Koinonia Gennaio 2022


LA FUNZIONE DELLA CULTURA E IL COMPITO DELL’INTELLETTUALE

 

<...> La libertà della cultura non è indipendente dalla libertà in generale: in una città in cui la ricchezza è, per sua natura, anche lo strumento del ricatto con la minaccia della povertà intesa come miseria, la libertà è relativa all’autosufficienza, e questa si misura in funzione dei limiti posti al desiderio.

L’intellettuale libero può salvare la propria libertà e l’altrui solo battendosi per questi limiti, perché la società sia fondata su di essi, e i due estremi della povertà e della ricchezza non impediscano ai più di porsi liberamente di fronte ai problemi della propria realizzazione.

La povertà e la ricchezza sono gli avversari della libertà; essi sono dei dati oggettivi (l’impossibilità di soddisfare i bisogni essenziali; la possibilità di soddisfare e di moltiplicare all’infinito i bisogni secondari); ma sono anche delle prospettive soggettive (tra la povertà e la ricchezza sta tutto lo spazio dei bisogni essenziali e della loro valutazione).

L’intellettuale è sempre sul discrimine della libertà, nel senso che egli non può agire se non è libero dal bisogno nel modo più radicale e completo, cioè duplice: libero dalla povertà e libero dalla ricchezza, non ricattabile da questa, non paralizzabile da quella.

Ma ciò può accadere davvero soltanto in una società a sua volta libera, e compito dell’intellettuale è

elaborare e comunicare il criterio di questa libertà.

In questo senso il compito supremo dell’intellettuale è quello di fondare la città, cioè di lavorare per la costruzione di una città libera, definendo lo spazio dell’economia come relativo ai bisogni essenziali e attribuendo alla politica il compito di organizzarne la giusta soddisfazione per tutti.

Quando si dice che la caratteristica della fondazione definisce la città autentica, si fa riferimento a questa dialettica permanente tra la misura oggettiva dei bisogni soddisfatti e la misura soggettiva della valutazione della loro essenzialità: questa dialettica è storica, dunque mai definitiva, e in questo consiste la mediazione permanente che la cultura ha da compiere nei confronti della politica.

La città fondabile è quella in cui la cultura può compiere e compie questa funzione mediatrice, nel senso di garantire essa, problematicamente, l’equilibrio tra il desiderio e il valore.

Città impossibile (nel senso di assurda, che tende continuamente all’ingiustizia, all’illibertà, alla divisione) è tanto quella in cui questo limite è affidato allo svolgimento apparentemente oggettivo delle possibilità - e di fatto alla discriminazione compiuta dai ricchi nei confronti dei poveri mediante il controllo esclusivo della produzione dei beni, elementari e non - quanto quella in cui questo limite è posto dall’esterno, non problematicamente, come limite a tutti - i bisogni, quelli elementari e quelli essenziali, identificati come richieste puramente economiche e non già liberatorie di bisogni universali costitutivi appunto dell’uomo: il bisogno di esprimersi, di inventare, di identificarsi, di rappresentare, di conoscere e così via.

                                                                          

Pietro M. Toesca

Dal libro: Manuale per fondare una città, Ed. Elèuthera, 1994

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