Koinonia Ottobre 2021


Recensione del romanzo “Furore” di John Steinbeck, Premio Nobel per la letteratura 1962 (edizione integrale Bompiani, 2013)

 

UN POPOLO IN FUGA VERSO IL SOL DELL’AVVENIRE…

 

Ogni popolo ha cercato, per costrizione o per scelta , di emigrare e marciare in lande ed acque sterminate affrontando rischi spaventosi, e non di rado la morte, spinto da povertà e conflitti, sperando di migliorare la propria condizione umana, lavorativa e socio-economica, a parte la visione soltanto teleologica dell’esistenza, ed ogni luogo è divenuto agognata terra di conquista, pacifica o bellicosa, per le medesime ragioni. Persino gli inni popolari ben conosciuti esprimono desideri e volontà di unione, cambiamento, riscatto e ascensione materiale e spirituale: “Andiamo figli della Patria, il giorno della gloria è arrivato… Compagni, avanti il gran Partito, noi siamo dei lavorator…  Avanti popolo alla riscossa… Il tuo popolo è in cammino sulla strada verso il Regno… Proteggi il cammino di un popol fedel per giungere al ciel… Su fratelli, su compagne, su, venite in fitta schiera, sulla libera bandiera splende il sol dell’avvenir…”.

Fra tutti quest’ultimo, il più antico, “L’inno dei lavoratori”, composto personalmente da Filippo Turati nel 1886, potrebbe adeguatamente accompagnare la vicenda umana e sociale che “Furore”, scritto da John Steinbeck nel 1939 ancora in piena grande crisi, descrive mirabilmente con coloriti densi e minuti dettagli un’ansiogena successione di eventi. La speranza nella libera bandiera, nel nostro caso degli Stati Uniti d’America, sarà tradita, forse inavvertitamente, dalle stesse Istituzioni democratiche e private, in essa simbolicamente rappresentate, che non avranno saputo oppure voluto difendere, illudendole, innumerevoli famiglie cacciate da un lembo di terra e dal loro stesso focolare, ora in fuga verso il sol dell’avvenir, velato da un cono d’ombra fatto, senza troppi infingimenti, di corruzione e di sfruttamento sistematico, generalizzato e financo legalizzato di povera ed ingenua gente da rasentare la purezza di spirito.

Un’intera famiglia di braccianti agricoli del sud-est statunitense, indebitata con le banche, si trova costretta ad abbandonare abitazione e lavoro per il sopraggiungere massiccio del trattore a benzina che dimostra, dati alla mano, sul campo, di poter sostituire parecchie dozzine di contadini nella cura dei campi e nella raccolta di cotone e frutta. E’ durante l’iniziale dimostrativa escursione del trattore che la loro minuta casetta di legno, tenuta insieme da fascine e fil di ferro, viene casualmente e per non curanza uncinata dalla pala d’accio e stravolta al punto da renderla irreparabile e inabitabile. Ed è in questa mesta occasione che la famiglia patriarcale, nei fatti matriarcale, decide interamente e con entusiasmo di migrare in California, invogliata da un volantino dal messaggio entusiasmante che a tanti promette lavoro certo ed agio per l’abbondanza della produzione di cotone e frutta, la più varia, che dovrebbe naturalmente tramutarsi in occasioni di rassicurante lavoro e pieno benessere. I più giovani giungono a sognare addirittura una casa vera, una bella famiglia e una vivace soddisfacente vita sociale. 

Opportunisti e senza scrupoli approfittatori seriali, ai quali per necessità impellente i giovani s’erano rivolti, acquisteranno, per una manciata di dollari, quanto alla famiglia potesse in quel momento risultare rinunciabile mentre è tesa a racimolare cibo, materassi, panni e pochi altri oggetti superstiti, stiparli sul camion abborracciato, su di essi trovare alloggio alla meno peggio donne, vecchi e bambini e, fra pianti e speranze, immettersi su strade sconquassate e parcheggi improvvisati e governativi sempre più straripanti di altri convogli similari i cui passeggeri, nei momenti di sosta, si troveranno accomunati dalle medesime condizioni di vita, da identici progetti e speranze, le quali vanno rapidamente scemando con l’avvicinarsi della meta prevista. 

I costi proibitivi del carburante e della sebbene frugale alimentazione, la premonizione crescente per un prossimo fallimento dell’impresa, rivelatasi titanica per le loro esigue risorse, le discriminazioni e le violenze perpetrate nei loro confronti dai vice-sceriffi senza scrupoli e dalla popolazione locale, sentitasi minacciata da potenziali concorrenti nel proprio queto vivere, conducono a frustrazioni, disarticolazioni, fratture e disperazioni familiari irreparabili. 

Una minuscola porzione di un intero popolo in fuga dalla miseria che, in realtà, in essa sta affondando. 

Soltanto la solidarietà generosa profusa da tanti e ripetuta in varie occasioni fra quei miserevoli, che vogliono innanzitutto riaffermare la propria dignità di esseri umani e riappropriarsi dei più elementari diritti naturali, potrà consapevolmente costituire la base per poter pretendere di coniugare, garante lo  Stato e le sue Istituzioni,  giustizia e libertà come bene comune.

Non, dunque, un romanzo moraleggiante, ma una vera denuncia gridata da un popolo in fuga verso la lontana libertà e la remota impervia giustizia mostrando il coraggio di uscire pacificamente, disarmato, allo scoperto mettendo in gioco il suo futuro e la propria stessa sopravvivenza,

 

Francesco Domenico Capizzi

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