Koinonia Ottobre 2021


TALEBANI PERCHÉ

 

Da mesi siamo invasi da notizie riguardanti ciò che succede in Afghanistan. Dopo vent’anni di guerra  un esercito numeroso e ben equipaggiato, sorretto da una coalizione occidentale a guida USA si è dissolto al sole in pochi giorni, sbaragliato dai talebani che non hanno praticamente incontrato resistenza.

A seguito di ciò oggi siamo di fronte a una crisi umanitaria di proporzioni gigantesche, con decine di  migliaia di civili che tentano disperatamente di fuggire dal paese. Per lo più si tratta di cittadini che negli anni passati sono stati al servizio  delle forze di occupazione occidentali. Di per sé non dovrebbero essere considerati alla stregua di traditori contro i quali esercitare vendette, ma purtroppo non è così. Nei loro confronti i talebani non hanno pietà.

C’è poi un grande numero di donne (insegnanti, dottoresse, artiste, giornaliste, scrittrici…) che hanno esercitato lavori cui non avrebbero dovuto accedere secondo gli “studenti coranici”, o che semplicemente hanno adottato modi di vita lontani dal pensiero e dai costumi dell’islamismo radicale. A tutte costoro viene ora proibito di esercitare le loro professioni e molte di queste, coloro che negli anni passati si sono più esposte nel difendere i diritti delle donne, rischiano la vita.

Nei propositi dei talebani verrà esercitata una vergognosa oppressione nei confronti del genere femminile fin dalla più tenera età. Alle bambine viene impedito di studiare e di fare sport.

Come non provare compassione nei confronti dei tanti sfortunati costretti all’esilio per sfuggire al carcere, alle torture, forse anche alla morte? Come non aprire loro le nostre frontiere? Eppure già qui insorgono problemi tra le “civili” nazioni dell’Occidente. C’è già chi pensa di innalzare nuovi muri: che se ne stiano nei paesi confinanti, noi qui non li vogliamo.

Altri governi, per evitare un’invasione di massa (dato che a coloro che sono fuggiti in aereo si aggiungono, molto più numerosi, quelli che, dopo aver varcato i confini dei paesi vicini, si apprestano a passare in Europa) promettono soldi alle nazioni che sono disposte ad accoglierli, in campi profughi, beninteso, dove forse vivranno confinati per anni.

Non è necessario essere cristiani, basta essere cittadini onesti per voler dare a questi profughi un’accoglienza dignitosa, offrendo loro opportunità di lavoro e di studio al pari dei nostri connazionali. È quanto chiede, fra l’altro, papa Francesco.

I media internazionali, compresi quelli italiani, hanno trattato il dramma che si sta consumando in Afghanistan con dovizia di particolari: le drammatiche immagini dei profughi, dei morti per le strade, delle manifestazioni delle eroiche donne di Kabul, che a viso scoperto gridano che non si faranno ricacciare in una specie di medioevo, come vorrebbero i talebani. Talvolta stampa e trasmissioni televisive si azzardano anche in analisi politiche, disquisendo se l’esito della vicenda afgana doveva essere necessariamente questo, o se gli americani e i loro alleati avrebbero dovuto restare, a salvaguardia della democrazia.

Su giornali e periodici di grande spessore culturale, ma poco letti perche ritenuti troppo specialistici, troppo difficili, o troppo di parte, ho trovato un gran numero di articoli ben documentati sulla crisi afgana. Solo da quegli scritti puoi capire le cause profonde che hanno generato la tragedia che stiamo seguendo in diretta. Se ci limitiamo alla grande stampa o alle notizie che passano i canali televisivi, fuorché rare quanto lodevoli eccezioni, restiamo alla superficie. I grandi media ci forniscono una versione dei fatti quanto meno lacunosa, non sapendo, o non volendo, dare risposte convincenti. Perché i talebani? Da dove vengono? Chi li ha allevati, protetti, armati e li ha fatti diventare una forza  coesa, invincibile? Su tutto questo, il silenzio. Perché altrimenti noi occidentali, e gli americani in primis, verremmo tirati in ballo, e delle nostre colpe, delle nostre omissioni, delle nostre reticenze dovremmo rispondere.

I talebani, almeno in parte, sono figli delle scelte politiche e militari degli Stati Uniti che negli anni ‘80, per contrastare i sovietici che avevano occupato l’Afghanistan, hanno armato contro di loro le forze più retrive e fondamentaliste del paese. I sovietici se ne sono andati, mentre gli americani, con la scusa di portare la democrazia, sono rimasti per altri vent’anni, combattuti da coloro che erano stati loro alleati. Così una visione arcaica dell’Islam, diffusa da sempre nelle campagne, ma non nelle città, ha fatto da supporto ideale ai talebani che si presentavano come i liberatori della patria dagli stranieri occupanti e responsabili di introdurre costumi  in contrasto col “vero” messaggio del Profeta Maometto.

Noi oggi abbiamo l’immagine di un paese in preda all’oscurantismo, e questo è drammaticamente vero. Eppure l’Afghanistan non era così prima dell’occupazione americana. A partire dagli anni venti  aveva vissuto un processo di modernizzazione e nella prima metà degli anni ‘60 le donne afgane avevano ottenuto il diritto di voto, andavano a scuola, vestivano come pareva loro e,  almeno nelle città, i burka erano quasi totalmente scomparsi. Non poche donne avevano conquistato posizioni di rilievo nel campo sanitario, nelle università, nel mondo dell’arte e dello spettacolo, nei media. Era  un paese che con le sue forze aveva intrapreso un cammino verso la democrazia.

L’intervento straniero ha dato voce e forza all’estremismo dei talebani che si sono presentati come i salvatori della patria e i veri difensori della morale e della religione.

Oggi Biden fa autocritica. Contraddicendo quanto gli Stati Uniti hanno da sempre affermato, ha riconosciuto che la democrazia non può essere esportata, tanto più con le armi.

Ora il male è fatto. Auspichiamo che la storia non si ripeta. A noi occidentali non resta che fare tesoro degli errori compiuti e realizzare che allo stato attuale l’apertura delle nostre frontiere nei confronti dei profughi non è solo un’opzione umanitaria, ma un nostro preciso dovere morale.

 

BRUNO D’AVANZO

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