Koinonia Novembre-Dicembre 2021


 

LA FEDE MESSA ALLA PROVA

 

A differenza delle abitudini trionfalistiche del passato, è buona cosa che oggi nella Chiesa si prenda atto, per quanto si può ricavare dalle proiezioni dei sociologi, che per il cristianesimo in Europa non si prospetta un futuro brillante. Che, invece, se ne ricavi rimpianto e triste rassegnazione, indica un serio problema di fede. I dati della crisi godono ormai di una letteratura abbondante, frutto di indagini e proiezioni di molti e seri studiosi. Negli ultimi secoli si è verificato un progressivo logoramento della cultura cristiana tradizionale, che ha costituito per secoli l’atmosfera in cui cresceva la fede degli europei. La legislazione degli Stati sta rovesciando alcuni pilastri dell’antico ethos cristiano, soprattutto nell’ambito della famiglia. È sotto gli occhi di tutti che il numero dei praticanti stia riducendosi e che le nuove generazioni risultino le grandi assenti nella Chiesa. Cresce anche il numero di battezzati che abbandonano la fede. Il fenomeno della creazione di nuove famiglie senza la celebrazione del matrimonio religioso fa prevedere la diminuzione del battesimo dei bambini. E, quindi, il progressivo superamento della trasmissione della fede, fino a ieri assicurata, per opera delle famiglie, di generazione in generazione.

ll Vaticano II, dichiarando la Chiesa «per sua natura missionaria» (AG 2), aveva aperto la porta al superamento della visione del mondo distinto fra “Paesi cristiani” e “Paesi non cristiani”, per promuovere l’estensione dell’opera di evangelizzazione dei non credenti anche nelle Chiese di antica tradizione cristiana. Così come il magistero papale, da Paolo VI in poi, sta da tempo predicando. Non è vero, quindi, che per l’Europa non ci sia nulla da fare. Ma, al contrario, c’è tutto da fare. Ora che stanno crollando non pochi dei contrafforti che abbiamo costruito per sostenere la missione della Chiesa, cercando di dotarci di innumerevoli, ricchi e - presuntivamente - efficaci strumenti, sentiamo che la fede è messa alla prova.

Perché sia possibile reinventare dovunque i cammini dell’evangelizzazione, la condizione invalicabile è interrogarsi sul senso più profondo della fede, sullo stile di vita che essa impone, sul bisogno di una sua continua purificazione. Se abbiamo confidato nella solidità della cultura cristiana e del costume tradizionale e sul dovere e il potere dello Stato, che ne garantissero la permanenza, ora dovremmo riconoscerci nei destinatari della reprimenda di Isaia: «Guai a quanti pongono la speranza nei cavalli, confidano nei carri perché numerosi e sulla cavalleria perché molto potente, senza guardare al Santo d’Israele» (Is 31,1). O nell’illuso operaio del profeta Aggeo che «ha avuto il salario, ma per metterlo in un sacchetto forato» (Ag 1,6).

Il ripiegamento della Chiesa su sé stessa, fosse pure un giusto atteggiamento autocritico e penitenziale, non è il solo esito di una nuova presa di coscienza, né deve mortificare i pensieri, le progettazioni, le nuove iniziative e le più coraggiose innovazioni pensabili della comunità cristiana. Per far questo, però, bisogna andare al fondo del problema. Gesù stesso ha affrontato il fallimento della sua missione nella sua vita terrena. Non si può, infatti, semplificare il senso della sua condanna e morte, interpretandole come il momento della sua obbedienza a un misterioso comandamento del Padre, dimenticando la sua battaglia contro l’ingiustizia e le deformazioni della religione, che gli ha guadagnato l’odio degli avversari. Il crocifisso è la perenne icona di un messia sconfitto, da contemplare nella luce della risurrezione. La «vittoria che ha vinto il mondo» è solo «la nostra fede» (1Gv 5,4). Senza la fede degli apostoli nella risurrezione di Cristo, il cristianesimo sarebbe morto sul nascere. Con la forza della fede si può e si deve far propria la convinzione dell’apostolo: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10).

Il fallimento di Gesù non fu la conseguenza di una sua ricerca della ricchezza e del potere per sostenere la sua missione, ma della scelta di una vita inerme di povertà e di umiltà. Se delusione e rimpianti dovessero concentrarsi sulla perdita del prestigio e del potere che la Chiesa aveva nel passato sulla società civile, le sue leggi e le sue istituzioni, ci sarebbe un solo appello da fare: quello del ritorno sincero e felice della Chiesa all’imitazione di Cristo e all’apostolica vivendi forma.

Si dovrebbe pensare che il progressivo dimagrimento della Chiesa, della sua dimensione demografica, delle sue strutture, di tante sue istituzioni, l’impoverimento delle sue risorse economiche che, in alcuni Paesi sta già avvenendo, mentre in altri è prevedibile avvenga, sia parte di un disegno del Signore, che la sta spogliando delle illusorie strutture di potenza mondana, di cui essa nel tempo si è sovraccaricata. Rischiando di dimenticare che le sole armi di cui egli l’ha dotata, sono la fede e la pura e semplice fiducia nella potenza della sua grazia. Forse, potremmo trarre una buona lezione di fede da una sentenza di Lutero, invece di condannarla, come a suo tempo fece Leone X nella Bolla Exsurge Domine: «Non bisogna far guerra ai Turchi, ma cogliere, dal pericolo turco, l’occasione per pentirsi dei propri peccati!».      

 

Severino Dianich

In Vita pastorale, 52, novembre 2021

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