7 febbraio 2021 - V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

 

Fra Bartolomeo: Il profeta Giobbe (1516 circa)

 

PRIMA LETTURA (Giobbe 7,1-4.6-7)

Giobbe parlò e disse:
«L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra
e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario?
Come lo schiavo sospira l’ombra
e come il mercenario aspetta il suo salario,
così a me sono toccati mesi d’illusione
e notti di affanno mi sono state assegnate.
Se mi corico dico: “Quando mi alzerò?”.
La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba.
I miei giorni scorrono più veloci d’una spola,
svaniscono senza un filo di speranza.
Ricòrdati che un soffio è la mia vita:
il mio occhio non rivedrà più il bene».


SALMO RESPONSORIALE (Sal 146)


Rit. Risanaci, Signore, Dio della vita.

 

È bello cantare inni al nostro Dio,
è dolce innalzare la lode.
Il Signore ricostruisce Gerusalemme,
raduna i dispersi d’Israele.

Risana i cuori affranti
e fascia le loro ferite.
Egli conta il numero delle stelle
e chiama ciascuna per nome.

Grande è il Signore nostro,
grande nella sua potenza;
la sua sapienza non si può calcolare.
Il Signore sostiene i poveri,
ma abbassa fino a terra i malvagi.

 

 

SECONDA LETTURA (1Corinzi 9,16-19.22-23)

 

Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!

Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.

Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.

 

 

 

VANGELO (Marco 1,29-39)

 

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».

E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

 

In altre parole…

 

Ecco soltanto qualche tessera del mosaico da comporre insieme alla luce delle Scritture, anche se lo facciamo in diaspora e nel segreto del cuore. Pensare che a distanza qualcuno cammina con lo stesso desiderio e nella ricerca del Regno non fa che bene, e possiamo dichiararci beati in quanto invitati alla mensa del Signore. È la “mensa della Parola” che in qualche modo anticipa la mensa eucaristica: ebbene, prima ancora che per quanto è disponibile sulla mensa, a tavola insieme si sta perché c’è fame e sete di giustizia, ed è per questo che possiamo dirci beati, per la passione del Regno che viene a noi col vangelo. Prima di condividere il pasto, bisogna solidarizzare nel comune appetito. Forse non ci manca di che saziarci, ma difetta la coscienza che il mangiare e il bere sono bisogni primari che ci accomunano nella nostra indigenza.

 

Detto questo per dare un senso rinnovato a queste nostre comunicazioni, torniamo a muoverci con la lampada della Parola in mano. Per quanto distanti nel tempo e in contesti del tutto diversi, le letture proposte in questa domenica si fanno percepire concentriche e consentono una riflessione coordinata. Cominciando da Giobbe, che fra Bartolomeo ci presenta con l’annuncio del Salvatore secondo la logica della Incarnazione e della chenosi, di cui appunto Giobbe è espressione.

Le poche battute del libro di Giobbe dicono quanto di più umano si possa dire, e potrebbero essere sottoscritte da chiunque, e siamo quasi costretti a riconoscervisi: in effetti ci siamo tutti noi nella nostra condizione originaria e nella nostra esistenza quotidiana di duro servizio, di mercenari, di schiavitù, di illusione, di affanno, di notti insonni, di giorni che svaniscono senza un filo di speranza. Ci rimane la forza per un sussulto di invocazione al cielo, con parole di verità che ci riscattano dalla disperazione: “Ricordati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene”. Se la condizione è disperata, non tutto però è perduto e non ci si deve dare per vinti. Dentro il dramma che ci cade addosso c’è da tenere viva la speranza – una speranza viva – che nasconda una volontà di salvezza che ci sorprenda!

E questo perché non sono parole di pessimismo e di fuga, ma sono parole di verità che alla fine portano alla rivelazione della verità tutta intera, che portano al capovolgimento della situazione, fino a dire: “Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si alzerà sulla polvere. E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno i miei occhi, non quelli d'un altro; il cuore, dal desiderio, mi si consuma!” (Gb 19,25 -27). Non è difficile riscontrare qui la stessa fede di Abramo, che può diventare una necessità anche per noi.

Ma non è neanche difficile ritrovarci tutto il dramma del Servo di Jahvé di Isaia o la vicenda di Geremia: in ultima analisi vi è inscritta l’intera vicenda del Figlio dell’uomo che si rivela nei grandi eventi o misteri, ma che traspare in tutto ciò che Gesù fa e dice. E così, quanto era appena accaduto nella sinagoga, ora si ripete nella casa di Simone e Andrea sotto gli occhi di Giacomo e Giovanni. Questa volta c’è la liberazione dalla febbre della suocera di Pietro, che ci fa capire come ogni guarigione porta al servizio. Ma poi c’è anche una guarigione su vasta scala che si prolunga anche fuori dalle mura domestiche a tutta la città.

Contrariamente a quanto si pensa, questi risanamenti dei corpi e degli spiriti non sono per ottenere consenso e seguito, ma sono incentivo e coadiuvante al seme della Parola, perché maturi in fede e non in entusiasmo effimero. Altrimenti non si spiegherebbe l’opera di dissuasione per impedirne la diffusione. Ai demoni che dimorano nelle persone non permette di parlarne, “perché lo conoscevano”, e la loro conoscenza non deve passare ad altri per vie sbagliate. Ma la raccomandazione a tenere sotto segreto quanto percepiscono di lui è rivolta di continuo a quanti vengono guariti.

Questo ci fa capire che a Gesù sta a cuore che ciascuno maturi in se stesso la propria fede in lui; e sta a dire anche che egli vuole portare lo sguardo e l’interesse al Regno di Dio e non su se stesso. Questo suo riserbo viene chiamato “segreto messianico”, quasi che volesse rimanere in incognito e lasciare che una intimità con lui nascesse dal cuore, là dove il Padre vede nel segreto e rivela ai piccoli i misteri del Regno: è lui che ci fa conoscere il Figlio! C’è tutta una lezione pastorale da apprendere e da applicare, per orientarci alla maturazione nella fede in senso personale e in prospettiva comunitaria.

Ce lo dimostra col fatto che “al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”. Non è solo un esempio da imitare, ma per ricordarci che egli è “nel seno del Padre” (Gv 1,18) e a questa intimità vuole portare tutti noi attraverso quanto insegna e opera. Il Regno di Dio che egli annuncia non è una manifestazione di potenza, qualcosa che si realizza qua o là, ma è dentro di noi, in quanto comunione col Padre sulla sua scia.

Naturalmente non è facile per i pochi discepoli fare propria questa ottica e accettare i suoi tempi; lo cercano per fargli presente che tutti lo vogliono, quasi a volerlo spingere ad accontentare la gente. Ma ecco subito un altro suo strappo incomprensibile, ed è lui che invita i suoi ad andare altrove dicendo chiaramente quale fosse il compito per cui era mandato: predicare anche altrove, fino agli estremi confini della terra, predicazione a cui dovranno accompagnarsi segni e prodigi! La sua preoccupazione è quella, qualcosa che per noi è passato in secondo o terzo piano.

Chi invece ne ha fatto motivo di vita è Paolo, che rappresenta l’altro cerchio di questa passione concentrica che lo lega a Giobbe e a Gesù: nel farsi servo e schiavo del vangelo, qualcosa che gli si impone e a cui si consacra rinunciando a qualunque vantaggio e sentendosi ricompensato unicamente dal fatto di annunciarlo gratuitamente. E mentre si fa “servo di tutti per guadagnarne il maggior numero” l’unica sua ambizione è quella di diventarne partecipe anche lui. Di qui non si esce, e non sarebbe male se, “pur essendo liberi da tutti”, avessimo la stessa passione di farsi tutto a tutti! (ABS)


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