7 agosto 2022 - XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 

Lorenzo Bartolini: La fiducia in Dio (1833)

Milano, Museo Poldi Pezzoli

 

PRIMA LETTURA (Sapienza 18,6-9)

La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri,
perché avessero coraggio,
sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.
Il tuo popolo infatti era in attesa
della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici.
Difatti come punisti gli avversari,
così glorificasti noi, chiamandoci a te.
I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto
e si imposero, concordi, questa legge divina:
di condividere allo stesso modo successi e pericoli,
intonando subito le sacre lodi dei padri.


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 32)


Rit. Beato il popolo scelto dal Signore.

 

Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.

 

SECONDA LETTURA (Ebrei 11,1-2.8-19)

Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.

Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.

Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.

Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.

Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città.

Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.

 

VANGELO (Luca 12,32-48)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.

Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!

Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».

Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.

Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.

Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.

A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

 

 

In altre parole


La notte della liberazione è preannunciata anche a noi, e siamo invitati ad avere il coraggio necessario per poterla vivere, forti delle promesse di salvezza a cui abbiamo prestato fede: non è altro che la nostra Pasqua perenne e la nostra condizione di Popolo in attesa della salvezza dei giusti. E mentre nel segreto offriamo sacrifici - come l’agnello immolato nell’imminenza dell’Esodo dall’Egitto – vogliamo attenerci a questa legge di condivisione di successi e pericoli, intonando le lodi dei padri. In queste poche parole del libro della Sapienza abbiamo delineata una preziosa icona della nostra Pasqua eucaristica, che non è qua e là, in questo o quel tempo, ma è il luogo della nuova ed eterna alleanza, la notte della liberazione annunciata e attuata, finché spunti il giorno fatto dal Signore, il giorno della risurrezione di cui Dio è capace e di cui Isacco è il simbolo.

 

L’insegnamento insistito sulla presenza reale nel sacramento del pane e del vino, la devozione e l’adorazione verso l’Eucarestia portate al massimo valore, il richiamo alla comunione e alla comunità del presente, hanno ridotto o cancellato la dimensione e la tensione escatologica del “mistero della fede”, che lo rende perennemente attuale proprio in quanto sempre in via di compimento nella sua pienezza: qualcosa di già compiuto come “opus operatum” nell’ordine della grazia, ma sempre in fieri come “opus operantis”, e cioè attraverso quanti sono chiamati ad usufruirne ed esserne partecipi come liberazione e salvezza.

 

È quando l’Eucarestia si riduce ad atto di culto, a soddisfacimento di precetto religioso, a simbolo di fraternità, depotenziandola di tutta la sua carica profetica di futura gloria, peraltro molto presente nei testi liturgici ma assente nel cuore del Popolo chiamato a liberazione nella ricorrente schiavitù della notte che si sta vivendo. Se questa è la realtà del “mistero della fede”, perché tutto è ridotto a schematismo simbolico ed immaginario religioso, destinato a svanire nell’aria nel breve spazio di un ascolto passivo? A scuoterci dalle nostre paure e a risvegliarci dal nostro torpore, ecco il passo del vangelo di Luca, con i dovuti avvertimenti di Gesù ripetuti ad una comunità che probabilmente si era già adagiata e stancata nella sua attesa del ritorno del Figlio dell’uomo, perché di questo si tratta: del ritorno di Gesù nella potenza della sua gloria, che liturgicamente registriamo come Cristo Re dell’universo.

 

Non ci manca intanto il suo incoraggiamento per avventurarci in questa avventura di liberazione: “Non temere, piccolo gregge…”. Sempre “piccolo gregge” mandato “in mezzo ai lupi”(Lc 10,3) non solo nei primi tempi, ma condizione  permanente, per cui c’è da temere quando sembra che non ci sia più sproporzione tra la molta messe e i pochi operai. Sì, ci vuole sempre coraggio, come nella notte della liberazione, sapendo però che tutto nasce dall’alto, perché “al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno”. E poiché si tratta di un esodo a rischio, bisogna alleggerirsi il più possibile di tutto e rafforzare le spinte interiori verso ciò che ci sta veramente a cuore: non per convenzione d’ufficio ma per convinzione e motivo di vita. E questo non può essere che il Regno affidato ai piccoli o al piccolo resto, qualcosa che viene in tempi e modi imprevedibili, e che ci deve trovare pronti.

 

Si richiede perciò un massimo di viva attesa, di attenzione, di vigilanza, senza calcoli ma in piena dedizione al proprio servizio anche quando il padrone è assente o tarda a tornare. È come se questo padrone sapesse che sta per venire un ladro e prendesse tutte le sue misure per non lasciarsi scassinare la casa. Tutti avvertimenti per essere pronti nell’ora imprevedibile della venuta del Figlio dell’uomo, colui che ci ha detto di essere con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo (cfr. Mt 28,20). C’è dunque da imparare a vivere questa presenza - è il caso di ripetercelo - non solo in ambito sacramentale, in forma cultuale o in chiave devozionale: il Figlio dell’uomo è con noi, ed opera con noi, quando assolviamo il suo mandato di predicare il vangelo e fare discepole tutte le genti, una modalità di presenza profetica tutta da valorizzare in atto di evangelizzazione!

 

Gesù ha parlato dei servi e dei discepoli, ma ha parlato anche dei padroni e dei capi, come dire che questa vigilanza deve essere di tutti. Ma ecco Pietro porsi il problema per chi fosse questa parabola. Gesù lascia capire che a capo della servitù sarà messo quel servo che quando egli arriva sarà trovato fedele nel servizio, senza farsi grande e spadroneggiare sui servi. Tanto da meditare sull’uso del potere e sull’esercizio dell’autorità nella comunità dei discepoli: qualcosa che non può prescindere dall’insieme della vita comunitaria e imporsi come unico elemento costitutivo.

 

Le attese di Gesù nei confronti dei suoi le possiamo leggere in questa sua sentenza: “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”. Sembra esserci una differenza tra ciò che è dato personalmente a ciascuno e ciò che è affidato come responsabilità comunitaria a qualcuno. Viene da ripensare al fatto che “al Padre è piaciuto dare a voi il Regno”: è questa la consegna, qualcosa da far fruttificare e di cui rispondere! Si tratta di fedeltà e non di sole osservanze o assolvimento di compiti, da mercenari.

 

Una vigilanza costante è necessaria proprio per questo: perché si tratta di fede, di affidamento totale nella totale spoliazione di sé, così come la scultura di Lorenzo Bartolini La fiducia in Dio ci fa intuire. Quanto si legge nel capitolo 11 della Lettera agli Ebrei ci mette davanti alla totale disponibilità, obbedienza, docilità della fede come radicamento nella promessa di Dio e tensione d’amore verso una patria migliore, cioè quella celeste, verso “la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso”. È l’esistenza di fede che sostanzia e trasfigura l’esistenza umana: il giusto che vive di fede!

 

È un peccato che la fede venga rubricata per lo più come principio di appartenenza e fattore di staticità, mentre è intrinsecamente esodo permanente di liberazione, di prova, di ricerca. Certo, se un “piccolo resto” riuscisse ad interpretarla e testimoniarla in questo modo - nella mentallità e nella prassi - avremmo automaticamente una “chiesa sinodale”, che invece non può nascere o reggere come forma accessoria su un impianto di chiesa vecchio stampo! (ABS)


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