

 

SECONDA LETTURA (2Corinzi 5,6-10)

Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore.

Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi.


Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.

 

 

VANGELO (Marco 4,26-34)

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

 

 

 In altre parole…

 

Come ci dimostra questa opera di Paul Cézanne, l’albero, gli alberi sono fonte di ispirazione artistica, perché hanno un potenziale simbolico enorme: albero della vita, albero del bene e del male, albero genealogico, albero di Natale ecc… Siamo portati spontaneamente ad interpretare noi stessi alla stregua di  alberi che portano frutti buoni o cattivi. A parte il discorso della vite e dei tralci, meriterebbe vedere come un riferimento simbolico agli alberi, in particolare al fico, sia frequente nei vangeli, senza dire dei tanti richiami che troviamo significativamente nell’Antico Testamento: si legga ad esempio Giudici 9,7-15, ma ricordiamo in particolare oggi la colomba che torna nell’arca di Noè portando nel becco un ramoscello di ulivo (Gn 8,11).

 

Ed ecco allora Ezechiele parlare del ramoscello preso dalla cima del cedro per essere piantato sul monte alto di Israele, per diventare un cedro magnifico, all’ombra del quale ogni volatile potrà riposare, fino ad essere segno per tutti gli alberi della foresta dell’opera del Signore che abbassa ed esalta. Se vogliamo dare a queste parola tutto il loro valore profetico - “Io, il Signore, ho parlato e lo farò” – non possiamo contentarci del loro valore letterale e bellezza poetica, né di farne una esegesi che ispiri la nostra vita spirituale e la nostra condotta morale, ma bisogna riportarle alla nostra realtà e storia di Popolo di Dio nel mondo di tutti, perché è per questo che ci sono parole profetiche.  

 

Non bastano discorsi spirituali, approfondimenti biblici, progetti operativi in maniera avulsa dal movimento e dallo stato reale delle cose, che restano tranquillamente come sono nonostante i nostri bei pensieri! O gli interpreti viventi della Parola di Dio siamo noi in carne e ossa, o tutto rimane sospeso per aria… Niente di più facile, quindi, che pensare al “cammino sinodale” in cui si è avviata la chiesa italiana, che vuole essere il cammino dell’intero Popolo di Dio come tale verso una effettiva rinascita dal basso: quel ramoscello è il segnale che un rinnovamento  non avviene in pompa magna come fenomeno di massa, perché così finirebbe riassorbito nell’esistente, in ciò che è ormai realizzato e incapace di rigenerarsi. Sembra che anche gli alberi stagionati possano continuare la loro vita solo dandola ad altri, magari con un semplice e insignificante ramoscello.

 

Ma questa ripartenza dal piccolo e dal poco bisogna che avvenga comunque: c’è da ritrovare gli elementi primi della vita, quelli carichi di forza vitale. Quando si legge di “un uomo che getta il seme sul terreno” e questo germoglia a cresce indipendentemente dal seminatore, ci viene detto che il Regno di Dio, per quanto nascosto, è presente e si sviluppa dove e come noi stessi non sappiamo: bisogna essere pronti all’imprevedibile, fino a quando il frutto è maturo e arriva il tempo della mietitura e possiamo intervenire. In un processo di rinnovamento reale non si possono programmare tempi ed esiti, ma tutto deve rimanere estremamente aperto, per essere pronti al momento opportuno a cogliere i frutti che il terreno produce, appunto dal basso!

 

San Paolo aveva imparato questa lezione e ce la ripropone in questi termini: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irrìga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere. Non c'è differenza tra chi pianta e chi irriga, ma ciascuno riceverà la sua mercede secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio” (1Cor 3,6-9). Intraprendere un cammino sinodale ci porta a muoverci tutti sullo stesso piano, perché “non c'è differenza tra chi pianta e chi irriga”; nessuno può sentirsi padrone o artefice di quanto operiamo, ma tutti sono e devono sentirsi collaboratori di Dio, di cui siamo il campo in quanto egli è l’agricoltore o vignaiolo (cfr. Gv 15,1 sgg.). E sappiamo come egli coltiva il suo campo: seminando la sua Parola come piccoli semi che cadono in zone diverse del terreno, ma che crescendo possono diventare più grandi di tutte le piante dell’orto e diventare il grande albero del Regno di Dio alla cui ombra tutti gli uccelli del cielo possono fare il nido.

 

È questa la logica del Regno di Dio a cui Gesù vuol portare annunciando la Parola con parabole, certamente perché ciascuno abbia modo di intendere, ma anche perché ciascuno dimostri la capacità e la disponibilità a capire, perché altrimenti il linguaggio delle parabole non fa che mettere a nudo il proprio non volerne sapere. In un secondo momento ci può essere anche una spiegazione, ma se non c’è la percezione e l’apertura iniziale è come parlare ai sordi.

 

Se tutto questo lo riportiamo su scala personale, abbiamo come esempio l’esperienza di san Paolo, che ci fa capire come quel ramoscello o quel seme da cui si genera vita nuova in ultima analisi siamo noi, ciascuno di noi in tutta la sua totalità, corpo compreso. Non possiamo pensare ad un cammino sinodale come qualcosa che avviene sotto le nostre finestre senza scendere in strada: o   è in grado di coinvolgerci e mobilitarci in tutta la nostra identità di credenti o diventa una operazione di assestamento per lasciare le cose come stanno.

 

Se di cammino si tratta, rendiamoci conto che prima ancora di ogni prassi istituzionale, noi “camminiamo nella fede e non nella visione”, come esuli o come esiliati, alla ricerca e in attesa di “abitare presso il Signore”. È il cammino della chiesa, di ogni comunità e di ogni credente, per cui un “cammino sinodale” non è un percorso aggiuntivo e parallelo solo di alcuni, ma è revisione, verifica e rettifica di quello che dovrebbe diventare lo stile primario di vita ecclesiale e dell’esistenza cristiana.

 

Paolo ci dice che ad assicurare continuità in questo cammino di fede è la “piena fiducia”, sia nella condizione attuale come pure esulando da essa; e l’unica  preoccupazione è quella di sforzarsi di “essere a lui graditi”, “perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rm 14,8). A fare dunque da supporto è il legame col Signore, davanti al quale ci ritroveremo al termine del cammino, “per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male”. Dunque è un cammino verso l’incontro definitivo con colui che ci ha ispirato e guidato segretamente come nuovi discepoli di Emmaus.

 

Se davvero vogliamo camminare insieme per la stessa strada (è questo il  Sinodo), sia chiaro che  non è una parata di circostanza in cui intrupparsi, ma è camminare con le proprie gambe: è troppo importante che nella coscienza comune di essere Popolo di Dio in cammino ciascuno si senta se stesso e si ritrovi in tutta la sua singolarità, da mettere a frutto per tutti! (ABS)


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