Koinonia Novembre-Dicembre 2021


Da 45 anni Koinonia ci accompagna

 

TRA DIASPORA E SINODALITÀ

 

1 - Da 45 anni questi modesti fogli di carta sono serviti ad offrire uno spazio virtuale di comunione e un terreno di maturazione evangelica ed ecclesiale a chiunque lo desiderasse, tra quanti la vita ci dava di incontrare nelle occasioni più diverse e al di fuori di rapporti precostituiti, in totale libertà. All’origine, come si sa, c’è stata una scelta di vita e di metodo che consentisse l’incontro aperto con chiunque e ad ogni livello, avendo come stella polare il riferimento al vangelo e una risposta di fede adulta da maturare assieme nella responsabilità e nella partecipazione. Non era questione di categorie o di gruppi, e neanche di comunità cristiana costituita, ma di rapporto umano aperto, messo alla prova dell’amicizia e dell’impegno cristiano comune.

L’immagine che si è spesso presentata alla mente per descrivere questa situazione di imprevedibilità e di speranza è quella dell’acqua piovana rispetto all’acqua regimentata e  incanalata: “perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,45). Tutto questo almeno come disposizione e linea di fondo, sempre pronti a lasciarsi portare delle onde ma attenti a non perdere la traiettoria e a non abbandonare la meta comune. È la forte spinta di questa chiamata che ci ha consentito di superare correnti contrarie e di poter continuare ancora oggi a mantenersi animati dalla stessa passione e nella stessa direzione. Anche perché le urgenze sono quelle di ieri!

In questo senso possiamo parlare di diaspora sinodale, in quanto dalla dispersione, dall’anonimato, dalla solitudine del vivere quotidiano, abbiamo cercato di convergere verso il centro gravitazionale che è la potenza del vangelo, capace di radunare i due o tre come pure i popoli e le nazioni della terra. È questa la convinzione che fa da punto di appoggio per la nostra avventura. Solo di conseguenza era da vedere se ci fossero la disponibilità e le condizioni per dare vita a un  “piccolo gregge” o ad un nucleo comunitario di riferimento, senza peraltro uscire dalla condizione di diaspora. Ma questa sarebbe tutta un’altra storia!

Questi pochi accenni di una esperienza ormai cinquantenaria (da cui Koinonia nasce come strumento di comunicazione) lasciano intuire una scelta e un metodo di evangelizzazione certamente non inquadrabile nella prassi pastorale corrente, ma c’è anche da dire che è un modo di procedere che trova ora riscontro e consonanza con quanto Papa Francesco va proponendo come “conversione pastorale” della chiesa, cosa quasi impensabile all’interno di strutture e prassi consolidate, da cui è difficile uscire. C’è insomma da ripartire dal seme (che è la Parola di Dio), piuttosto che attardarsi intorno alle piante improduttive! L’episodio del fico sterile in Matteo 21,19-21 ci è di ammonimento.

Questa impostazione non ha mai avuto pretese di proporsi come metodo sostitutivo, anche se è stata motivo di riflessione continua, pur rimanendo sempre allo stato vissuto. Ma non posso negare che esso si rispecchia in particolar modo nella impostazione che Papa Francesco ha dato al Sinodo dei Vescovi, aperto con il discorso del 9 ottobre in un “Momento di riflessione per l’inizio del percorso sinodale” e poi con l’omelia del giorno dopo per l’apertura ufficiale. Credo che non ci sia modo migliore di ripensare 45 anni di ricerca sul campo e di riflessione dal vivo, se non quello di proiettare nel futuro il lavoro che ci è dato da compiere, dietro la spinta e le indicazioni di Papa Francesco, perché non restino lettera morta. C’è una esperienza vissuta che trova finalmente le parole per essere detta dai tetti in  forma di proposta: per essere sdoganata, senza per questo venir meno a se stessa e al suo impegno di aderenza  alla vita e al primato delle persone.

2 - Leggiamo nella riflessione del Papa: “Nell’unico Popolo di Dio camminiamo insieme, per fare l’esperienza di una Chiesa che riceve e vive il dono dell’unità e si apre alla voce dello Spirito”. C’è qui tutto il senso della koinonia, a cui abbiamo voluto ispirarci: sperimentare e verificare nel concreto una vita di chiesa secondo le istanze e i parametri del Vaticano II. Infatti, “le parole-chiave del Sinodo sono tre: comunione, partecipazione, missione. Comunione e missione sono espressioni teologiche che designano il mistero della Chiesa e di cui è bene fare memoria. Il Concilio Vaticano II ha chiarito che la comunione esprime la natura stessa della Chiesa e, allo stesso tempo, ha affermato che la Chiesa ha ricevuto «la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio» (Lumen gentium, 5)”. Forse sarebbe il caso di dire che la missione è prima della stessa comunione o comunità: è la ragion d’essere di ogni chiesa!

Quindi, chiesa mistero di comunione ad intra, ma solo in quanto in stato di missione ad extra, nel coinvolgimento di fede e di rapporti interpersonali di incontro, di amicizia e di impegno comune, La missione è “espressione viva dell’essere Chiesa, di un agire caratterizzato da una partecipazione vera”. È stato questo il faro del nostro cammino, al di fuori di ogni idealizzazione, ma non senza una riflessione di accompagnamento, per portare l’esperienza vissuta a consapevolezza e maturità, in grado di possibili confronti. Con questa peculiarità: che l’esperienza di fede non aveva luogo all’interno di strutture canoniche preesistenti, ma costituiva essa stessa il contesto umano in cui le strutture stesse riacquistassero il loro significato e la loro funzionalità: quelli di una “conversione pastorale e missionaria” a cui Papa Francesco richiama anche in questa sua riflessione, ad evitare formalismo, intellettualismo e immobilismo.

“Viviamo dunque questa occasione di incontro, ascolto e riflessione come un tempo di grazia”: sono i termini che ritornano poi nella omelia del 10 ottobre e che sono presentati come i “tre verbi del Sinodo” su cui è incentrato tutto il discorso: incontrare, ascoltare, discernere. Quanto all’incontro, “anche noi, che iniziamo questo cammino, siamo chiamati a diventare esperti nell’arte dell’incontro. Non nell’organizzare eventi o nel fare una riflessione teorica sui problemi, ma anzitutto nel prenderci un tempo per incontrare il Signore e favorire l’incontro tra di noi”. È chiaro che l’incontro non è mai strumentale a finalità proselitistiche, ma non può mancare  di una forte  ispirazione evangelica.

La lunga esperienza fatta in proposito - e a tutti i livelli - ci dice che non sempre la incondizionata disponibilità all’incontro ha trovato altrettanta libertà di risposta, spesso subordinata ad intenti ravvicinati; e ci ha fatto scoprire quanto inconsapevolmente siamo malati di protagonismo e di efficientismo: siamo legati ad eventi ed attività che valorizzino la nostra presenza esterna, piuttosto che dare vita ad una realtà di comunione scevra di motivazioni accessorie. Il Papa ce lo dice con queste parole: “Talvolta preferiamo ripararci in rapporti formali o indossare maschere di circostanza: lo spirito clericale e di corte: sono più monsieur l’abbé che padre”. E questo succede quando il clericalismo buttato fuori dalla porta la facciamo rientrare in altre forme  dalla finestra!

Per quanto riguarda l’ascolto, ci viene posta questa domanda: “Permettiamo alle persone di esprimersi, di camminare nella fede anche se hanno percorsi di vita difficili, di contribuire alla vita della comunità senza essere ostacolate, rifiutate o giudicate? Fare Sinodo è porsi sulla stessa via del Verbo fatto uomo: è seguire le sue tracce, ascoltando la sua Parola insieme alle parole degli altri”. A questo proposito crediamo di poter dire che la libertà di esprimersi sia stata di tutti, con senso di responsabilità da parte di ciascuno: che non vuol dire appunto favorire monologhi, ma tentativo di rientrare tutti nello spazio della Parola di Dio e del vangelo che ci accomuna come intenzione di fondo.

Siamo infine alla prova del discernere: “L’incontro e l’ascolto reciproco non sono qualcosa di fine a sé stesso, che lascia le cose come stanno. Al contrario, quando entriamo in dialogo, ci mettiamo in discussione, in cammino, e alla fine non siamo gli stessi di prima, siamo cambiati… Il Sinodo è un cammino di discernimento spirituale, di discernimento ecclesiale, che si fa nell’adorazione, nella preghiera, a contatto con la Parola di Dio”. E per la verità, credo che nessuno possa mettere in dubbio la fedeltà a questa esigenza di fondo per la missione, nonostante cambiamenti traumatici di condizioni esterne, occasioni comunque per mettere in discussione se stessi e ritrovare collocazioni interiori sempre nuove. Così come non si può negare che il nostro sia stato un cammino di discernimento di fede ed ecclesiale, a cui è mancato un confronto reale e non solo pregiudiziale.

Questo ci porta a dire - senza pretendere che ciò risulti evidente ad occhi rivolti ad altro - che se il Sinodo vuole essere quanto papa Francesco dice, noi abbiamo vissuto in Sinodo i 45 anni di Koinonia periodico mensile, che è stato il frutto e lo strumento di questo modo assolutamente spoglio di servire il vangelo, per quanto marginale alle strutture e ai sistemi pastorali vigenti. La nostra condizione base è stata sempre la diaspora, ma l’obiettivo e l’impegno sono stati per la sinodalità!

3 - C’è un altro aspetto del nostro impegno che mi sta a cuore sottolineare: ed è il fatto che nella scelta iniziale c’era anche il desiderio e l’intento di mettere alla prova la propria vocazione domenicana in ordine alla predicazione del Vangelo: un discernimento ecclesiale non poteva non comportare un ripensamento della stessa vita religiosa e dell’essere frati Predicatori nel nostro tempo. E questo in ottemperanza al n. 3-§ II delle Costituzioni dell’Ordine, dove si legge: “I Frati, resi unanimi per mezzo dell’obbedienza, affratellati in un amore più alto attraverso l’esercizio della carità e più strettamente dipendenti l’uno dall’altro tramite il voto di povertà, edifichino prima nel proprio convento la Chiesa di Dio, che poi con la loro opera devono diffondere in tutto il mondo”. È chiaro che questo riferimento al carisma di san Domenico è più che mai opportuno nell’ottavo centenario della sua morte, come del resto è vitale per l’evangelizzazione!

Il sogno era di far emergere una forma comunitaria di chiesa che in qualche modo mutuasse o ripetesse la forma-convento come cellula di vita ecclesiale. E quindi il convento non più luogo asettico di una fraternità avulsa dalla missione che ne è lo specifico come “Casa di Predicazione”. Ma perché questo sogno non appaia come utopia o vana pretesa di qualcuno, mi viene incontro come termine di confronto l’opuscolo  “I presupposti del rinnovamento domenicano”, che documenta come, negli stessi anni in cui partiva l’esperienza di Querceto e di Koinonia, ci fosse nell’ambito dell’Ordine domenicano una ricerca di rinnovamento.

Alcune parole della presentazione di questo opuscolo dovrebbero far pensare che nel nostro caso non si è trattato di un capriccio o di una evasione di comodo, ma della volontà di entrare nel vivo di un problema, senza velleitarismi ma con la volontà che ci sostiene ancora oggi. Si tratta in questo caso della iniziativa di alcuni domenicani che per tre anni si interrogano e dialogano, e che così si esprimono: “Nelle pagine che seguono si troveranno i risultati di tre anni di ricerca per una vita di Predicatori al servizio della Chiesa di oggi. Ogni anno ci siamo riuniti, in tutti una buona quarantina di frati provenienti da una quindicina di Province (dell’Ordine). L’idea è sorta dal malessere generale che ha invaso l’Ordine intero. Le cause sono molteplici. Noi pensiamo alle profonde divergenze che conducono così spesso a compromessi che non danno soddisfazione a nessuno; ai segni sempre più numerosi della crisi che colpisce la vita religiosa. Ma soprattutto questo processo mostra dei rapporti certi con la crisi generale che attraversa oggi la chiesa… Ci siamo sforzati di discernere ciò che san Domenico attende da noi nella Chiesa di oggi”.

Questo per dire a quale urgenza nel nostro piccolo abbiamo tentato di rispondere, quasi in incognito! Chi può dire oggi che i nodi di allora siano oramai sciolti, tanto da poter tirare i remi in barca? Ecco allora che come corrente carsica  -  dopo aver attraversato sotterraneamente tempi e vicende di ogni tipo. - ci ritroviamo oggi nell’alveo del Sinodo, per entrare a fronte alta in questa nuova avventura ecclesiale, da vivere allo scoperto e con determinazione.

                                                       

Alberto Bruno Simoni op

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