8 agosto 20201 -
 XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)


 

Daniele da Volterra: Elia nel deserto (1543)

Firenze, Galleria degli Uffizi

 

 

PRIMA LETTURA (1Re 19,4-8)

In quei giorni, Elia s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Si coricò e si addormentò sotto la ginestra.

Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò.

Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Si alzò, mangiò e bevve.

Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 33)

Rit. Gustate e vedete com’è buono il Signore.

 

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.

 

SECONDA LETTURA (Efesini 4,30-5,2)

Fratelli, non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione.

Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.



VANGELO (Giovanni 6,41-51)

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

 

 

In altre parole…

 

La vicenda e la figura di Elia, a cui rimanda anche l’immagine di Daniele da Volterra, non possono essere ridotte ad esempio edificante da prima Comunione: è l’immagine di un uomo disperato che sta morendo di fame e che non si aspetta più che qualcuno gli venga incontro! Certamente c’è il dramma del profeta, ma al tempo stesso ci sono la denuncia, la lotta e il destino di ogni profeta: di chi non si contenti di belle parole ma abbia il coraggio di stare dentro le situazioni e le avversità in nome di Dio, costi quel che costi.  Quella di Elia è una figura poco presente e poco sentita nella coscienza ecclesiale, salvo qualche reminiscenza liturgica: ma ciò non toglie che egli abbia notevole rilievo in tutta la Scrittura, e in particolare nei vangeli. Meriterebbe perciò più attenzione e studio.

 

Così lo presenta il libro del Siracide 48,1: “Allora sorse Elia profeta, simile al fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola”.  Malachia 3,23 ci assicura che egli è il profeta di sempre e degli ultimi tempi: “Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore”. Gesù stesso si incaricherà di dichiarare riguardo a Giovanni il Battista: “E se lo volete accettare, egli è quell'Elia che deve venire. Chi ha orecchi intenda” (Mt 11,14-15). Mentre in Matteo 17,12 egli fa riferimento anche a se stesso per dire che per lui sarà come per Elia: “Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro”. Troviamo Elia insieme a Mosè sul Tabor che conversavano con Gesù del suo cammino messianico (Mt 17,3), fino alla sfida finale che gli viene lanciata sulla croce: “Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce” (Mc 15,36). Elia a cui era stata risparmiata la morte per essere rapito in cielo!

Ma eccolo Elia in lotta contro l’apostasia, l’abbandono del Dio vivo e vero, l’infedeltà e l’idolatria, una lotta  anche cruenta, ed ora in fuga da minacce  e condanna a morte ad opera di Gezabele, una morte che peraltro rimane l’unico suo desiderio: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita”, parole simili a quelle di Mosè quando dice al suo Dio: “Fammi morire piuttosto, fammi morire,… che io non veda più la mia sventura!” (Nm 11,15). A parte la persecuzione in atto verso di lui, a prostrare Elia è la sua sconfitta ed il fallimento della sua missione. Egli infatti era stato “designato a rimproverare i tempi futuri per placare l'ira prima che divampi, per ricondurre il cuore dei padri verso i figli e ristabilire le tribù di Giacobbe” (Sir 48,10). Ma tutto questo non era avvenuto e ora si ritrovava solo nella lotta impari e più che mai solo nella sconfitta.

Ciò non gli impedisce di prendere sonno, da cui però viene richiamato dall’angelo, quasi ad un risveglio di coscienza della sua vocazione, che rimane valida e necessaria nonostante fosse andata a vuoto. E se in un primo momento la focaccia e l’orcio d’acqua che si ritrova sotto gli occhi servono alla sopravvivenza e al recupero delle forze, la delusione e il senso di impotenza restano forti e non trova altra via di uscita che tornare a dormire. La lotta ora è con il suo Dio, ed ecco di nuovo l’angelo toccarlo e risvegliarlo, per riportarlo sul suo cammino di profeta: “Si alzò, mangiò e bevve”. Quella di Elia è una esistenza profetica più che parola di profeta: e quando un profeta è chiamato a riportare un popolo alla fedeltà, è inevitabile che sia il primo a subire la prova della fede! Nella “trasmissione della fede” – così ci esprimiamo oggi – forse  soffriamo di troppo tecnicismo, ma non mettiamo in gioco noi stessi!

Quando l’angelo dice: “Alzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”, è come avvertire da lontano la voce che un giorno dirà: “Prendete e mangiate… Prendete e bevetene tutti”: è questo il punto a cui Gesù vuol portare tutti, ma alla fine dovrà contentarsi di poterlo fare solo con alcuni nella cena d’addio e neanche al completo. Il fatto è che non si tratta solo di mangiare per saziarsi, ma di entrare in una condivisione di vita e di fede con lui. Non si tratta di qualcosa da prendere – la manna, l’ostia, il sacramento, la comunione – ma di lui in persona, in carne ed ossa, da assumere come cibo e come bevanda di vita eterna. E se questo è l’apice del nostro rapporto di comunione con lui, è chiaro che non può ridursi al solo simbolo - come devozione e amore per l’eucarestia - ma ci deve stare a cuore tutto il mistero e l’insegnamento della sua vita, il Cristo totale di ieri, di oggi, di sempre. Non è soltanto questione di “presenza reale” nelle specie del pane e del vino, ma è questione di renderlo presente nel mondo come membra del suo corpo e di fare scorrere il suo sangue nelle nostre vene. Si tornerebbe al discorso di come noi conosciamo il Cristo Signore: se secondo la carne come “il figlio di Giuseppe” o secondo lo spirito come il Figlio dell’uomo su cui il Padre ha posto il suo sigillo; se secondo le nostre tradizioni umane ed i nostri cliché o come lui stesso vuole essere conosciuto per quello che è.

Quando lo sentiamo dire “Io sono il pane disceso dal cielo”, altro è accettare queste parole nel loro significato rituale e generico, altro prenderle alla lettera nella loro realtà così come vengono dette. E allora forse ci ritroveremmo anche noi a mormorare, a dubitare, a prenderci gioco di simili affermazioni. Egli però non sembra sorprendersi di questa nostra presa di distanza e continua per la sua strada in solitudine, cercando di spiegare anche a noi come vanno le cose sul piano della fede: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.

Quindi tutto si gioca nell’apertura o meno all’ascolto interiore del Padre per lasciarsi istruire da lui: dipende dal nostro “essere dalla verità” o “essere da Dio” come orientamento di fondo del nostro cuore. In qualche modo è come riconoscere nelle parole e nella testimonianza di Gesù il volto del Padre che noi non abbiamo visto, mentre lo ha visto “colui che viene da Dio”. Per la verità, possiamo anche aver mangiato la manna nel deserto e continuare a nutrirci di mille altre cose, ma rimane che egli è il pane vivo disceso dal cielo, un pane che si farà carne e sangue per la vita del mondo! Possiamo permetterci impunemente di ridimensionare questo “mistero della fede” ai nostri appetiti religiosi o a pratiche da assolvere?

In tal caso ecco l’avvertimento di san Paolo a non soffocare e “rattristare lo Spirito Santo di Dio” che opera in noi, ma a farsi piuttosto “imitatori di Dio, quali figli carissimi”, camminando nella carità “nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore”. È in questa circolazione di vita che siamo immessi, e di questo bisogna tener conto soprattutto quando fossimo chiamati ad essere portatori dello spirito di Elia, di cui sembrerebbe aver estremo bisogno la nostra chiesa oggi, di profeti come lui.

 

Per la verità sappiamo da Giovanni XXIII che egli è venuto sulla scia di Elia e di Giovanni il Battista per preparare al Signore un Popolo ben disposto. Ma chi volesse oggi ritrovare questa vena del Concilio Vaticano II, forse rischierebbe di ritrovarsi solo nel deserto come Elia, se non decapitato come Giovanni. Ma forse come Elia potremmo sentirci ripetere: “Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”.

La nostra lotta infatti è contro un falso soprannaturalismo di maniera, che ritiene di salvare il “mistero della fede” attraverso apparati liturgici di un certo tipo piuttosto che di un altro, mentre la chiesa stessa nel suo insieme è chiamata ad essere il sacramento, e cioè il segno e lo strumento, dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano!

Non è questa la missione che Gesù ha compiuto e consegnato ai suoi, e non è questo il compito e l’impegno che la chiesa ha dato a se stessa per un reale cambiamento d’epoca? Quando si parla di Sinodo come attuazione del Vaticano II, non è precisamente e primariamente questo che si deve intendere? Stiamo solo attenti a non lasciarci affascinare dalla spettacolarità e dagli entusiasmi di chi, in nome del Vaticano II, non fa che affossarlo del tutto come compiuto. Quella di una “conversione pastorale” ispirata dal Concilio è la lotta a cui siamo chiamati, ricordando Elia e affiancando Gesù nella sua passione e morte! Perché non si raduna diversamente il Popolo di Dio! (ABS)


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