Koinonia Luglio 2021


Un nuovo libro di Raniero La Valle,

No, non è la fine, EDB, pp. 156, € 13,00

 

La Terra non perirà

 

È prossima la fine della Terra? Non per il capitalismo, che prosegue imperterrito: il suo fine non è il prodotto per l’uomo, ma la produzione stessa, indifferente al fine come alla fine. L’alienazione coinvolge l’operaio come il capitalista, e la liberazione è lontana, non si vedono rivoluzioni. Eppure, «il capitalismo è un dio, ma mortale. Esso finisce perché non regge il pensiero della fine e perché esso stesso produce la fine», scrive La Valle, cominciando questa riflessione molto seria, che cerco di riassumere qui.

Dunque, è prossima la fine? La scienza non lo sa con certezza. Le religioni parlano della fine, però ci impegnano sulla Terra, ad amare le creature. Un Dio ci può salvare? L’Autore afferma: «Occorre riaprire la questione di Dio» (p. 33): non se Dio esista o no, ma quale Dio ci sarebbe. Con quali volti qualcuno l’ha incontrato? Come lo possiamo riconoscere?  L’ultima modernità vuole la spiritualità soggettiva, la sacralità cosmica, non Dio. È post-teistica, ma in realtà è post-zeusica: ha lasciato Giove, quel dio della vittoria e della condanna, ma al suo posto mette una energia vitale, non il Dio personale che si coinvolge nei dolori del mondo, come l’Autore ha sperimentato nei novant’anni della sua vita, leggendo nei miti biblici il codice che ci spiega la vicenda umana.

Ma, messo fuori il Dio biblico, ci salveremo da soli? Solo se c’è un Dio mite, nonviolento, che passa dalla giustizia alla misericordia, potremo uscire dalla religione violenta e dalla violenza sacra. La coscienza cristiana sta uscendo da una religione contaminata di potere e di violenza (p. 50 ss.).  Oggi tutte le religioni sono convocate all’unità umana nel nome del Dio nonviolento. Se il post-teismo non trova questo vero nome di Dio, non ci libera dalla violenza religiosa. Se perde la preghiera e parla solo alla natura, non  riceve più risposte di tenerezza e misericordia.

La pandemia ha interrotto la religione. Aperte le fabbriche (anche di armi), chiuse le chiese, eravamo nel post-teismo, scomparso il sacro. Papa Francesco ogni mattina da Santa Marta raccoglieva via via, in quell’ “ospedale da campo”, le categorie di sofferenti, per un unico annuncio: Dio è soltanto amore, e non «per molti», ma per tutti.  Non era tanto un servizio religioso sostitutivo, senza popolo presente, non era una riforma della Chiesa (impossibile  «cambiare cavallo in mezzo al guado di un fiume»), ma era la riforma più radicale: la salvezza è nell’unità dell’intero genere umano.

 

Amore non geloso

Infatti, la Chiesa era gelosa della sua esclusività, gelosa delle altre chiese e fedi, fin quando il Concilio vide che la vera chiesa dell’abbraccio di Dio è l’umanità intera, non solo gli uomini di buona volontà (Pacem in terris), ma tutti gli abitanti della Terra (Laudato sì). È una nuova teologia, un nuovo annuncio del vangelo, tradotto da Francesco allargando la liturgia della lavanda dei piedi (prima riservata a fedeli cattolici) a musulmani, indù e donne, e dicendo: «Ognuno preghi il Signore  nella sua lingua religiosa perché questa fratellanza contagi il mondo» (p. 87).

La parola più frequente, in Fratelli tutti,  non è fratelli, ma tutti: quelli «della nostra stessa carne» (Isaia 58, 7), senza esclusione alcuna. È ora di deporre ogni primazia e fare un mondo senza gelosie.

Ma Dio stesso era detto “geloso” nella Bibbia (p. 93 ss.), era modello di gelosia, di amore esclusivo: amava gli ebrei e odiava gli egiziani, li affogava. Era Dio ad immagine delle nostre gelosie: amore della patria e della donna, possessivo ed esclusivo. Eppure, quello stesso Dio chiede di amare lo straniero (Dt 10,19). La vetta del vangelo, amare i nemici, amare l’altro, nella gelosia sarebbe tradimento. Amare il mondo, nemico di Dio, era come adulterio (Giacomo 4,4-5). Ma quello è il penultimo Dio: il Dio ultimo, fino a noi, non ha gelosia né invidia e vuole che tutti siano salvi. Non c’è profanazione, né bisogno di offerte, solo vivere e amare.

E i nostri amori sono gelosi, degradano in possesso? Sappiamo amare non soltanto i nostri? Sappiamo tenere unite e non dividere le due metà del cielo, maschile e femminile, dualità oggi eliminata quando l’utero è rimpiazzato da una macchina e l’Intelligenza Artificiale è asessuata? Il desiderio, Gesù stesso lo vive e anima in noi  verso l’altro, verso la giustizia, il bene, Dio. L’amore diventa dono ma nasce dalla mancanza e dal desiderio. E come può essere «cupa repressione del desiderio» un cristianesimo finalmente annunciato come gaudium da papa Giovanni fino a Francesco? (p. 106).

C’è qualcosa di sbagliato, né naturale né evangelico, se l’amore di coppia vuol dire non amare nessun altro. Certo, non tutti gli amori sono uguali, nello stesso momento, e l’amore di unità va custodito e rispettato, è modello prezioso, ma l’amore non si riduce a quest’unico modo. Liberare l’amore dalla gelosia è ancora una grande conversione da fare. Se Dio non è geloso, possessivo-escludente, noi non dobbiamo escludere gli stranieri, i migranti, né chi vince al posto nostro. Troppi matrimoni sono devastati dalla gelosia, e diventa spesso omicida un amore «forte come la morte» (Cantico 8,6).

 

Dio indifferente?

Dio ha creato, poi siamo noi a continuare il lavoro. Ma oggi il confronto è con i presagi della fine: è in atto una distruzione, della natura e del mondo umano. L’intelligenza laica non ha un Dio a cui chiederne conto. Anche per la coscienza religiosa, il Dio non invasivo rispetta la nostra autonomia. Ma Dio è proprio fuori gioco, rimarrebbe indifferente se il mondo fosse prossimo alla fine?  

Ci sono dei precedenti, dice La Valle, e legge nella Bibbia il grande racconto della vicenda umana. Abramo contratta con Dio la salvezza di Sodoma, ma non basteranno alcuni giusti a salvare Sodoma, né la nostra giustizia salverà la Terra. Ma Mosè ottiene che Dio non faccia perire il popolo che ha adorato un vitello d’oro. Ninive, l’attuale Mosul (non risparmiata né da Bush né dall’Isis),  è risparmiata da Dio, che ha pietà delle persone e degli animali che ci vivono, contro la volontà punitiva del profeta Giona.  Come dice quella leggenda talmudica: Dio indignato, ogni mattina chiama l’angelo sterminatore, poi sente laggiù il fragoroso cinguettio dei bambini che entrano a scuola, e rimanda tutto all’indomani.

Come per Ninive, così per la Terra: non finisce, non ora. Ma perché la Terra possa non finire, la politica dovrà svezzarsi dai localismi identitari e nazionali, assumere dimensione mondiale, promuovere l’unità dei popoli della Terra e darle a garanzia una Costituzione universale. Il cantiere è aperto: è movimento, scuola e biblioteca online «CostituenteTerra» (https://www.costituenteterra.it/).  Il soggetto è il popolo della Terra, non i popoli sovrani e divisi, o nemici, o soggetti ad un impero. Il popolo che ha ormai un destino unico è l’unica comunità umana, e ha bisogno di essere soggetto politico e costituente.

Per costituirsi come popolo, l’intera umanità di oggi dovrà disimparare l’arte della guerra, che ormai uccide da una parte sola, da lontano. Poi, dovrà sapere che con rapporti sociali involgariti, non abbiamo futuro. Poi, per abbattere il muro delle religioni separatiste, non potrà accontentarsi di una laicità negativa, chiusa nel privato e nel tempio, dunque a-tea, perché un Dio che non patisce insieme a tutta l’umanità non è neanche un Dio. La Chiesa reagì dapprima alla laicità rivendicando il regime di cristianità, ma poi capì nel Concilio che il pluralismo delle religioni è gradito a Dio e non impedisce l’unità umana. Così ora si può costituire un popolo della Terra. 

Ma ancora è ostacolo la sottomissione della politica all’economia, al denaro sovrano. Nemmeno un “capitano” è il giusto sovrano, né chi decide delle foreste e dei ghiacciai, né chi dà o nega i vaccini, né chi chiude i mari ai profughi, né chi colonizza lo spazio, né chi tiene viva la minaccia nucleare. Nessuno è prima, o invece, degli altri: il turpe gioco dei sovrani deve essere chiuso. Tutt’altro sovrano va intronizzato: il popolo della Terra unito, soggetto costituente. Nessuna signoria sul mondo, ognuno continui a governarsi da sé, ma una Costituzione del mondo deve diventare realtà, con princìpi universali, strumenti di attuazione e di garanzia. La Terra ha bisogno di essere governata, non dominata e sfruttata, ma di più: di essere amata. Ci riusciremo solo riconoscendoci tutti fratelli, e non solo soci: l’amore politico, l’amicizia sociale, profezia di Francesco firmata da Lampedusa ad Abu Dhabi. Ma per essere fratelli ci vuole un padre.  Il ministero di Francesco è teso a ritrovare quel Padre così fraterno da essersi fatto figlio per vivere la nostra sorte fino in fondo. E questa fraternità, condizione di libertà ed uguaglianza, la voleva anche la rivoluzione laica, che poi l’ha persa di vista.

 

Osa per fede

«Nessuno si salva da solo», hanno ripetuto, il 20 ottobre 2020 in Campidoglio, ciascuno nel suo linguaggio, rappresentanti di tutte le famiglie spirituali umane. Forse il mondo trova il bandolo: solo tutti insieme siamo salvi. Il tempio unico da costruire è la fraternità. E quel giorno il Grande Imam di al-Azhar e papa Francesco, a mensa a Santa Marta, si sono spartiti un pezzo di pane: non un rituale definito, ma – commenta l’Autore - «oltre il dialogo, siamo a una comunione in cammino» (p.151).

Se i nostri sforzi non basteranno, non per questo la Terra finirà. Dio la restituirà alla vita per amore dei miliardi di persone e di animali che la abitano, come Ninive-Mosul. «È un Dio fedele, e non può assistere inerte all’agonia della Terra. (…) È un Dio che rimane. Sarà questa la vera tavola di salvezza della Terra, la promessa che si realizza, la storia che continua» (p. 152-153).  Si continuerà a nascere e a morire, fino al vero eskaton, alla novità che si spalancherà.

Raniero La Valle osa per fede questa profezia. Anche se meritasse di perire, l’umanità non perirà. Leggo qui una eco-teo-logia che richiama il realismo cosmoteandrico di Panikkar. E il Dio qui considerato non è sequestrato da una religione, perché nessuna religione ne ha il monopolio; e perché nessuna immagine, affermativa o negativa, arriva a poterlo definire o negare, sia nella intimità nostra, sia in quella indicibile vivezza di vita, che chiamiamo, pur con nome consunto ed ambiguo, Dio. Ma questa è la parola possibile per riferirci a Vita-che-dà-vita, a ciò che noi non siamo ma ci fa essere, senza il quale non saremmo. E quelli di noi che “credono”, cioè “confidano” in questo Vivente, sanno interiormente che di lui viviamo. E vivremo. Una lettura di fede e di politica, questa, non integrismo, ma respiro universale di tutti.

Come diceva Pier Cesare Bori, «La profezia è la parola che eccede; la sapienza la traduce in esperienza». La profezia vede oltre la distruzione; la sapienza è compito nostro.

 

Enrico Peyretti

30 giugno 2021

.

.