12 aprile 2020 - DOMENICA DI PASQUA - RISURREZIONE DEL SIGNORE (ANNO A)

Eugène Burnand: La corsa al sepolcro il mattino della Resurrezione (1898)

PRIMA LETTURA (Atti degli Apostoli 10,34a.37-43)

In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui.

E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.

E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 117)


Rit. Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo.

Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».

La destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita
e annuncerò le opere del Signore.

La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.

SECONDA LETTURA (Colossési 3,1-4)


Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.

Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.

 

 

VANGELO (Giovanni 20,1-9)


Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.

Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.

Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.


In altre parole…

 

“E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!” (1Cor 5,7). È un’affermazione decisiva di Paolo, incastonata tra la denuncia di una situazione incestuosa all’interno della comunità di Corinto e l’esortazione a totale novità di vita “con azzimi di purezza e verità”. Qui c’è tutto il mistero della Pasqua, non solo in quanto compiuto in Cristo come disegno di salvezza – ciò che è sostanziale - ma come coinvolgimento di tutti e dei singoli nella nuova condizione di “salvati”, così come venivano chiamati i primi credenti (At 2,48). Se la Pasqua è Cristo, è però anche la nostra Pasqua!

 

Coloro ai quali “è stata mandata la parola di questa salvezza” (At 13,26), devono tradurre nella propria vita e nella propria azione ciò che essi sono già in Cristo, il quale con la propria morte e resurrezione è la via che conduce a vita nuova: infatti, come nella liberazione dall’Egitto fu immolato l’agnello pasquale, così nella redenzione finale è immolato l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, perché “il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato v'è entrata la morte” (Rm 5,12). Vincendo la morte, viene tolto anche il peccato del mondo, che ne è il “pungiglione” (1Cor 15,56). Da questo non si può prescindere!

Comunque lo si possa esprimere, è qui il nucleo sostanziale della Pasqua cristiana – Cristo immolato, appunto – e celebrarla vuol dire essere tra coloro “ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi, speranza della gloria” (Col 1,27): qualcosa che attiene all’opera stessa di Dio nel mondo, non riducibile a evento mitico, a storia parallela, ad attitudine religiosa, a fatto spirituale, a prassi di liberazione storica, ma riconducibile assolutamente all’iniziativa creatrice o redentiva del “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe” (At 7,32), “il Padre del nostro Signor Gesù Cristo” (Rm 15,6). Si tratta quindi di entrare in questo “mistero”, in questo ordine di realtà: di fare in noi stessi questo passaggio che segna appunto la Pasqua del Signore. Ecco il battesimo!

Qui siamo riportati prepotentemente ai nostri giorni: a quante volte abbiamo sentito dire o ci è stato chiesto: “Ma Dio dov’è”? Le risposte che circolano parlano o di un Dio che interviene a punire e richiamare l’umanità da una deriva morale, o di un Dio da noi completamente assolto, che non si immischierebbe nelle nostre faccende. Ci sarebbe invece da chiederci qual è questo Dio che chiamiamo in causa quando meglio crediamo, un Dio pensato a nostra immagine E somiglianza, al tempo stesso in cui siamo rimasti sordi alla sua voce, ciechi davanti alle sue opere e scandalizzati dal suo linguaggio e dalla sua “parola della croce”: appunto la Pasqua di morte e di resurrezione. Certamente, quello a cui chiediamo ragione non è il Dio con cui tenta di metterci in contatto l’uomo Cristo Gesù mediante la fede in lui! Quando Paolo scriveva alle prime comunità non usava giri di parole per dirci esattamente queste cose, senza annacquamenti!

Se non ci lasciamo trascinare   dalla vis retorica del momento, possiamo dire che la risposta  ci è stata già data, se però diamo ascolto alla sua Parola: infatti, “Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi” (Eb 1,1-2). Non è dunque questione di quale Dio o di quale nuova idea di Dio ci facciamo: quella tradizionale di un giudice rigoroso o quella di un padre misericordioso. La risposta non riguarda chi o ciò che un Dio è nella sua unicità teorica, ma chiama in causa noi e il rapporto che riusciamo a creare e mantenere con lui, in quanto egli ha parlato a noi per mezzo del Figlio, “mediante il quale ha pure creato i mondi”: e questo deve voler dire qualcosa quando ci chiediamo “dov’è Dio?”. Vuol dire che ad essere ripensato e reinventato è un nuovo rapporto di fede con lui, personale, pubblico, culturale, ma anche ecclesiale.    

Ci dice che la Pasqua è il senso stesso della creazione e della storia, legata com’è alle stelle e alla natura: che prima di essere un fatto culturale, religioso e celebrativo nel tempo è una costante eterna del mondo da sempre e per sempre. È insomma l’anima escatologica delle cose, il loro desiderio intrinseco di compimento e di pienezza, fino a quando ”Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,28). Fin dalle origini è un concatenarsi di creazione e redenzione, di caduta e di salvezza fino all’epilogo di morte e resurrezione con Cristo, che sancisce la nuova ed eterna alleanza nel suo sangue.

Se vogliamo entrare nel vivo e nel dramma di questo passaggio continuo non abbiamo che da rileggere Rm, 8,19-23: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Rm 8,19-23).

Questo vuol dire che la Pasqua non è una celebrazione, sia pure riconosciuta centrale, in un contesto predefinito di cristianità, ma è il contesto stesso in cui anche una chiesa deve ricollocarsi come segno e strumento di salvezza, e cioè come sacramento di una realtà che risiede nel disegno di Dio in Cristo. E se ora siamo nella impossibilità di dare visibilità liturgica a questo “mistero della fede”, forse è l’occasione per verificare la nostra capacità di viverlo in “spirito e verità” attraverso una più intima unione a Cristo, nostra Pasqua.

Questa intima unione con Cristo è sì un fatto molto personale, ma non di natura psicologica, sociologica o emotiva, in quanto si inscrive in un nuovo ordine di realtà: vi si accede grazie alla apertura di Dio stesso verso di noi, alla sua rivelazione attraverso eventi e parole, di cui siamo destinatari. In Cristo opera e parola di Dio coincidono, ed a lui c’è da dare ascolto e da obbedire nella fede, perché “questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Sappiamo che tutto questo arriva a noi mediante le Scritture, per cui conoscere Cristo e conoscere le Scritture si equivalgono! Ed è lì che bisogna cercarlo.

Detto questo per recuperare e far riemergere in qualche modo il “mistero della Pasqua”, non si pensi che questo sia esercizio per addetti, ma necessità per tutti di ritrovare la trama del nostro credere, per ridare trasparenza e vigore a quanto possiamo intesservi d’altro. Ed allora affidiamoci alla parola di Dio della liturgia del giorno e possibilmente andiamo a leggere le letture della veglia, che ci fanno entrare immancabilmente in questo universo in cui la Pasqua vuole introdurci: è il nostro modo di viverla e celebrarla là dove “il Padre vede nel segreto”.

Ciascuno di noi sa, infatti, che non sta leggendo bei pensieri sulla Pasqua da tenere a mente. Stiamo semplicemente immergendoci – battezzandoci – nelle acque di questo mare della vita da attraversare all’asciutto grazie alla destra e potenza del Signore. Leggere i passi biblici della veglia pasquale non è un esercizio personale, ma ci fa ritrovare uniti  nel vivo della storia della salvezza, punteggiata sì di racconti, di episodi e di testimonianze (la creazione, Abramo sul monte Moira, Mosè  che guida il popolo fuori dall’Egitto, voci di profeti), ma più che mai in atto qui ed ora, in un crescendo di tensione storica che ci porta fino al nuovo giorno fatto dal Signore. Pietro e Giovanni che in questa interminabile staffetta di secoli percorrono increduli l’ultimo miglio verso il sepolcro, ci dicono che la corsa termina quando uno di loro “vide e credette”. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. Ecco “Cristo nostra Pasqua”! A Giovanni si aprono gli occhi e crede, ma in qualche modo già Maria Maddalena portava questa luce nel cuore.

Penserà poi Paolo ad aprire anche i nostri occhi su “un fatto mai ad essi raccontato” (Is 52,15), per farci capire quale è la nuova condizione dei credenti: “Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria”. “Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa”: così si ripete per le promesse battesimali. Ecco allora Pietro prendere la parola per darci testimonianza di tutto ciò che è accaduto e di tutte le cose compiute da Gesù, ma soprattutto per attestare che “Dio lo ha risuscitato al terzo giorno”. E a quanti hanno mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti, è stato ordinato di annunciare che “chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome”.

Ecco la ragion d’essere di una chiesa nel mondo e la vera finalità della sua missione: perché la Pasqua sia perenne! Per la verità, forse non siamo a questo punto, mentre è più facile ammettere di non aver “ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. Infatti, non è Pasqua perché storicamente ricordiamo il fatto che Cristo è risorto, ma è Pasqua ogni volta che i nostri occhi si aprono su quanto ha fatto la destra del Signore, “una meraviglia ai nostri occhi”. (ABS)


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