27 giugno 2021 -  XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Gabriel von Max: La risurrezione della figlia di Giairo (1881)

Baltimora (Maryland), Walters Art Museum

 

 

PRIMA LETTURA (Sapienza 1,13-15; 2,23-24)

Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano;
le creature del mondo sono portatrici di salvezza,
in esse non c’è veleno di morte,
né il regno dei morti è sulla terra.
La giustizia infatti è immortale.
Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità,
lo ha fatto immagine della propria natura.
Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo
e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 29)

 

Rit. Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.

 

Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.

Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia.

Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.

 

 

SECONDA LETTURA (2Corinzi 8,7.9.13-15)

Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa.

Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».



VANGELO (Marco 5,21-43)

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.

Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.



In altre parole…

 

Sarebbe troppo facile, ma anche troppo riduttivo, legare il messaggio di queste letture alla vicenda della pandemia, per poi tornare a “pensare positivo”  e alla visione delle cose abituale. No, il messaggio è quello di sempre e per sempre, e non è esagerato dire che è questione di vita o di morte: questa radicalità non può spaventare, anche se poi tutto deve dimensionarsi alle diverse situazioni di fatto. Nel nostro approccio alla Parola di Dio, forse è il caso di tenere presente che essa non è normativa per l’agire se prima non crea in noi una nuova coscienza: non ha forza morale se prima non è per noi “grazia e verità”.

 

Quando la Scrittura ci dice senza mezzi termini che la morte non rientra nel disegno della creazione, e che Dio “non gode per la rovina dei viventi”, ci orienta realisticamente a vedere il mondo e la storia in bene, ma senza nasconderci che all’ordine del giorno c’è la morte e c’è la rovina dei viventi. Ma allora c’è solo da chiudere gli occhi o guardare da un’altra parte? C’è solo da favorire una fede alienante ed evasiva?

 

Intanto c’è da dire che queste parole del libro della Sapienza vogliono essere un richiamo alla realtà profonda delle intenzioni di Dio nella creazione, dopo che nel versetto precedente l’invito era questo: “Non provocate la morte con gli errori della vostra vita, non attiratevi la rovina con le opere delle vostre mani”. Sembra quasi si voglia scagionare l’opera di Dio dall’accusa di portare veleno di morte invece che essere portatrice di salvezza, come tutta la creazione farebbe pensare: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn 1,31). Come si colloca la morte in questo quadro?

 

Dio non smentisce se stesso e non viene meno a quanto ha fatto, perché la sua giustizia è immortale: “ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura”. Le cose, come crediamo, stanno così, e noi confessiamo ripetutamente “Dio creatore del cielo e della terra, delle cose visibili e invisibili”. Poi magari ce ne dimentichiamo e si scopre che è necessaria la salvaguardia del creato! Sta di fatto che la morte e la rovina dei viventi sono altrettanto presenti in questa creazione e richiedono altrettanto realismo per una giusta comprensione, al di là delle  parole consolatorie che possiamo trovare caso per caso. La morte ha radici interne alla creazione stessa, ma è necessario rendersi conto di quale ne sia il principio, anche se “il regno dei morti non è sulla terra”.

 

Certamente possiamo affidarci alla mitologia religiosa corrente, che popola il nostro sistema mentale, ma se ci fermiamo un attimo a pensare alla presenza devastante e imperante della morte nella nostra esperienza, nella cronaca, nella storia e nel mondo dello spettacolo… non possiamo non provarne scandalo e non interrogarci, per trovarne una ragione; e anche per capire come vincerla. Ci sarebbe davvero molto da riflettere, ma ora atteniamoci a questa spiegazione lapidaria: “Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo”. Se parlassimo soltanto del diavolo in persona o mitizzato, forse verrebbe da storcere il naso, dato anche l’abuso terroristico che se ne fa in certi ambienti religiosi. Ma se diciamo che la morte entra nel mondo per l’invidia, la falsità, l’inganno, l’ipocrisia, la menzogna, non si fa difficoltà ad ammettere che qualcuno si fa forte di tutto questo per dominare sugli altri; e ad ammettere che di questo subdolo potere ne siamo più o meno consapevolmente vittime.

 

Dalla bocca di Gesù escono anche parole come queste: “Voi siete figli del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c'è verità in lui. Quando dice il falso, parla di quel che è suo perché è bugiardo e padre della menzogna” (Gv 8,44). Lasciando per ora da parte questa pista di riflessione, possiamo semplicemente dire che la morte non è solo nemica dell’uomo, ma nemica dichiarata di Dio, la sua negazione. Questo spiega come la volontà di Dio dopo la creazione sia solo quella di eliminarla e di liberarcene, per cui si parlerà di “storia della salvezza”. Basterebbe pensare a quello che diciamo nella recita del Padre nostro: di assicurarci il necessario della vita, di innestare un processo di perdono e di non violenza, che è come dire di accettazione inevitabile del  male; ma soprattutto di liberazione dal maligno.

 

Quando nel vangelo si leggono episodi così toccanti ed eloquenti come quelli di Giairo e della donna sofferente, possiamo rimanere conquistati dal miracolo, dalla compassione e dalla disponibilità di Gesù, dal comportamento fiducioso dei protagonisti, così come possiamo ricavarne insegnamenti di vita. In questo caso, ad esempio, potremmo sottolineare la differenza della fede della donna, che passa attraverso segni e gesti fisici, e quella di Giairo, che è puro affidamento interiore. Ed è tutto giusto. Ma forse passa in seconda linea che è in atto la lotta totale e quotidiana di Gesù contro la morte, come sarebbe agevole dimostrare guardando la traiettoria dei vangeli, e pensando a quante volte egli fa riferimento alla vittoria sulla morte attraverso l’ascolto della sua parola, la fede in lui e il pane che egli dà per la vita del mondo. 

 

Il versetto all’alleluia della liturgia di oggi (2Tm 1.10) esprime così questa verità: “Il Salvatore nostro Cristo Gesù ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l'immortalità mediante il vangelo”.  Il vangelo in effetti è questa “potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede”: una fede che di suo è lotta senza quartiere contro la morte in tutte le sue forme. Noi abbiamo ridotto tutto ad ascesi, a mortificazione, a rinuncia, e dimentichiamo facilmente che c’è in gioco il vero dramma del mondo. Spiritualizzando al massimo il mistero della redenzione, facciamo poi ricorso a movimenti collaterali per la pace o contro la violenza, come a voler ridare sapore al sale che l’ha perduto come fede epidermica.

 

Se vogliamo lasciarci ispirare dall’immagine di Gabriel von Max (La risurrezione della figlia di Giairo) possiamo dire che c’è la fede del padre Giairo che chiede a Gesù di andare ad imporre le mani sulla figlioletta morente “perché sia salvata e viva”. C’è la fede della donna sofferente che dice a se stessa: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. Ma c’è lo sguardo di questa fanciulla che sembra dire a Gesù: “Sei tu la risurrezione e la vita”. Lui che aveva sfidato il trambusto, il pianto e la derisione della gente invitata a non agitarsi e a non piangere perché, diceva, “la bambina non è morta, ma dorme”. È a lui dunque che bisogna guardare, sia pure attraverso quello che fa e che dice!

 

Se c’è qualcuno che ha intuito, vissuto, testimoniato, insegnato la centralità di Cristo nel creato, nella storia e nella vita, è senz’altro san Paolo, che ne traduce l’ardente desiderio di vedere diffuso su tutta la terra il fuoco che egli  portava nel mondo. Quando Paolo esorta la comunità di Corinto a prendere parte con generosità alla colletta per la chiesa di Gerusalemme, non è solo umana solidarietà e soccorso fraterno materiale, ma vuole che il loro dono sia emanazione e sovrabbondanza della loro ricchezza nella fede, nella parola, nella conoscenza, ma anche nello zelo di quella carità che egli ha nei loro confronti. Un gesto per quanto minimo di “koinonia” (perché questo è la colletta) deve essere espressione viva della “grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà”. Perché abbiamo paura di dare questo respiro alla esistenza cristiana?

Questa simbiosi tra agire umano e grazia è qualcosa che manca e che deve essere assicurato, se davvero vogliamo diffondere intorno a noi “il profumo di Cristo” (2Cor 2,15). È buona cosa esortare alla solidarietà, all’accoglienza, al soccorso umanitario, ma forse non è meno necessario che ci siano comunità pronte a fare quasi istintivamente tutto questo  come comunicazione  e travaso dell’amore di Cristo in noi. Certamente non si può prescindere dall’intervento e dall’aiuto materiale immediato, ma non possiamo non avere a cuore che sia lui in ultima analisi a farsi presente alle coscienze, e magari ripeterci le parole dette a Marta: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?” (Gv 11,25-26). Perché continuare a tenere separate fede ed opere se davvero vogliamo la vita del mondo?  (ABS)


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