Koinonia Ottobre 2021


Dalla conversazione di papa Francesco

con i gesuiti slovacchi - Bratislava 12 settembre

 

LA LIBERTÀ CI FA PAURA

 

Un gesuita chiede: «Come sta?».

 

Ancora vivo. Nonostante alcuni mi volessero morto. So che ci sono stati persino incontri tra prelati, i quali pensavano che il Papa fosse più grave di quel che veniva detto. Preparavano il conclave. Pazienza! Grazie a Dio, sto bene. Fare quell’intervento chirurgico è stata una decisione che io non volevo prendere: è stato un infermiere a convincermi. Gli infermieri a volte capiscono la situazione più dei medici perché sono in contatto diretto con i pazienti.

 

<…>Uno dei presenti esordisce dicendo: «Io sono due anni più giovane di lei» e il Papa risponde alla battuta: «… ma non sembra! Tu ti trucchi!». E gli altri ridono. Prosegue: «Nel 1968 sono entrato nella Compagnia di Gesù da profugo. Sono stato membro della Provincia svizzera per 48 anni, e ora da 5 anni sono qui. Ho vissuto in Chiese molto diverse. Oggi vedo che molti vogliono tornare indietro o cercano certezze nel passato. Sotto il comunismo ho sperimentato la creatività pastorale. Alcuni addirittura dicevano che non si poteva formare un gesuita durante il comunismo, ma altri invece lo hanno fatto e noi siamo qui. Quale visione di Chiesa possiamo seguire?».

 

Tu hai detto una parola molto importante, che individua la sofferenza della Chiesa in questo momento: la tentazione di tornare indietro. Stiamo soffrendo questo oggi nella Chiesa: l’ideologia del tornare indietro. È una ideologia che colonizza le menti. È una forma di colonizzazione ideologica. Non è un problema davvero universale, ma piuttosto specifico delle Chiese di alcuni Paesi. La vita ci fa paura. Ripeto una cosa che ho detto già al gruppo ecumenico che ho incontrato qui prima di voi: la libertà ci fa paura. In un mondo che è così condizionato dalle dipendenze e dalla virtualità ci fa paura essere liberi. Nell’incontro precedente prendevo come esempio Il grande inquisitore di Dostoevskij: trova Gesù e gli dice: «Perché hai dato la libertà? È pericolosa!». L’inquisitore rimprovera Gesù di averci dato la libertà: sarebbe bastato un po’ di pane e nulla di più. Per questo oggi si torna al passato: per cercare sicurezze. Ci dà paura celebrare davanti al popolo di Dio che ci guarda in faccia e ci dice la verità. Ci dà paura andare avanti nelle esperienze pastorali. Penso al lavoro che è stato fatto - padre Spadaro era presente - al Sinodo sulla famiglia per far capire che le coppie in seconda unione non sono già condannate all’inferno. Ci dà paura accompagnare gente con diversità sessuale. Ci danno paura gli incroci dei cammini di cui ci parlava Paolo VI. Questo è il male di questo momento. Cercare la strada nella rigidità e nel clericalismo, che sono due perversioni. Oggi credo che il Signore chieda alla Compagnia di essere libera, con preghiera e discernimento. È un’epoca affascinante, di un fascino bello, fosse anche quello della croce: bello per portare avanti la libertà del Vangelo. La libertà! Questo tornare indietro lo potete vivere nella vostra comunità, nella vostra Provincia, nella Compagnia. Occorre stare attenti e vigilare. La mia non è una lode all’imprudenza, ma voglio segnalarvi che tornare indietro non è la strada giusta. Lo è, invece, andare avanti nel discernimento e nell’obbedienza.

 

<…> Uno dei partecipanti dice al Papa della situazione della Chiesa slovacca e delle tensioni interne. Alcuni vedono lei addirittura come eterodosso, altri invece la idealizzano. Noi gesuiti - afferma - cerchiamo di superare questa divisione. Chiede: «Lei come affronta la gente che la guarda con sospetto?».

 

Per esempio, c’è una grande televisione cattolica che continuamente sparla del Papa senza porsi problemi. Io personalmente posso meritarmi attacchi e ingiurie perché sono un peccatore, ma la Chiesa non si merita questo: è opera del diavolo. Io l’ho anche detto ad alcuni di loro.

Sì, ci sono anche chierici che fanno commenti cattivi sul mio conto. A me, a volte, viene a mancare la pazienza, specialmente quando emettono giudizi senza entrare in un vero dialogo. Lì non posso far nulla. Io comunque vado avanti senza entrare nel loro mondo di idee e fantasie. Non voglio entrarci e per questo preferisco predicare, predicare… Alcuni mi accusavano di non parlare della santità. Dicono che parlo sempre del sociale e che sono un comunista. Eppure ho scritto una Esortazione apostolica intera sulla santità, la Gaudete et Exsultate.

Adesso spero che con la decisione di fermare l’automatismo del rito antico si possa tornare alle vere intenzioni di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II. La mia decisione è il frutto di una consultazione con tutti i vescovi del mondo fatta l’anno scorso. Da adesso in poi chi vuole celebrare con il vetus ordo deve chiedere permesso a Roma come si fa col biritualismo. Ma ci sono giovani che dopo un mese di ordinazione vanno dal vescovo a chiederlo. Questo è un fenomeno che indica che si va indietro.

Un cardinale mi ha detto che sono andati da lui due preti appena ordinati chiedendo di studiare il latino per celebrare bene. Lui, che ha senso dello humour, ha risposto: «Ma in diocesi ci sono tanti ispanici! Studiate lo spagnolo per poter predicare. Poi, quando avete studiato lo spagnolo, tornate da me e vi dirò quanti vietnamiti ci sono in diocesi, e vi chiederò di studiare il vietnamita. Poi, quando avrete imparato il vietnamita, vi darò il permesso di studiare anche il latino». Così li ha fatti «atterrare», li ha fatti tornare sulla terra. Io vado avanti, non perché voglia fare la rivoluzione. Faccio quello che sento di dover fare. Ci vuole molta pazienza, preghiera e molta carità.

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